Bilancio del 2° anno universitario.
Oggi ho deciso di mettere un primo punto in questa ultima fase con l’università, di lasciare traccia di questo secondo anno che per diversi aspetti è stato molto importante. Se il primo anno è stato quello che mi ha permesso di fare una dinamica metastorica con la scuola per riattraversare nodi profondi e antichi, questo anno l’ho sentito più di interramento verso una me che non è più solo la diciannovenne incazzata di allora, ma anche la donna che sta ricontattando una dimensione più profonda, forse più originaria, più vicina all’ontologico… sto iniziando a conoscermi e a piacermi.
Sono contenta dei risultati ottenuti fin qua, da febbraio fino ad oggi è stato impegnativo e in alcuni momenti anche sfiancante, ma voglio benedire questa importante dinamica con l’università che mi ha permesso di stare con me, di perseverare su qualcosa che io stessa probabilmente non avrei mai creduto di riuscire a fare. Per settembre mi sono lasciata quattro esami e poi chiuderò questo secondo anno da studentessa. È vero non è concluso questo viaggio, ma nel procedere incerto e un giorno alla volta ho realizzato che è più semplice perseguire il proprio globale massimo, che non significa meno difficile, ma le difficoltà si sbrogliano cammin facendo.
Da fine febbraio fino a fine maggio ho potuto fare l’esperienza diretta coi bambini del Nido, la parte più interessante finora della triennale, dove sul campo ho scoperto delle mie qualità inedite che si sanno mettere in ascolto e relazionare con tenerezza e determinazione.
Solo qualche anno fa entrare nella dimensione di un bambino mi spaventava, mi sentivo incapace di comprendere i loro bisogni, le loro aspettative, incapace di giocare con loro, probabilmente ancora incastrata e più inconsapevole di stare nel corpo di un’adulta coi desideri di una bambina.
Sicuramente la tirocinante è l’ultima ruota del carro o forse non fa proprio parte del carro, ma grazie alla conoscenza più stretta di una delle educatrici e alle competenze acquisite durante questi anni di percorso nel ProNus, sono riuscita a donare la mia parte che ho sentito è stata riconosciuta in primis proprio dai bambini. A fine tirocinio ho realizzato un piccolo progetto sensomotorio in due giornate coi bambini e le educatrici. Ho sentito da parte delle educatrici fiducia, i bambini si sono affidati e insieme abbiamo esplorato il Graal delle profondità utilizzando l’antenato mare. È stato uno sperimentarsi dentro la storia ed ho compreso quanto per me sia stato importante farlo e quanto come MEP (Movimento Ecm Planetario), se non ci facciamo prendere da paure sterili, possiamo co-creare e dare un importante contributo. È vero oggi il ruolo sicuramente ha la sua fetta per essere
considerati, ma è veramente misera rispetto all’infinità di cose che possiamo esprimere in qualità di crisicercatori dove Mariano ci sta spingendo. Con tutte queste specializzazioni non si capisce più niente, aumenta la liquidità perché nessuno si prende più la responsabilità e si fanno tanti danni. In questi due anni di studio ho capito che la pedagogia, come la propinano loro, non mi piace, sembrano formule matematiche realizzate da esperimenti sugli esseri viventi, si parla di soggettività, ma a chiacchiere, poi nella realtà si tende molto a fare minestroni e insalate dove il bambino ovviamente ci rimane centrifugato dentro.
Io sono una ignorantona, non ho l’esperienza continua sul campo, c’è ancora tanto da imparare, ma questo non toglie che posso sperimentare, per prove ed errori.
Un altro aspetto importante di questo anno è stato l’intreccio che si è creato sul campo con alcune colleghe di corso, una in particolare che viene dalla Basilicata ed ora vive con la sua famiglia a Genova. È stato bello scoprire questa donna, una mia coetanea, anche lei con tre figli che si lancia a fare la studentessa. Per entrambe è una sfida e avere una complice è stimolante e mi aiuta anche ad attraversare quel mio senso di sentirmi meno rispetto all’altro, anzi mi spinge a venire fuori con le mie parti più specifiche che si possono mescolare insieme a quelle di altri. Mi conforta sapermi una parte dell’insieme, questo insieme fatto di tante sfaccettature, di tanti momenti e persone di passaggio che in qualche modo arrivano al momento giusto se sai cogliere e metterti in ascolto. L’anno scorso questa parte di condivisione con i colleghi universitari mi è mancata, è stata una fase più con me stessa per capire e conoscere meglio la realtà universitaria, come muovermi e cercare di “rubare” strategie più nel concreto per non perdere tempo e poter procedere con più facilità.
Quest’anno invece sento che è stato l’anno dei gruppi, della condivisione più alla pari, sia con gli studenti che con alcune professoresse. Mi sono lanciata di più, e forse ho anche goduto di più; nella pagina di diario mi ricordo di aver scritto ” mi sento studentessa per caso, anziché turista, dove sto scoprendo quanto mi è mancato questo pezzo di storia nella mia esistenza e quando guardo questi diciannovenni mi dico “sono fortunata”, la libertà è
quando finalmente inizi a scegliere”.
Quest’anno ho anche conosciuto la professoressa Tognazzi, una donna apparentemente molto sicura di sé, con una propensione a voler a tutti costi studiare e aiutare il prossimo.Rispetto ad altri suoi colleghi che rimangono in cattedra, lei si fa avvicinare o comunque ci prova, e nel momento in cui ho sentito che apriva l’ho sentita incuriosita dalla Fondazione… Certo dall’università non c’è da aspettarsi molto, ma Urbino è anche l’università dove Mariano ha già seminato molto in passato e delle idee mi sono venute, ma è da valutare se
fattibili.
Dopo questi due anni ho scoperto alcune diversità di studenti: il secchione, lo sfaticato e lo strategico (o furbo, detto forse con modalità dispregiativa). Dal secchione ottieni poco, nel senso che non ti dirà mai tutto, e siccome vuole raggiungere grandi obiettivi lo sentirai sempre un po’ lamentoso perché comunque il primo vuole rimanere. Lo sfaticato spesso va fuori corso, che non significa non sia bravo, anzi, spesso sono soggetti che gli basta poco
per prendere un trenta, ma con calma e se c’è tempo, si vive alla giornata e non lo acchiappi mai. Infine lo strategico o il furbo quelli più presi di mira dai professori, bisogna vedere se l’ago della bilancia tende più verso i secchioni o verso gli sfaticati. Di questi ne ho conosciuti, forse Dante li avrebbe messi in uno dei gironi dell’inferno, ma se entri nelle loro grazie hai parecchie password di accesso a come ottenere i risultati che servono a procedere, poi è ovvio che un buon 50% ce lo devi mettere tu.
Quando ho concluso il tirocinio ho goduto, ho sentito di aver fatto un bel pezzo di strada, e non era scontato che sarei riuscita a mettere tutto insieme. Ho voluto concludere anche con un po’ di festa e quando Laura, l’educatrice, mi ha detto “cavolo tre mesi sono volati, è stato bello averti qui!” Ho realizzato l’importanza del riuscire a ricamare senza dover emergere, a come si arriva più in profondità con cose semplici e più immediate, piuttosto che mettere tanta carne che poi alla fine non si apprezza neanche, anzi, l’altro ti fa capire che ha una indigestione.
Nei miei quattro anni da “budella della sanità” ho vissuto un fallimento dietro l’altro, per me è stato frustrante ricevere specchi disconoscenti continui o ancor peggio totale indifferenza. Sì ero anche un buon elemento da sfruttare perché comunque sono una che non si tira indietro quando c’è da “faticà” e quando nascevano le “marette” tra loro allora si ricordavano di me che levavo le castagne dal fuoco, ma poi un soffio di vento annullava
tutto il positivo che avevo messo a cuocere. Ho compreso che rientrando dovrò cambiare modalità, che sono io che non andavo bene per quel tipo di ambiente che comunque rimane sterile e asettico.
Le colleghe non hanno digerito il fatto che mi sono permessa di assentarmi per due anni, cosa che loro vorrebbero fare, ma ovviamente il Faraone Finanziario ancora le condiziona. Alcune di loro si sono fatte venire malattie di ogni genere per non andare al lavoro e probabilmente questo poi alimenta circuiti di rabbia senza fine.
A novembre rientrerò e non so se mi assegneranno di nuovo nello stesso reparto, da una parte forse un po’ desidero ricominciare altrove e forse vorrei iniziare a scegliere più io e non delegare l’esterno perché lo faccia al posto mio.
Arriva giugno e concluso il tirocinio è iniziata la cascata di esami da sostenere e per non appesantirmi stavolta non ho voluto programmare troppo, ho iniziato da uno e poi via un giorno alla volta mi segnavo al successivo che sentivo volevo comunque provare a fare. È stato più semplice così che già prestabilire tutto dall’inizio.
È stato bello sentirmi vicine alcune persone della rrrete ed ogni volta che mi imbarcavo verso Urbino li facevo partecipi… perché anche a distanza le onde aiutano… E poi INDICO MIO suonava in macchina e lo cantavo a squarciagola anche due o tre volte prima di ogni esame.
Alla fine in tre settimane sono riuscita a dare sei esami, con uno non superato che riproverò a settembre e accettando un magnifico 20 dell’ultimo dato, che a mio avviso ha il suo valore sapendo che ci sono arrivata stanca e con tanti attraversamenti in atto che mi stanno accompagnando. La maggior parte dei professori non li conoscevo, quest’anno ho frequentato molto poco, ma avrebbe comunque cambiato poco perché l’estraneità governa molto dentro quelle aule immense, troppo dispersive e molto formali. Mi ricordo ad alcune lezioni con il prof di pedagogia, lui chiamava sempre e solamente una ragazza che si sedeva davanti a lui, sicuramente aveva una bella presenza, era molto estroversa e probabilmente sapeva compiacerlo, e quindi non avrebbe azzardato a chiedere ad altri per non rischiare di trovarsi di fronte a delle critiche da gestire … il professore è “l’istituzione” e se poco provi a uscire dal suo binario sei fuori.
Alba in questi ultimi mesi è stata preziosa, ogni volta che rientravo da Urbino mi aspettava con un bel disegno fatto da lei, dove mi ritraeva o con lei o da sola in mezzo agli antenati (sole, prati, cielo, alberi…). Mi festeggiava così e i suoi disegni li tengo tutti con me come dei “diplomi” che tracciano tutti i miei ultimi step alla conquista del mio C.E.U. di valore.
Sento che apprezza i miei sforzi e riconosce che per me la dinamica universitaria ha un senso profondo e spesso mi dice ” Quando finisci l’università poi finalmente puoi fare la maestra”, magari nella realtà non sarà proprio così, ma il suo sognare mi aiuta molto.
Questo bilancio-riflessione lo voglio dedicare proprio ad Alba, alla sua parte sognatrice e concreta, al suo essere accompagnatrice devota, alla sua vitalità e curiosità. Il suo arrivo nella mia storia è come avere avuto un’altra occasione per rimettermi in un movimento diverso, un cambio di direzione nella mia esistenza più concreto. Sono stata una madre un po’ così, confusa e tardona, infantile e liquida, da questo sono ripartita e ancora sono in
viaggio… meno confusa e più consapevole.
Luca l’ho sentito più complice in questo pezzo di strada, sicuramente anche il suo scegliere di lanciarsi nella prova del TFA gli ha fatto comprendere di più i miei attraversamenti rispetto alla scuola e quindi ha iniziato ad apprezzare più in profondità gli sforzi e l’impegno che sto concretizzando. L’ho sentito felice dei miei traguardi, premuroso e partecipe. Forse anche lui non credeva che sarei riuscita ad essere determinata e da parte mia sto
ridimensionando un po’ alla volta che io sono “la studentessa disagiata” e lui quello “bravo irraggiungibile”.
Quella da cui non posso aspettarmi altrettanto entusiasmo è Elisabetta che proprio ieri pomeriggio durante i festeggiamenti della chiusura del centro estivo che ha frequentato Alba mi ha dato la ciliegina sulla torta.
Questo mi insegna che bisogna essere sempre pronti, in fondo questa parte sua di invidia nei miei riguardi non è una cosa che posso fargli modificare, certo ieri forse con la stanchezza che avevo e il desiderio di godermi la festa forse più che sentirmi dire “Beh, c’hai pensato troppo a riprendere gli studi… andava fatto prima!” in questo caso il silenzio lo avrei apprezzato di più. Nel mio percorso di crescita sto cercando di conquistare il “muro di
gomma”, a volte sembra così irraggiungibile che ci si può scoraggiare, ma se ogni passo richiede uno sforzo e le pietre fanno parte del cammino la sfida è ancora aperta. Prendi l’arte e…
Benedico questi ultimi mesi: l’immersione coi bambini, le giornate da studentessa, gli incontri casuali e transitori, i giorni interi a studiare, i mal di testa da ricovero, le pagine di diario da imbrattare prima di ogni esame, i sogni da incubo e i tragitti in macchina di andata e ritorno ad Urbino, tutto questo mi ha aiutata a restare attaccata al mio desiderio di progredire e di perseverare anche quando il buio è pesto e il dolore sembra la tua pelle.
Ringrazio chi in questo step mi è stato accanto, mi ha sostenuta e ha creduto in me, non è scontato e mi ritengo fortunata.
Oggi un po’ festeggio con la mia fetta di torta, magari senza ciliegina.
Benedetta