Oltre la vergona, una intimità da condividere con il gioco.
Un anno fa, quando è iniziata la travagliata separazione con mio marito, mio figlio di 9 anni ha iniziato a dire che non voleva più farsi vedere nudo da nessuno, noi genitori e sorella compresa. All’inizio ho pensato che era normale, una pre-adolescenza un po’ anticipata e ho pensato che era giusto rispettarlo. Mi sono ricordata di quando ero adolescente e mi vergognavo della nudità con i miei e anche se lo esprimevo, loro non mi hanno mai rispettata: entravano in bagno comunque. Vergogna, deriva dal latino verecundia, da vereri, avere rispetto. Quindi io volevo rispetto per la mia intimità, la quale cela in tutti noi il mistero della creazione, e quindi della vita/nascita, del senso dell’esistenza. Mio figlio probabilmente in un momento di terremoto della coppia, per lui un punto di riferimento, ha sentito importante proteggere il suo senso dell’esistenza, la sua intimità.
Comunque questo evento mi aveva interrogato molto, cioè rispettavo mio figlio, ma lo vedevo in questo atteggiamento di protezione della sua intimità irrequieto, anche arrabbiato. Se mi fossi fermata ad osservare questo evento con le lenti colorate del mio vissuto, avrei fatto un grosso errore: quante volte quando i figli ci raccontano eventi che si vivono, li confondiamo con le nostre esperienze, vissute in contesti diversi e con persone/sensibilità completamente differenti? Quindi vedendo mio figlio con questa agitazione interiore rispetto al nascondimento dell’intimità, ho iniziato il mio viaggio di crisi-cerca. Non sapevo da che parte iniziare, ma avevo intuito che dovevo provare a sperimentare qualcosa.
I primi ingredienti importanti di questo viaggio, sono stati l’ascolto dello stato quiete e la lentezza. Il dolore che stavo attraversando rispetto alla separazione di coppia, mi aveva portato a rallentare tantissimo, a fermare la frenesia iperattiva di attività a cui solitamente mi sottomettevo, avendo così più tempo da dedicare all’osservazione dei meccanismi della vita e delle cose che mi circondavano. La lentezza che ne conseguiva, mi permetteva di iniziare a passare il tempo con i miei figli, non più sotto il ritmo delle attività, ma piuttosto abbandonandomi a quello che arrivava, a quello che si decideva di fare insieme, e non guidato dai miei bisogni o desideri. Quante volte portiamo i nostri figli a teatro, ai concerti, a fare uno sport perché in realtà sono cose che desideriamo noi? In questa ambivalenza, di fare una cosa per te e invece la faccio per me, perdiamo l’ascolto per l’altro: i nostri figli per compassione e generosità ci seguono, ma via via si chiudono, non si raccontano più (come va a scuola? Tutto bene mamma!), perdono il contatto profondo con noi.
In questo rallentamento ho iniziato a creare una relazione più profonda con mio figlio, che è sempre stato quello più sensibile, più vicino alla mia essenza.
Da lì ho iniziato poi a fare diversi tentativi per entrare in quella vergogna dell’intimità precoce che si era affacciata nella sua vita. I primi tentativi sono stati fallimentari: gli chiedevo perché si nascondeva, ma era un ingresso troppo simbolico, poi ho provato alcune volte ad entrare in bagno improvvisamente, ma questa era una modalità irrispettosa e maschile che gli faceva aumentare la rabbia. Eppure nei suoi occhi vedevo il desiderio in fondo di farsi scoprire, così ho iniziato a percepire che entrare nel suo mondo richiedeva un mix di elementi, ovvero emozioni, biorganico, creatività.
Un giorno stesi sul letto, nel tempo della lentezza e delle coccole, ho iniziato a raccontare barzellette, a fargli il solletico, a dargli qualche morsino sul sedere. E li ho visto le prime aperture. Quindi ho imboccato quella strada: per mesi ho continuato ad entrare sempre un po’ di più, pianissimo e con rispetto, a contatto con il suo corpo, condendo il tutto sempre con scherzi e risate: funzionava. Un giorno gli ho toccato da sopra i pantaloni l’intimità e gli ho detto ‘ehi, hai un pene gigante, una sbrega!!’ (sbrega in Veneto significa una cosa lunga, grande), e lui giù a ridere, ma anche orgoglioso di quello che gli avevo detto. Comunque continuava quando andava a calcio con i suoi amici a fare la doccia in mutande, a non mostrare a nessuno, nemmeno ai suoi pari, l’intimità. Ho continuato per mesi a dargli valore sulla grossezza del suo pene, anche se non lo vedevo con gli occhi. Ogni tanto ho iniziato a mettergli le mani dentro le mutande, e lui anche se all’inizio aveva qualche scatto di rabbia e io mi tiravo indietro, poi ci ritornavo e piano piano ha iniziato a riderci sempre di più. Il messaggio stava diventando più chiaro: ho protetto la mia intimità, il mio senso dell’esistenza, perché te e il babbo con la vostra separazione me lo avete terremotato, non mi fido più, ora trova te il modo di ridarmi la fiducia, ma rispettandomi.
Un altro elemento fondamentale è stata la continuattivita’, non demordere, andare oltre le delusioni, i rimandi negativi. E non avere fretta di raggiungere la meta.
Un altro punto di svolta è stato quando al pene ho dato un nome giocoso e gradito. Questo gli è piaciuto un sacco, e ha iniziato a chiamare anche lui il suo pene con questo nomignolo: per me era un richiamo per dire, vai in quella strada, che sei vicina, mi piace.
Però mancava ancora qualcosa. Ancora si nascondeva. Fino all’altro pomeriggio, e li ho sentito una cosa profonda sbloccarsi… eravamo in bicicletta e mio figlio a bruciapelo mi ha fatto una domanda molto intima, io ho deciso che per quanto difficile fosse la risposta, dovevo andare fino in fondo e dirgli la verità, perché io e lui siamo molto collegati e secondo me avrebbe sentito la bugia. Ha ascoltato la mia risposta e ho sentito che non ha giudicato. Sento che questa è stata un’altra conquista: quante volte raccontiamo micro bugie ai nostri figli per preservarli, perché pensiamo non capiscano o perché non abbiamo coraggio di essere quello che siamo? Io ad esempio quando era piccolo e ancora fumavo, vergognandomi di questa cosa e per non dargli il cattivo esempio, magari andavo un attimo fuori, fumavo, quando rientravo lui mi chiedeva cosa ero andata a fare fuori e io gli rispondevo che avevo buttato l’immondizia. Lo so fa schifo, ma è stato così. Penso che mio figlio ha sentito la mia lealtà quel pomeriggio. Si è fidato dopo aver testato sul campo il cambiamento in un aspetto della mia vita riservato.
La sera avevamo un pigiama party con un suo amico a casa nostra, mio figlio ha voluto fare la vasca a tutti i costi con lui, e già mi sembrava una cosa strana. l’ho visto togliersi le mutande (novità!!), però tenendosi sempre la mano davanti al pene (e anche l’altro bambino lo copiava) e poi ha chiuso la porta del bagno, lasciandomi ovviamente fuori. Mi sono chiesta mille volte cosa fare, ma ho sentito che i tempi erano maturi: ho bussato e sono entrata in bagno, ho preso una cosa per i fatti miei, intanto ho ascoltato lo stato quiete (buono, perché in tempi passati mi avrebbe urlato che dovevo uscire dal bagno, soprattutto rafforzato dalla presenza di un esterno), allora ho buttato lì una battuta, lui l’ha colta ed è tornato sulla ‘nomignolo’. Lì ho capito che potevo affacciarmi alla vasca… era un segnale. Ho iniziato a ridere, a dargli valore che aveva un pene gigante, ed eccolo… toglie la mano, e mi fa vedere il suo pene! Lo fa vedere anche al suo amico, e si sblocca anche l’amico, tutti che mi fanno vedere il pene! Felicissimi, con un sorriso da orecchio a orecchio, e iniziano a giocare, senza nascondersi più! Finalmente liberi. Finalmente libera anch’io.
Per me questo mondo dell’intimità, che per me è un aspetto su cui si fa fatica a trovare aperture, aprirsi, sperimentare, dove c’è anche tanta paura, sta invece creando un canale profondo di condivisione con mio figlio. Ringrazio il percorso FNS e tutta la rrrete che ha permesso questa introspezione sulla mia vita e quella dei miei figli, senza percorrere la strada dei trattori – carri armati delle generazioni precedenti.
Un abbraccio da una madre in sperimentazione