“Un vincitore è semplicemente un sognatore che non si è mai arreso” – 1985 –
Alcuni, che mi hanno assicurato che compreranno il libro GRAVIDANZA GEMELLARE A CIELO APERTO, mi stanno chiedendo insistentemente di ricevere qualche brano in anticipo, considerando che non si sa quando sarà concluso e stampato. Accetto questa affettuosa richiesta e proverò a farlo liberamente.
Cominciamo da oggi con un brano dell’anno 1985
Mariano Loiacono
A letto con Marylin Monroe
L’aula Magna dell’Istituto di Clinica Neurologica di Bari, in cui tenni il mio primo Seminario, assomigliava un po’ ad un anfiteatro: una piccola scrivania monoposto piazzata al centro dell’arena e, sulle gradinate, singoli filari di banchi sempre più prossimi al soffitto man mano che lo sguardo si sollevava. Fino ad allora non avevo mai preso posto nell’arena dalla parte della scrivania. Nei tanti giorni di frequenza all’Università, ero stato uno dei tanti studenti spettatori di quei gladiatori in cattedra, sempre vincenti, che si alternavano di lezione in lezione; né alla fine ci veniva mai chiesto di esprimere giudizi sullo spettacolo visto o di puntare il pollice per decidere il destino di combattimenti noiosi o mal riusciti o di duellanti poco preparati. Chi stava nell’arena era già protagonista “arrivato” e quasi intoccabile; anzi, a non regalargli sguardo attento e curiosa partecipazione, correvamo il rischio, noi delle gradinate, di vederci piazzato il pollice versus, in sede d’esame, e di saltare una intera sessione. Ed ora inaspettatamente, e forse immeritatamente, toccava a me stare al centro dell’arena e guardare dal basso in alto gli spettatori che prendevano posto. Ogni volta che provavo a far salire il mio sguardo fino all’ultima gradinata, sentivo salire in gola succhi gastrici e sentivo svuotarsi pure il serbatoio d’aria che avrebbe dovuto muovere le mie corde vocali e farmi tenere la relazione in quell’Aula. Subito notai che l’Arena era sprovvista di impianto di amplificazione; ciò accresceva ancor più la mia ansia da prestazione, che non riuscivo a placare con nessuna distrazione o ragionamento. Per me, era la prima volta che parlavo davanti a persone che bene o male sapevano tutto quello che bisognava sapere e, da bravi universitari, conoscevano l’argomento fin nei punti e virgola; sentivo che si sarebbero incuriositi solo davanti a vere novità e, per di più, dette bene e con scientificità.
La misura traboccò quando il prof. Ferrari, prima di entrare nell’Aula Magna, si lasciò scappare una frase sibillina che aggiunse ulteriori sussulti al mio intestino, già pieno di borborigmi e di contrazioni peristaltiche da strizza: si era lasciato scappare un “vediamo se il dr. Loiacono parla come scrive”, che avvertii come un guanto di sfida che schiaffeggiava proprio un mio punto debole. …E se, mentre parlavo, fosse rispuntato quel mio maledetto viziaccio di ripetere e tartagliare come era già capitato in quel Convegno alla Camera di Commercio di Foggia, dove non so come non persi conoscenza o non mi fermai per chiedere scusa agli spettatori e abbandonare la tribuna? Questa volta, però, sarebbe stato come il riuscire finalmente ad andare a letto con Marylin Monroe e, poi, mostrare impotente le proprie “vergogne”. Più che per me, mi dispiaceva per la figura che avrebbe fatto quel sant’uomo di Ferrari che imperterrito garantiva spettacolo alla numerosa platea che intanto aveva riempito tutte le gradinate.
Nella prima fila di destra stava seduta Giovanna che alle mie “prime” non manca mai: non tanto per gustarsi lo spettacolo perché, pur volendosi far forza e mostrare tranquillità, la sento vibrare delle mie stesse paure insite in ogni “prima”; sento che ci tiene a essere presente per non farmi sentire smarrito e per ricordarmi che va superata anche quella prova per approntare, mossa dopo mossa, la benedetta “torta marianna”. Un altro conforto e incoraggiamento mi veniva da una frase di Giambattista Vico che il prof. Ferrari commentò nelle parole di introduzione, prima che il mio intervento avesse inizio. La frase era “Verum Factum”: due parole scritte a lettere giganti su un tavolone rettangolare, artisticamente incorniciato, che campeggiava sull’uscita destra dell’Aula magna e che stava a ricordare agli spettatori quale dovesse essere il criterio per giudicare il gladiatore di turno. La verità, dunque, sgorga e si alimenta dalle esperienze vissute, dai fatti di vita; e, da questo punto di vista, mi trovavo in piena regola: di certo non stavo là a vendere parole e, anche se mi fossi espresso male o incartato, tutto quello che avrei detto non erano altro che “verità in fieri”, tratte appunto dalle mie esperienze vissute coi tossici e dai “fatti di vita” che avevo attraversato.
Il difficile comunque fu cominciare; poi continuai imperterrito come un toro che sta caricando e non ha più tempo per controllare la posizione del bersaglio. Le paure e le resistenze sono sempre così: fitta nebbia che ingoia tutto e pare imprigionarci in pochi centimetri quadrati ma, appena ci si mette in movimento, i centimetri quadrati diventano tanti e, passo dopo passo, si può giungere fino a casa. …Che il mio intervento fosse giunto efficacemente a conclusione me lo confermò il prolungato applauso che seguì alle mie ultime parole: sicuramente in parte era stato propiziato da quello sponsor di eccezione che era “paron Ferrari”, in parte però sentivo che era un sincero riconoscimento al mio “Verum Factum”. Gustoso contorno della serata furono i numerosi quesiti e chiarimenti che uscirono fuori durante il dibattito e negli scambi a tu per tu continuatisi, anche dopo la conclusione del Seminario, presso la cattedra monoposto, che sentii vicina e imperitura testimone di quella mia iniziazione alle Aule Magne.