“Bon voyage oltre i nostri cosiddetti confini”! Benedetta

02-03-23
Fino a ieri scorrevano davanti ai miei occhi le immagini dei giorni trascorsi nel profondo di Bruxelles; come una pellicola che si avvolge quasi a volermi far rivivere quelle emozioni che secondo me vanno raccontate e soprattutto lasciate nella memoria storica di chi si sente parte di questa famiglia, non una qualunque, una famiglia ontologica in viaggio.
Si fanno tanti passaggi, o non si fanno, il nostro passaggio a Bruxelles è stato come un agganciare un filo tra il passato e il presente, shakerare quello che poteva rischiare di fermarsi e lasciare andare per iniziare un nuovo capitolo.
Ad accoglierci e a desiderare l’arrivo mio e di Nicoletta in questa parte multietnica del Belgio sono stati proprio i fratelli Kebè, dove da un anno e mezzo si sono trasferiti e hanno iniziato questa nuova esperienza fuori dall’Italia grazie a “TONTON” Oumar che vive da diversi anni a Bruxelles.
Atterrare su questo pezzo di terra per me straniero è stato eccitante, finalmente potevo conoscere i posti e i luoghi che hanno ospitato i “nostri” ragazzi e finalmente… il franceseeeee! Quella lingua che mi porto dalle scuole medie che ho congelato dentro di me e che da allora mi ha sempre affascinata.
In quei cinque giorni ho sentito il tempo fermarsi, dilatarsi per dare spazio alla ricchezza dei vissuti che si sono intrecciati tra tutti noi e che ci hanno permesso di scendere in profondità. Io e Nicoletta avevamo il globale massimo di entrare nell’ordinario di Moise e Malick, ascoltarci e ascoltarli, sentendoci due donne di valore che desideravano lasciare
qualcosa di prezioso ad entrambi e anche a noi due, che va al di là del materiale.
Mi sono sentita accolta, cercata e voluta, dove la mia opinione era importante, come una di famiglia, infatti i ragazzi mi hanno presentata come la loro “tante” e Nicoletta come “sa soeur”. Non è scontato ed è stato bello perché mi sono sentita né di non essere all’altezza, né che in alcuni momenti potevo essere di troppo.
Questa per me la posso e la voglio anche chiamare “dinamica metastorica”, dove a differenza di quello che ho vissuto nella mia famiglia di origine “il tuo valore è”, e la mia dignità ha la sua identità.
Finché non entri nella vita di qualcuno e ti sporchi di questa fino in fondo è difficile creare un legame e si rischia di fare solo fotografie e rimanere in superficie nella relazione; mi sento onorata e felice di essermi inoltrata nei fondali di questa famiglia che sento hanno lavorato e stanno continuando a lavorare per difendere e trasformare le proprie ferite
storiche.
Ci spaventiamo degli altri ed entriamo nel confronto-differenza quando ci fermiamo e abbiamo smesso di voler conoscere, quando pensiamo che l’altro non è un’opportunità per noi, ma piuttosto un ostacolo.
I ragazzi ci hanno tenuto a farci sentire a nostro agio, sono stati speciali, si sono aperti, affidati e ogni giorno c’è stato il desiderio di condividere e attraversare insieme.
“Il Ceu dentro di noi, e noi dentro la Guk.” Questa frase che Mariano ci ha regalato, ogni giorno era con me; ho sentito quanto è più bello e reale sentire che ognuno ha il suo Ceu da spendere nella Guk, senza dover confonderlo con quello di altri. I nostri quattro Ceu in quei giorni hanno viaggiato ognuno per sé, finalmente liberi dall’aspettativa verso l’altro. Ci
sono stati momenti in cui ho sentito che per me fare spin era più naturale e ringrazio tutti e tre perché su questo ho sentito che ci siamo rispettati molto, ho sentito una fiducia reciproca che ci ha permesso di sfasarci nei vari attraversamenti individuali. Ho pprezzato Moise, l’ho sentito più centrato e più pronto e veloce nel rielaborare e rimettersi in gioco; mi ha fatto gioire sentirlo più in pace, meno arrabbiato e con il desiderio di costruire.
E’ stato bravo a ripartire dopo che la dinamica conclusa qui nelle Marche lo aveva portato ad una profonda destrutturazione. La presenza di zio Oumar è stata fondamentale soprattutto all’inizio, dove lui aveva bisogno di ritrovare anche la sua radice africana. Penso che va dato onore a zio Oumar che c’è stato e ha reso possibile l’inizio di una metamorfosi per Moise.
Moise ha saputo poi fare strada a Malick e, nonostante le difficoltà che ci sono state soprattutto all’inizio, Malick l’ho trovato un bel fiore sbocciato che si è aperto molto, non ha perso tempo e si sta anche lui creando un pezzettino alla volta la sua strada.
Ci sono stati tre momenti che mi hanno emozionata. Il primo è stato vedere Moise e Malick complici, che non vuol dire che non si vivono l’arco di sinistra (il negativo), ma li ho sentiti che ci sono l’uno per l’altro alla pari. Entrambi si fidano di più di se stessi e quindi dell’altro. Li ho visti sul campo come si aiutano ad andare oltre e non più a respingersi come una volta, o meglio ad incastrarsi tra loro in ruoli che non li facevano incontrare alla pari. Mentre li osservavo ho pensato molto a Ludovico e a Valentino e a quanto sia importante poter lavorare già da ora sui nodi da sciogliere, come insegna il Progetto Nuova Specie, per costruire e far crescere i legami-relazioni covalenti che partono dal collegamento più forte che abbiamo con la nostra profondità.
Dentro le vene di Moise e Malick scorre una potente radice africana che va più in profondità di quello che abbiamo potuto respirare noi occidentali, ed oltre a questo è stato bello vedere quanto il Progetto Nuova Specie sia dentro di loro, con la teoria profonda di Mariano e tutte le persone conosciute dentro questo percorso che li hanno in qualche modo segnati nei loro anni più significativi. Penso che entrambi possono veramente ringraziare quello che hanno potuto respirare grazie soprattutto a Nicoletta perché è stata una donna che ci ha creduto e che con determinazione è riuscita ad accompagnarli, a starci, anche lavorando sui propri nodi, per alleggerirli e sottolineo saperli lasciare andare quando la dinamica era conclusa e lei non avrebbe potuto più aggiungere. Questa suo coraggio mi emoziona…
Per una madre a volte probabilmente può essere più semplice continuare a tenere un figlio sotto la propria ala piuttosto che trovare il coraggio di dire “ora mi fido di te, puoi andare” e non è solo un fatto simbolico, ma è un taglio profondo che ti porta a dover perdere alcune certezze che fino a quel momento hanno sorretto quell’entanglement madre-figlio.
Nicoletta oltre ad essere una sorella per me, in questi anni è stata un esempio di come si può realmente viaggiare nell’esistenza con il procedere incerto, e ogni volta starle vicino, accompagnarla, seguirla mi sta aiutando a non fermarmi. Osservarla e respirare i suoi passaggi in quei giorni è stato come una scuola di vita che si interra nella realtà.
Un altro momento emozionante è stato quando la sera prima della partenza abbiamo accettato volentieri l’invito a cena di Mariam, la compagna di Oumar, con la quale vive da qualche settimana, e durante la cena nell’ascoltare i racconti di Nicoletta su Oumar ho sentito un’energia forte, non era solo ritornare al passato, ma un collegamento forte con la
radice della famiglia Kebè, dove Oumar nel ritrovarsi nei racconti di Nicoletta l’ho sentito emozionato, il suo viso si era trasformato. Ero felice di essere tra loro, anche se spesso la lingua francese non mi permetteva di capire tutto, ho sentito la mia capacità di riuscire a stare con altri codici.
Sono stata veramente contenta di conoscere la radice africana dei nostri ragazzi perché prima era come stare con loro con una sola gamba e invece la vicinanza silente e amorevole che ho sentito stando seduta accanto ad Oumar mi ha aggiunto molto e sento che mi ha come riconciliata con la figura di Mamoudou (conosciuto come Kebè) che per come lo avevo vissuto quando l’ho conosciuto, ero come rimasta aperta verso questo
uomo dal quale emergeva più rabbia che altro.
Quella sera a tavola abbiamo parlato anche delle nostre due belga, Sandra e Cindy, è stato bello vedere come Oumar si ricordava bene di loro in un suo passaggio qua in Italia. Ho apprezzato questa sua grande sensibilità nel riconoscere e dar valore alla memoria e ai vissuti e lo ringrazio per questo perché mi ha aiutata a rimanere in profondità e a stare dentro di me. Sono stata contenta quando nel salutarci lui ha detto a Nicoletta che presto vuole venire in Italia, l’ho sentito un ulteriore riconoscimento verso Nicoletta, e anche dare un senso più vero alla sua-nostra andata.
In quei giorni ho riconosciuto parti di Oumar in Moìse ed è stato bello vedere come Moìse era felice quando glielo facevo notare.
La mattina della partenza prima di salutarci abbiamo lasciato a Malick e Moìse un Pillolendario e altre pubblicazioni da leggere che entrambi hanno apprezzato. L’ho vissuta come una consegna da due donne che oggi rappresentano anche la Fondazione Nuova Specie e che ci hanno tenuto a dare onore a questa realtà che ci sta dando degli strumenti
importanti per la crescita dove non esiste confine per seminare, nell’essere co-creatori nella Guk si può arrivare ovunque.
Ringrazio Moìse e Malick, sento che sono due ragazzi coraggiosi che si stanno sperimentando in una terra non facile, anche perché sento che il loro procedere e fare buffering è sì più difficile, ma ha grande valore anche per quello che ritornerà ad altri ragazzi come know how. Li ringrazio per essersi messi alla pari e avermi donato momenti di grande fusionalità.
Ringrazio te Nicoletta che ti sei ancora una volta affidata e fidata, non solo di me, ma di tutto il tuo Ceu e sono felice che oggi posso continuare a goderne anche io. Sei una donna leale e coraggiosa che sai dar valore e accompagnare con determinazione.
Una cosa certa che mi porto dentro di questi giorni è che la gravidanza del negativo in Pamoja è possibile.
Grazie Mariano per essere il primo a crederci.
Bon voyage oltre i nostri cosiddetti confini!
Benedetta

1 Commento/i

  1. Luca Pieroni

    Ciao Benedetta, leggere il tuo racconto è molto bello ma, quello che più mi ha colpito sono i passi di teoria profonda sui quali è importante che ci soffermiamo un po di più ogniqualvolta pensiamo che è meglio chiudere all’esterno e rimanere nel nostro orticello!ciao

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