Muro di Berlino e Muro Utero PSI

Sono di ritorno dalla Germania, da Berlino per l’esattezza. Su un aereo traboccante di esseri umani stipati ordinatamente uno vicino all’altro, sono infastidito alla mia sinistra dall’invadenza di un teutonico stravagante con ai piedi un paio di scarpe blu elettrico rivestite di borchiettine azzurre scintillanti. Alla mia destra, vedo una vasta distesa enorme di terra ocra, verdino e verde scuro, intervallata ora da un grande fiume ora da agglomerati più o meno grandi di case. Siamo in un qualche punto dell’Europa centrale.

Sono stanco e affaticato, non tanto per le corse con vari mezzi incluse le proprie gambe che le lunghe distanze metropolitane impongono volenti o nolenti, piuttosto perché in questa come in altre trasferte di lavoro bisogna usare tanto il cervello, la razionalità o, come lo chiameremmo nel Progetto Nuova Specie, il codice simbolico. Tra meeting, brainstorming, call e planning tante delle proprie energie svaniscono inesorabilmente a metà giornata, anche se sei stato seduto su comode sedie Made in Germany tutto il tempo. Perché proprio in Germania? E perché Berlino? Semplice: la facoltosa azienda per la quale lavoro è tedesca di origine e, per vari motivi più o meno espliciti e/o condivisibili, ha aperto da alcuni anni una sede in Italia. Per gli standard italiani il mio impiego è ottimo, considerata anche la mia giovane età. D’altro canto…
Ciò che però mi interessa di più, ad oggi, di questo lavoro è la posizione privilegiata in cui mi pone rispetto al vedere, osservare, contemplare sia il Faraone Finanziario e come opera sia la società tedesca ed alcune sue caratteristiche. Oggi, voglio condividere alcune osservazioni che ho fatto su alcuni elementi della storia e della città di Berlino. Per come mi sono apparsi, per come li ho elaborati io.

Innanzi tutto, mi ha molto colpito che la città, nonostante la sua vastità e alto livello di urbanizzazione, abbia tanti spazi verdi, alberi su ogni strada, parchi lunghi chilometri. Inoltre, a differenza di altre città tedesche dove sono stato, si vede la precisione tedesca ma in un modo più disteso, meno netto. Capita di guardarsi attorno e vedere edifici in condizioni che a Monaco non vedresti mai. In più, ci sono cantieri di costruzioni o rinnovo molto più frequenti. In breve, si vede che la città ha avuto una storia diversa e si vede che è una città dove per chi ci vive contano cose diverse.

Il mio hotel si trovava in quello che un tempo era il cuore di Berlino ovest. A poche centinaia di metri dalla Kaufhaus des Westens – i grandi magazzini degli occidentali, ovvero dei Berlinesi dei settori controllati da Statunitensi, Francesi e Britannici. La Kaufhaus des Westens era uno dei simboli della ricchezza e prosperità capitalistica rispetto al “diavolo bolscevico” che si era impossessato di parte della Germania e della porzione orientale della città. Tale divisione affonda le sue radici nella seconda guerra mondiale e, più nello specifico, nella Conferenza di Jalta durante la quale i cosiddetti Alleati concordarono che la Germania sarebbe stata divisa in zone di occupazione, ognuna assegnata alle quattro potenze combattenti fianco a fianco: USA, Francia, Regno Unito e URSS. Bisognava sconfiggere la tirannia nazista ed evitare che questa in futuro riprendesse vigore, ufficialmente. Ufficiosamente, a mio avviso, nei nuovi equilibri geopolitici che si stavano delineando, bisognava evitare più che mai che ci fosse una, grande superpotenza in Europa Centrale. Rischio che la Prima e poi la Seconda Guerra Mondiale hanno scongiurato a scapito di circa 10 milioni di morti, nella prima, e circa 60 milioni di morti, nella seconda. Molto bisognerebbe rivedere della storia e di come ci è stata trasmessa ma non per nascondere o smentire cose pur giuste ma per vederla in termini di senso, comprendere i vari contributi, il perché del comportamento di alcuni personaggi, al di là della semplicioneria con cui li si è bollati parlando di fanatismo. Bisognerebbe entrare nelle cause profonde e comprendere come, in realtà, gli eventi storici siano il frutto di tutti gli uomini e diecimila esseri che vi partecipano, non solo di pochi che decidono.

Tornando su Berlino, ne ho potuto vedere aspetti molto contrastanti. Innanzi tutto, il dislivello tra il ceto che ha trovato un suo posto nella logica del Faraone Finanziario e può permettersi di passare una serata facendo un barbecue su un battello a spasso sulla Sprea (il fiume che attraversa la città), alla modica somma di 450 euro per tre ore, e chi cerca bottiglie di plastica nei cassonetti perché, per evitare di avere vetro e soprattutto plastica in giro per le strade, vengono offerti alcuni centesimi per chi porta indietro bottiglie di questi materiali. 25 centesimi per ogni bottiglia di plastica e meno di 10 per quelle di vetro. La misura è ottima per evitare sprechi e rifiuti ma fa anche vedere quante persone infilano il braccio nei cestini alla ricerca di una bottiglia, tra rifiuti di ogni tipo, anche cacca di cane. Abbiamo lavorato in due uffici diversi, per via di relazioni diverse con ciò che dovevamo fare. Il primo ufficio era ricavato da una vecchia fabbrica di strumenti musicali. Un edificio grandissimo e dal caratteristico stile industriale europeo, insomma, proprio ciò che ti aspetteresti da un’azienda tech berlinese. Il secondo ufficio, sede della nostra azienda in uno spazio di coworking che ha anche altre sedi in tutto il mondo, era invece nelle vicinanze della modernissima Potsdamer Platz. Stile diverso ma stessa base: proiettarsi nella modernità ed essere all’avanguardia nel panorama del terziario tedesco.

Potsdamer Platz è anche uno dei luoghi significativi legati al Muro di Berlino. Difatti, dopo la realizzazione del muro nel 1961, da essere un centro importantissimo per la vita della città, divenne un terreno desolato sul confine tra est ed ovest. Durante gli anni ‘20, la piazza era talmente trafficata che fu progettato ed installato il primo semaforo della Germania. I difficili eventi della guerra, prima, e l’erezione del muro, poi, avevano completamente cambiato il volto di quella piazza e dei dintorni. Un mio collega che ha studiato a Berlino circa 20 anni fa mi ha detto che allora, solo due decenni fa, c’era il nulla. Un nulla dove oggi invece si ergono grattacieli ed edifici modernissimi. Dove nei pannelli pubblicitari della stazione sotterranea della metro trovi scritto “Potsdamer Platz. Senti il battito del progresso”. In piazza si trovano anche dei pezzi delle strutture di cemento armato, alte sui 4 metri, che in passato componevano il muro vero e proprio. Ho potuto quindi osservare da vicino questo che oggi viene considerato un monumento, trasformato in un vero e proprio museo a cielo aperto. Non ho visto il muro solo da Potsdamer Platz ma anche dal battello con cui abbiamo fatto le tre ore di serata il primo giorno che ero lì. Anche in questo caso, il muro passa proprio dove si mescolano casette sull’acqua e grandi grattacieli modernissimi che di tedesco non hanno proprio niente. Grattacieli di sicuro lussuosi ma che potresti vedere in qualsiasi metropoli mondializzata.

Il muro parla di questa storia, fatta di profonde ferite e di univocità, oggi, della direzione verso il progresso, cosiddetto. Un altro mio collega, nato e cresciuto fino ai 10 anni nella Germania dell’Est, ha raccontato una storia molto toccante di come erano spiati quotidianamente, di come il fratello più grande di lui di 14 anni ha lasciato il paese e delle modalità da bulli della polizia segreta della DDR. Si è commosso, facendo intravedere le lacrime – cosa molto difficile per un tedesco, sto notando – parlando di come l’essere cresciuto in una società come quella della Germania Est e del suo regime l’abbia molto condizionato e fatto soffrire. Ha raccontato come una volta lui ed i suoi genitori sono rimasti 12 ore fermi ad un posto di blocco in una dogana per delle parole che aveva detto ed altre cose nelle quali però mi sono anche io potuto identificare dato che, per gli equilibri di potere e di relazione, al sud Italia su tante cose non c’è differenza. Il muro di Berlino racconta di queste ferite, così come della morte di tante persone di cui ci sono menzioni in tanti luoghi. Racconta anche, come detto prima, del modo in cui la società tedesca ha risposto a queste ferite: sposando il modello cosiddetto occidentale del progresso economico. A Berlino puoi vestirti ed accorciarti come vuoi, nel modo più stravagante che riesci, ma non c’è alcun dubbio sul positivo del progresso economico per come è proposto dal Faraone Finanziario.

         

Pochi lo sanno ma al Villaggio Quadrimensionale, a Troia in provincia di Foggia, la Fondazione Nuova Specie sta realizzando un altro tipo di muro. Un muro che racconta dell’esistenza, con le diverse sue fasi evolutive e soprattutto degli elementi che hanno provocato il disagio che oggi è così diffuso a livello planetario da non risparmiare nessuno. Non è un muro che vuole fungere da monito verso un passato da cui prendere le distanze ma piuttosto un luogo che, partendo da una ferita fatta di paure del cosiddetto diverso, vuole simbolizzare l’utopia che realmente serve al mondo di oggi: l’Utero PSI. Un utero sociale fetogenetico nel quale ognuno di noi possa entrare per acquisire in nove mesi tutte le competenze che ci possono servire per stare nell’esistenza sapendo affrontare tutto ciò che questa ci presenta, soprattutto il negativo. È un muro che è sovrabbondante di espressione artistica, sia nella forma pittorica che in quella scultorea. Oggi e ancora in via di realizzazione, dato che non ci sono fondi istituzionali che appoggiano e finanziano gli sforzi di tanti volontari che ci lavorano. Tutto è fatto col sudore della fronte di giovani uomini e donne, soprattutto donne, che si finanziano anche nelle loro spese di spostamento per raggiungere il cantiere. Un muro del genere dovrebbe interessare ed incuriosire moltitudini ma ancora ciò non avviene.               

Il muro di Berlino è ricco di storia ma il Muro dell’Utero PSI è qualcosa di inestimabile per le prospettive della nostra umanità.

Fabio

 

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