“Un vincitore è semplicemente un sognatore che non si è mai arreso” – 1984 –
In tanti mi stanno chiedendo di continuare a inviare stralci del libro che sto riprendendo “gravidanza gemellare”. Essendo questo il mese mariano, mi impegno a regalarvi altri pezzi di quasi quarant’anni fa, scritti molto vicino agli eventi e quindi abbastanza reali. Riprendo dal primo incontro col prof. Ferrari, anno 1984, che poi portò al seminario che vi ho già inviato.
Mariano Loiacono
Si trattava di aspettare il tempo di una pipì
Una di queste opportunità fu particolarmente felice e importante. Ero andato a Trani assieme a Giovanna per salutare caramente don Elio, direttore del Centro di Bioetica della Cattolica di Roma, che mi aveva inviato una interessante lettera dopo la lettura del mio saggio. Nei pressi della Cattedrale romanica, piazzata quasi in riva al mare e con un suggestivo campanile che spia maestoso verso le terre d’oriente, si teneva un Convegno su temi morali riguardanti il dolore e la morte. La maggior parte dei relatori si fermarono alle solite parole trite e ritrite; mi colpì, invece, quello che disse il prof. Ferrari, direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Bari. Lo conoscevo per fama attraverso le cose sentite dal mio Primario ma, a vederlo di persona, fui colpito dal suo portamento raffinato e nello stesso tempo affabile: sembrava uno di quei volti che portano scritto quante cose hanno già capito della vita e quali sono i valori importanti che non bisogna smarrire; sapevo, infatti, che veniva dalla campagna modenese e che certe cose non le aveva smarrite per strada, pur vivendo all’Università e in ambienti metropolitani. La sua relazione mi confermò queste prime impressioni: più che avvalersi di riferimenti scientifici, il suo intervento fu un ricordare poetico, affollato di gente piena di valori, suoni di campane di chiese campestri, ed altre cose semplici e toccanti di cui era stato ricco l’Utero sociale contadino, in cui era vissuto fino all’età adolescenziale. Mi ricordava un po’ i quadri di Leon Marino e sentivo la stessa amara nostalgia dei suoi personaggi, piazzati a gruppi assieme alle galline sugli sfondi ocra. D’altra parte come appoggiarsi alla parte scienziato quando si deve disquisire sul dolore e sulla morte? La tecnica ha sicuramente alleviato una vasta gamma di sofferenze, ma potrà mai farci dimenticare completamente il sudore della fronte, il partorire nel dolore, il trapasso alla non vita, della quale non esiste ancora un preciso reportage o ripresa in diretta?
Queste impressioni ed emozioni mi fecero nascere l’impulso di presentarmi a lui di mia iniziativa e consegnargli tout court la copia del libro che avevo con me, anche se era abbondantemente sciupata per l’uso che ne avevo fatto. Diceva mia madre “le uova che non si mangiano a Pasqua, non si mangiano più”; vale a dire, “le occasioni non si sciupano e possibilmente si prendono al volo”. Preso da questo raptus, senza farmi notare, seguii il prof. Ferrari che durante l’intervallo salì spedito per una scalinata che portava al piano superiore. Pensavo che si dirigesse verso il locale Museo che, a quanto mi avevano detto, era particolarmente interessante da visitare; già immaginavo le difficoltà di come intrufolarmi senza rischiare di essere inopportuno e indisporlo verso la mia sfacciata promozione pubblicitaria del saggio. Appena arrivai al piano superiore, mi resi conto che la distanza mantenuta era stata eccessiva perché la sua sagoma si era dileguata nel nulla, come inghiottito tra quelle tante porte che davano su un ampio corridoio. “Mannaggia, quel buco nero proprio non ci voleva!” dissi tra me e me. Mi salvò Giovanna dalla ovvia reazione di chi sente di aver perso una occasionissima: mi fece notare come quel piano fosse pieno di servizi igienici e che si trattava probabilmente di aspettare solo il tempo di una pipì.
All’uscita, con un certo imbarazzo per gli ultimi ritocchi alla cerniera, il prof. Ferrari si trovò davanti due sconosciuti che marciavano spediti verso di lui, piuttosto che verso una di quelle numerose stanzette-cellette. Recuperò la sua cera quando mi presentai come un medico della Divisione di Neurologia ospedaliera di Foggia che, in primis, gli portava i saluti del Primario e che, in aggiunta, intendeva sottoporgli una recente pubblicazione sul discorso “droga”. Com’è nel suo stile, mi mise completamente a mio agio e con squisita cortesia mi diede un anticipo di complimenti già per il fatto che avevo prodotto quella pubblicazione. Per me era come aver spedito casualmente una cartolina ed essere stato davvero sorteggiato per figurare di persona in un importante spettacolo, ospite di un protagonista che avevo solo ammirato e sognato attraverso il video; già questo mi riempiva e mi impappinava sufficientemente. Fu Giovanna ad aggiungergli che saremmo stati felici di ricevere una sua impressione e giudizio sul libro, ripromettendoci di fargli recapitare una copia nuova di zecca. Sentivo che Giovanna aveva chiesto troppo; già mi bastava avergli consegnato una copia e sapere che probabilmente l’avrebbe letto.
Una delle opere più brillanti
Ma, con mia somma sorpresa, dopo neanche un mese arrivò una lettera, scritta di pugno dal prof. Ferrari, con tanta di intestazione importante “Clinica Neurologica-Università di Bari”. La divorai come un affamato ormai allo stremo: era, infatti, un brutto periodo e i miei braccatori avevano appena tentato di finirmi moralmente. La rilessi ancora tante volte per controllare che i miei occhi non avessero tolto o aggiunto un po’ di lettere e non avessi letto fischi per fiaschi; il giudizio infatti era più che lusinghiero e mi sentii completamente restaurato nell’onore, così tanto strapazzato da quei “drogologi” rampanti di casa nostra. Mi scrisse, infatti, testualmente:
«Caro Loiacono, il suo libro mi ha avvinto; l’ho letto di un fiato: è per me, il più bello -che conosca- in tema di droga e di drammi umani relativi! Già sul piano “letterario” ha costituito una sorpresa gradevolissima: come una delle opere più brillanti stilisticamente e più valide culturalmente della saggistica di questi anni. Ma è come medico che, soprattutto, ne sono stato conquistato: dalla lucidità delle analisi, dalla efficacia delle descrizioni dei drammi umani dei tossicodipendenti. Solo una intima profonda partecipazione emotiva ed un impegno intellettuale eccezionale possono suscitare resoconti così efficaci. In attesa della sua seconda opera, per intanto abbia molti complimenti e ringraziamenti per questo scintillante esordio: un cui risvolto interessante e non marginale è la sua origine “provinciale” e “meridionale”. Forse solo uomini ancora a diretto contatto con i valori culturali e morali della “civiltà contadina” -non contaminati dalla sottile quotidiana filosofia consumistico-edonistica della società industriale e postindustriale – possono riflettere lucidamente e con sana risonanza emotiva sulle sciagure della droga: reificazione in “polvere” del consumismo-edonista. Con profonda stima. Eugenio Ferrari».
Fu questa una prima iniezione antidepressiva che mi fece da specchio riconoscente e mi convinse che, almeno in parte, quello che mi era capitato era da attribuire alla risaputa convinzione che “nemo profeta in patria”. Rinforzò questa mia interpretazione lo stesso prof. Ferrari che, dopo avergli confidato alcune mie traversie con i personaggi locali, mi disse: “Non ci badare. Quando spunta l’invidia nel cuore degli uomini, spesso si appanna perfino l’onestà di giudizio”.
Il bottino universitario si raddoppiò con l’inaspettata lettera, di commento al libro, da parte del prof. Ancona, direttore della scuola di specializzazione in Psichiatria, che avevo frequentato al Policlinico Gemelli di Roma. Mi scrisse, di suo pugno, queste testuali parole:
Carissimo Mariano, ho ricevuto e gustato per vari aspetti il volume che hai scritto sulla droga e che mi hai gentilmente inviato. È un libro stimolante, nuovo e quindi arricchisce una problematica che ha evidente bisogno di nuovi spunti.
La prospettiva che il drogato svolga la funzione di un enzima sulla società è di fatto così nuova da risultare rivoluzionaria (questo termine naturalmente in senso positivo). Non mi è purtroppo possibile procedere a una recensione dello stesso volume, come di qualsiasi altro che mi pervenga tra le mani, perché me ne manca assolutamente il tempo: dovrei rimandare di chissà quanto ciò che invece necessità di una presentazione tempestiva. Penso ad ogni modo che il dott. Marco Marchetti farà un’ottima recensione del tuo volume.
Ti ringrazio comunque e ti saluto molto caramente.