LASCIARE ANDARE
Lettera dal diacronico al sincronico, 16-06-23
Caro Mamoudou,
ti scrivo senza pensarci troppo, ti scrivo dopo che il tuo prezioso primogenito è atterrato qui nelle Marche dopo due anni che si è trasferito da tuo fratello Oumar.
Non abbiamo avuto modo di conoscerci in profondità io e te, se non in qualche fugace incontro dove i tuoi occhi trattavano l’arresa, la sconfitta, una tristezza grande, ma non meno grande era l’energia che ho respirato quando per qualche istante abbiamo condiviso lo stesso spazio tempo. Io sono arrivata tardi per riuscire a trovare una strada che ci facesse incontrare, io allora ero anche distante da me e tu troppo irraggiungibile per me. Ti ho conosciuto in questi anni attraverso i racconti di Nicoletta, sono stata male con lei quando avete affrontato il divorzio, ricordo ancora quando l’ho accompagnata al tribunale di Foggia, un luogo asettico, così grande e dispersivo da non riuscire a raccogliere tanto dolore, forse troppo per anime che si sono ingabbiate senza ritorno. E poi quando sei venuto ad Ancona come un’anima persa nel girone dei dannati che non riusciva a lasciare andare, che si sentiva “troppo” in una storia stretta.
Nicoletta con il suo procedere, credere e amare ti ha liberato, almeno sento per quello che aspettava lei ed io lo so che lo sai Mamoudou, so che tu ora stai raccogliendo l’amore di questa donna, lo sento. Ci sarebbe tanto da dire ma non voglio banalizzare, le parole a volte purtroppo lo fanno… e il tempo, i passaggi reali sono lenti e silenziosi.
Quando hai deciso di morire, ancora prima di lasciare questa esistenza, io ho sofferto con loro, soprattutto per Moise e Malick, due perle preziose che oggi si stanno riconquistando il loro nome, le loro radici, la loro fetta importante di etnia. Io sono fiera di questi due ragazzi, in qualche modo Mamoudou, grazie all’apertura e alla generosità di Nicoletta, in qualche modo sento di averli partoriti anche io, come figli dell’InDiCo che mi ha fatto dono di farli entrare nella mia vita per scombussolarla e scoprire cosa vuol dire amare. Io oggi sento caro Mamoudou che l’amore autentico non è di certo quello che si accende subito, che immediatamente ti porta sulla luna, sì è una bella poesia, ma nella crisi, nella continuità dello scambio, nella lungimiranza dei propri attraversamenti lì si sperimenta l’amore, quello specifico quello che non genera solo farfalle nello stomaco, ma che apre continuamente nuovi orizzonti da cercare insieme, quello che se anche l’altro ti spaventata e ti dà fastidio tu sai che è anche quello un pezzo di strada obbligatorio da percorrere, dove non ci sono soluzioni immediate, ma attese amorevoli e salti quantici da innescare. Amo i tuoi figli perché oggi li sento dentro nonostante la distanza, perché quando stiamo insieme sembra non essere passato neanche un istante da quando ci siamo salutati.
Moìse è stato qui a casa, un passaggio veloce, ma così naturale e intenso che oggi mi ha spinto a scriverti. Mi dispiace che non lo hai potuto conoscere in profondità, ma so che lui, che ti ama te lo sta facendo arrivare… Sei stato onnipotente Mamoudou, come tanti, e voglio dirti che anche io come te ogni giorno sono a rischio di perdere il senso, però oggi ho la fortuna di non sentirmi più sola e nella mia parte “sola” di imparare un giorno alla volta a starci, con tutti i mostri di nostro signore senex.
Ti voglio ringraziare per aver creato con Nicoletta questa discendenza che nella liquidità del disagio sta riconoscendo e ricostruendo qualcosa che metta insieme liquidità e terraferma, un lavoro da costruttori raffinati, e i tuoi figli e nostri figli per alcune cose stanno facendo strada.
Ti ringrazio per tutte le volte che mi vieni in sogno, perché anche tu ancora puoi fare qualcosa.
Ti auguro di lasciare andare ogni giorno di più quella parte di figlio ingabbiato, i tuoi figli sono un esempio e da loro possiamo ancora imparare.
Grazie a loro ti voglio bene e ti ho odiato, ed ora anche io posso lasciarti andare.
Bon voyage caro Mamoudou, Benedetta