“…ho sentito come se ripartissi da uno e non più da tre”. Nicoletta

Oggi è il 2 marzo, e non è passata neanche una settimana da quando io e Benedetta siamo rientrate da Bruxelles, questa grande capitale multietnica che accoglie da circa 1 anno e mezzo i mei figli, che oggi sento ancora di più figli dell’Indico e della famiglia africana Kebe, in particolare dello zio Oumar, il fratello di Mamoudou, papà di Moise e Malick. Voglio usare le parole di Cindy per descrivere Oumar; è un puro, un uomo dal cuore sincero che ha in sé il senso della famiglia molteplice. Oumar è l’ultimo di tre fratelli e tre sorelle che, arrivando in Belgio 15 anni fa, si trovò avanti una realtà diversa da quella che i fratelli gli avevano prospettato e ha dovuto affrontare difficoltà, scegliere una strada per lui, senza farsi tirare indietro dagli stessi fratelli, guardare avanti e costruirsi dal niente da solo. È stato l’unico dei fratelli, assieme alla sorella Adja, che si è occupato di Mamoudou durante la malattia e lo ha accompagnato fino alla morte con amore e dedizione. Prima di morire Mamoudou mi disse di fare riferimento a questi due fratelli per farmi aiutare con i ragazzi e di per-donarlo per il suo abbandono. Io l’ho per-donato con il mio cambiamento e con il mio non rinnegare quella radice africana che ha fatto in modo che io potessi fare risuonare e riconoscere il mio codice Biorganico per poi oggi arrivare alle mie radici; l’ho per-donato riaprendo il mio cuore e la fiducia verso Oumar e la famiglia Kebe che, con la sua morte e grazie anche a Moise che li ha cercati e voluti, ha fatto riaprire porte che ormai credevo chiuse. Spesso, quando Moise ricadeva con la soluzione del bere, ho male-detto suo padre ma, da quando è avvenuto il passaggio dei ragazzi in Belgio, l’ho avvertito un po’ alla volta più vicino in positivo, come se lui fosse felice del loro arrivo e che potesse accompagnarli a riprendersi un cognome ” Kebe” che non appartiene più solo a lui per ciò che è stata la sua storia di dolore, di negativo come un sigillo ma ad oggi appartiene anche a Moise e Malick e che loro possono aggiungere a questa radice e impregnarla della loro specificità; ho fiducia che questo cognome possa risuonare di un nuovo da scrivere. Un anno e mezzo fa abbiamo deciso di separare le nostre strade ma non i nostri cuori, siamo tornati ognuno in una parte di rispettive terre e radici perché i 14 anni trascorsi ad Ancona erano ormai conclusi e portandoci un bottino da mettere a frutto, anche se le condizioni di partenza per ciascuno sono state diverse. Abbiamo lasciato una casa e ci siamo messi in viaggio con la nostra casetta interiore in altre case e non ancora in una casa veramente nostra…Ancora.
Ad oggi posso dire che siamo stati bravi, molto bravi. Bruxelles per me ha anche rappresentato la terra nella quale Mamoudou si è rifugiato per separarsi da noi e sinceramente anche lo scorso aprile, quando sono andata a trovarli, è stato difficile; ritrovandoci ho sentito quanto ancora eravamo impregnati del vecchio, ancora io dovevo digerire la zona pellucida anconetana e, nonostante il tanto positivo, Moise non contemplava e accoglieva il suo CEU in tutte le sue parti e poi c’era Malick ancora desideroso della terra marchigiana e spaurito. Troppi livelli che s’intrecciavano, anche la presenza e gli odori di quell’Africa che tanto mi ha salvata nei miei 21 anni e tanto mi aveva ferita e che sentivo non mi apparteneva più come prima; Qualche volta guardandoli mi dicevo: ”ma sono veramente figli miei ?” Tanto mi sono sentita staccata da quella Nicoletta dei 21 anni, ho cambiato pelle come un serpente. Mi ero ripromessa di non fare più la solita coraggiosa che affronta da sola e così questa volta ho deciso di andare in compagnia. Diciamo che non ho scelto io Benedetta ma lei ha scelto noi e ha spinto me a partire e ad affidarmi partendo da quelli che erano i miei bisogni e i nostri desideri.
Da questo nuovo anno ci sono cose che non riesco più a fare da sola e non voglio neanche farle, finalmente, tanto non devo dimostrare più niente a nessuno e né tantomeno a me stessa, anche se poi ancora non è immediato chiedere per me e neanche ho più voglia di accontentarmi o di fare sempre io per prima. Così mi sono affidata e abbiamo deciso di partire prima che febbraio si concludesse.
Un altro aspetto che ho deciso è stato quello di stare in un piccolo albergo e non a casa con i ragazzi, visto le mie energie, oggi devo avere il mio tempo per ricaricarmi e stare con me stessa per procedere con un sentire più a partire da me, voglio avere più rispetto delle mie parti fragili.
Sentivo a distanza che era un momento delicato per entrambi i ragazzi perché in questo ultimo mese lo zio ha lasciato a loro la casa di sua proprietà e ha iniziato la convivenza con la sua compagna algerina con la quale sta da tre anni.
La presenza di questa figura femminile che poi abbiamo conosciuto l’ho sentita importante per questi tre maschi.
Ad oggi Moise è entrato a far parte pienamente delle attività dello zio come Personal Trainer e responsabile della palestra che lui stesso in questi anni ha progettato e alla quale ha unito l’importexport di macchinari per l’attività fisica e la riabilitazione di cui si occupa Oumar.
Malick invece lavora nella ristorazione e sta anche lui pensando di iniziare degli studi per aprirsi nuove strade e allora come in una Mission siamo partite per vedere se si poteva aiutarli a chiudere una fase facendogli fare conoscenza e dargli le prospettive per il dopo.
Appena siamo arrivate a Bruxelles, a nostra insaputa, fuori dall’ aeroporto c’era Oumar ad attenderci, ci siamo venuti incontro e abbandonati ad un lungo abbraccio che racchiudeva affetto, stima ma anche desiderio di scambiare, parlare e confrontarci su di noi e i ragazzi.
Benedetta l’ho presentata come mia sorella acquisita spiegando ad Oumar che ci siamo molto aiutate nella crescita dei ragazzi e dell’accompagnamento che ci siamo scambiate all’interno del percorso fatto insieme e così anche per lei è iniziato un viaggio nella famiglia Kebe.
Dall’aeroporto all’albergo, dove ci aspettavano Moise e Malick, per quasi un’ora, mentre Oumar guidava, ho voluto tenere la sua mano tra le mie, l’ho accarezzato, l’ho ascoltato, abbiamo parlato dei suoi progetti e lui mi ha parlato di come Malick si è aperto con la lingua francese, con il territorio e anche con lui.
Non è stato semplice tra Malick e Oumar perché, mentre lo zio voleva una relazione reciproca, lui gli rimandava una certa diffidenza e quindi c’è voluto tempo, ma ad oggi Malick si è messo molto alla pari con Oumar; Malick è unico perché conserva sempre quella sua radice ben salda che si tiene come un albero maestro.
L’ho trovato nella sua semplicità profondo, essenziale, più fiducioso delle sue potenzialità e con un rapporto più alla pari anche con il fratello, anzi a dire il vero Moise attende sempre il confronto con Malick prima di prendere una decisione.
Questo mi ha emozionato perché finalmente stanno sciogliendo quel legame padre figlio che non permetteva a Malick di emergere snaturando anche Moise nella loro relazione.
Io sono grata a quest’uomo perché per loro e soprattutto per Moise rappresenta una radice importante nella quale si sta identificando, confrontando, può chiedere ma ne ha anche timore e rispetto e vederne i limiti.
Ne sono grata perché ha permesso anche a me di alleggerirmi delle tante responsabilità che mi sono caricata da sola.
Non è un uomo al quale si possono raccontare cazzate e che devi compiacere, ma ci devi stare a partire da te con sincerità e onestà.
Rappresenta un angolo alfa fondamentale per Moise che però sa accogliere anche il triangolo del cambiamento e che sta aiutando i ragazzi ad avere un progetto per la loro vita senza svendersi ma a partire da ciò che sono i loro desideri.
Come mi ha detto Oumar sono arrivati che erano dei ragazzi e oggi stanno diventando adulti.
Stando con loro in questi cinque giorni mi è venuta in mente l’immagine del corteo nel quale abbiamo accompagnato i ragazzi della T.S.A. alle porte della Foresta Sacra dove c’erano i Kankouran ad accompagnarli ed è così che ho visto Moise e Malick che in questo anno e mezzo hanno attraversato tante difficoltà in questa foresta metropolitana accompagnati da Oumar ma che ad oggi stanno cominciando a formarsi per uscire all’adultità ma è un passaggio che ancora è in corso.
Le giornate sono state lunghe e intense, abbiamo ascoltato tanto quello che loro avevano da dirci, ma siamo state anche portatrici delle novità che riguardano la Fondazione, i ragazzi che loro hanno lasciato nel territorio marchigiano e dei quali ci hanno chiesto, abbiamo voluto raccontare del nuovo direttivo dell’Associazione Marche e della crescita del Villaggio.
Ci tenevo a riportare l’esperienza che questi ragazzi e le famiglie che stanno facendo con la T.S.A. perché è una grande opportunità che Mariano sta donando con grande amore per la discendenza e che oggi c’è.
Abbiamo cercato di accompagnare a sciogliere alcuni aspetti che erano rimasti aperti in Moise soprattutto rispetto ad alcune relazioni con maschi che hanno fatto parte del suo percorso nel Progetto ed è stato importante perché sia io che Benedetta siamo riuscite ad accogliere il negativo e fare spin, commutare, procedere e far vedere prospettive per riuscire a dare una spinta alla gravidanza del negativo altrimenti si rischia che le scorie diventino radioattive.
Bruxelles me la sono vissuta con più leggerezza e con meno aspettative, mi ha fatto meno paura e mi è sembrata più vivibile, forse perché ho visto anche loro più centrati e che riescono a contemplare e ad accogliere con più serenità lo stare soli con se stessi e sicuramente anche io nella distinzione con loro.
Abbiamo suonato le diverse note dell’home life e viaggiato tra le diverse culture nelle quali i tre maschi ci hanno portato.
Ci siamo fatte tante risate, ci sono stati momenti di Alethèia e ho trovato Moise più aperto ad accogliere anche le contraddizioni e le complessità che la vita gli presenta, “ce la sta mettendo tutta” come mi ha detto Benedetta e ho percepito un inizio di alternanza delle parti del CEU dentro lui.
Ci ho sentiti più liberi con l’analogico l’uno verso l’altro e più amorevoli l’uno verso i passaggi dell’altro.
Il primo giorno mi sono svegliata la mattina con le lacrime agli occhi e così mi sono lasciata andare ad un pianto benefico e ai racconti di quest’ultimo periodo che per me non è stato semplice ma del quale avrò cura di aggiornare nei prossimi giorni. Con loro non ho voluto soltanto dire il positivo ma anche esprimere nell’immediato aspetti che non mi piacevano o sui quali potevano migliorare, mi sono sentita più libera e non avevo più la sensazione che perdevo qualcosa dicendo anche ciò che non vedevo buono per loro o dando un mio parere sul loro procedere anche se contrastava con il loro; non che non l’abbia fatto prima ma avevo sempre bisogno di arrivare al culmine per tenere a bada uno strano senso di colpa, trattenere, per poi dirle con rabbia e invece questa volta non è stato così.
Il giorno prima della partenza abbiamo concluso i nostri giorni a casa della compagna di Oumar, la quale ci ha preparato un‘accoglienza molto bella. In quella serata ci siamo ritrovati in una famiglia allargata che finalmente si riuniva.
Una serata nella quale mi sono sentita riconosciuta da questa coppia e da Oumar a partire dall’inizio della nostra relazione avvenuta quando io nel 94 sono stata in Costa D’Avorio un anno e lui era un ragazzo.
Ad un certo punto ho cominciato a raccontare di lui, delle cose che facevamo insieme ed è stato come far pace con quella parte di Africa e della Nicoletta che già allora aveva coltivato la relazione con Oumar, l’ho voluto riportare anche a quel ragazzo che comunque ho sentito è ancora dentro di lui e che dovrebbe far emergere più spesso e permettersi di vivere anche una parte più leggera con i ragazzi.
Lui in quell’anno mi stette molto vicino e poi ci divertivamo insieme, ho voluto dare anche una parte di storia di Oumar a Mariam e in quel momento ci siamo emozionati ed è stato importante per tutti sentire questa nostra vicinanza e conoscenza.
Quella sera ho sentito il rispetto, il valore e la riconoscenza che non ho mai avuto dalla mia famiglia d’origine, sono occhi, parole, gesti, sensibilità che leniscono le cicatrici di quelle ferite antiche; mi sono sentita un fuoco fusionale dentro, una sensazione di forza interiore che mi sta lavorando dentro oggi.
Benedetta è stata un’accompagnatrice delicata ed essenziale, mi conosce in profondità e la sua crescita è tornata anche a noi e alle persone che abbiamo visitato in questo viaggio, c’è saputa stare con tutti i codici senza spaventarsi e aver timore di esprimere le sue emozioni.
Ti ringrazio Benedetta dal profondo del mio cuore, oggi per me sei una presenza dentro anche se non siamo vicine e il nostro rapporto è più autentico proprio perché è più libero dai nostri FUK e non dobbiamo dimostrare più niente l’una all’altra, ecco direi che ci possiamo sentire veramente libere. È anche grazie a te se oggi riparto con più fiducia e serenità.
Ci tenevo a scrivere, ad aggiornare Mariano e le tante persone che ci hanno tenuto alle nostre vite e che ci tengono ancora.
Sono certa che i filamenti della Teoria Prassi vissuta all’interno del Progetto Nuova Specie cominciato da me e poi arrivato e vissuto dai miei figli li accompagni ogni giorno dentro, lavora e si arricchisce.
Non c’è stato un giorno che non abbiano fatto teoria o fatto riferimento anche all’esperienza che soprattutto Moise si porta dentro e che ancora lo accompagna.
Io e loro non saremmo qui a raccontare se non ci fosse stato il Progetto Nuova Specie, l’accoglienza e le spinte date da Mariano in primis e poi anche da Raffaele, delle donne accompagnatrici come Monica, Cindy, Silvia, Sandra, Annarita e Francesco ancora di più oggi ma anche da altri accompagnatori durante i progetti di convivenza intensiva fatti da Moise e da me.
Ringraziare Mariano e la sua Locomotiva per me è doveroso e sentito, ma io penso che la cosa più importante e di valore che oggi voglio condividere è la forza della discendenza anche che ho visto nel coraggioso procedere di questi due ragazzi, anche miei figli, anche vostri figli ma soprattutto figli di questa Gravidanza Universale Kosmica.
Io, Benedetta, Moise e Malick ci siamo incontrati, vissuti e viaggiato ogni giorno portando dento gli strumenti che il Progetto Nuova Specie grazie all’amore che Mariano ha avuto per la crescita delle persone, dei ragazzi, dei bambini, delle famiglie e in questi 18 anni con me e il nostro Trio.
Oggi rispetto a loro sono più serena, più felice, più concreta, meno illusa, più distinta e al decollo da Bruxelles tra le ultime poche lacrime che sono scese sul mio volto ho sentito come se ripartissi da uno e non più da tre.
Nicoletta un solo cuore

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