Corso Maestrepolo, rubrica PASQUALINA: I PERCHE’ DELL’ESISTENZA. “Quale evento (forse qualche FUK?) spinge ognuno di noi…” Domanda di Cindy, riscontro di Marinella

Quale evento (forse qualche FUK?) spinge ognuno di noi ad essere più attratto e/o più portato per una determinata espressione artistica? Perché invece con qualche altra arte facciamo più fatica?

Premetto che da quando ho letto questa domanda ho pensato che avrei dovuto provare a rispondere.
Per me questo argomento è molto doloroso.
Io, da quando ho ricordi, sono stata sempre attratta dalla musica. Alle medie ho voluto iscrivermi al corso sperimentale di musica della scuola. La mattina andavo a scuola e al pomeriggio andavo a suonare il violino e a studiare solfeggio a scuola. Il violino è uno strumento che io chiaramente non conoscevo, avrei voluto suonare la chitarra, perché vedevo che in parrocchia chi suonava la chitarra poteva suonare alle messe. E invece il giorno del provino, da fare per essere ammessi all’indirizzo sperimentale, i professori, dandomi molto valore per le mie doti musicali, mi dissero che il violino era lo strumento per me. Chiaramente io non ribattei e mi presi quello che mi propinarono.
Mi piaceva suonarlo, ma in tre anni cambiai 5 professori, la maggior parte lavoravano per il primo quadrimestre e poi cambiavano, i violinisti non hanno l’ambizione dell’insegnamento, ma di suonare per grandi orchestre, fare musica da camera, quindi, appena trovavano altro, sparivano. Ricordo però due professori molto bravi con cui sono riuscita a lavorare tanto, la professoressa Sera e il professore Lombardi. L’ultimo anno mettevo tutte e quattro le dita, che, per una scolaretta, era un buon risultato, stavo imparando ad accordarlo da sola, e anche questo era importante. Ma, ahimè, c’era un’altra difficoltà che mi ostacolava a eccellere, i miei genitori non mi sostenevano, anzi spesso il mio suonare quelle corde il più delle volte scordate, perché quando andavo a lezione il professore me lo accordava, ma il tempo di arrivare a casa che il violino era già scordato, era un violino che la scuola dava agli alunni che non potevano permettersi di comprarlo. Negli anni di scuola però imparai a leggere la musica, a fare le mie prime prove di canto. E poi in chiesa cantavo, facevo parte del coro. Ma non ho mai accettato di cantare da sola perché mi vergognavo. Ho sempre fatto i confronti con quelli più bravi e la mia reazione era l’avvilimento e quindi a lasciare le cose più difficili accontentandomi delle cose che mi venivano più semplici.
Finita la terza media mia madre ha voluto trasferirsi a Rimini e io ho dimenticato il violino. All’inizio ho provato a chiedere se potevo comprarlo ma la risposta è stata negativa e, come ho detto prima, io non ero caparbia, audace, mi censurai da sola e non chiesi più niente. La musica mi accompagnò sempre, ma io non mi sono mai riuscita ad esprimere attraversa di essa.
Ho provato con il canto, ma la vergogna è rimasta e non riesco a cantare, ho chiesto tanto un accompagnamento, ma penso di non essere mai riuscita a procedere perché non sono costante e il meccanismo di ritirarmi è più forte rispetto ogni mia motivazione.
Altri modi di esprimermi con l’arte, mi sono nella vita cimentata in tante cose ma nessuna cosa mi ha motivato tanto da immergermi e farla mia.
Ormai penso che sono stata superficiale, non ho insistito in nessuna mia attrazione per l’arte. Ho danzato, cercato di imparare uno strumento, cantato, fatto teatro, mi sono cimentata nell’artigianato, nel circo, niente!
Penso, ahimè, che il giudizio esterno mi abbia sempre molto condizionato e il meccanismo più forte ora è che il giudizio esterno non conta più, perché io mi giudico talmente tanto che, anche se tutto il mondo mi riconoscesse, per me non va bene, mi attacco di più all’unica cosa negativa che ho visto, piuttosto che dare valore a chi mi dice che ho fatto bene, ma questo succede perché il giudice più severo di me stessa sono io.
Io sto continuamente a rivedere quello che sono e a cosa posso fare per fare meglio. Ma quello che giudico che è fatto male, mi auto censuro e non lo faccio più, o addirittura quello che mi rappresento troppo difficile non parto proprio. È tutta una questione di rappresentazione.
L’unica arte che mi sono sempre riconosciuta è quella nelle relazioni. In questo sono stata continuativa, molto attiva verso l’esterno, mi sono messa in discussione, ho cercato strategie per migliorare, mi son immersa, sono attratta da libri che mi spiegano il funzionamento della relazione e dell’esistenza, sono attratta da come le persone reagiscono a quello che succede, sono attratta a riconoscere le mie emozioni e a osservarle e ascoltarle negli altri, ho voluto crescere nell’usare la comunicazione per far capire, a me e agli altri, meccanismi che governano i rapporti fra individui, nei gruppi e con se stessi. Io, in questo, sento che sono un artista, per me conoscere l’universo delle relazioni, vedere il potenziale, provare a trasformare il proprio e l’altrui sentire, accompagnare individui e gruppi a ritrovare il proprio potenziale o almeno la consapevolezza di quello che ognuno è. L’ho fatto tanto, mi piace, sono molto attirata da questo.
Quindi la crisi quando è arrivata? Quando, fare questo, ha riempito tanto il mio spazio, da non riuscire più a lasciare vuoto. Sentivo che quest’arte, come la facevo, non mi nutriva più, quindi era diventata univoca, il salto dall’embriogenesi alla fetogenesi è d’obbligo. Ho dovuto fare un salto precipiziale da cui ancora risalgo con lentezza.
Interessante davvero. Per mettere in pratica quest’arte devi sapere che l’individuo su cui devi lavorare di più sei tu. Bellissima quest’arte e come tutte le altre arti devi partire dal rapporto con te stesso se vuoi procedere.
Certo che la conoscenza per tutte le altre arti è fondamentale.
Dopo la mia ultima crisi, in cui il giudizio rispetto a me stessa è stato fortissimo, e la consapevolezza che dopo 40 anni dedicati all’arte delle relazioni, ho bisogno di altro, mi hanno fatto sprofondare nei grandi perché dell’esistenza. Qual è la mia mission, in che cosa ancora posso esprimermi? Il vuoto che sento da cosa può essere colmato? Quale parte della mia specificità ancora non esprimo? Ho provato a cercare un’arte che mi poteva far fare un beta/gamma per rispondere a questo mio senso di svuotamento. Credo oggi che l’arte delle relazioni fa parte delle mie specificità. E che ognuno di noi ha un canale privilegiato per esprimersi e ricaricarsi in questa esistenza, che gli permette di ricontattarsi, è possibile che siano dei Fuk che ci hanno spinto verso quell’espressione, ma io credo nel fatto che la nostra storia è una parte fondamentale per riuscire a incarnare quello che solo noi siamo. I battesimi di acqua servono a sciogliere una storia difficile, ma le capacità e competenze che sviluppiamo, sia nel formare i fuk che scioglierli, è la strada che ci serve per riconoscere la nostra scintilla dell’in. di.co., il battesimo di fuoco è quello che dovremmo fare appena nasciamo, ma ancora non è così, non ci resta che lavorare perché questo avvenga, e poi nella crescita, attraversare battesimi d’acqua e di fuoco, fa parte del cammino.
Grazie Cindy per questa domanda. Penso che per arrivare a una sintesi di quello che solo noi già siamo la conoscenza è fondamentale. E l’arte presuppone il farla. Quindi l’espressione di qualsiasi tipo è arte.
L’etimologia della parola arte sembra derivi dalla radice ariana ar- che in sanscrito significa andare verso, per me questo significato dà molte risposte, l’andare verso, presuppone un percorso e questo è il senso di una qualsiasi forma d’arte. L’andare verso, significa il mio percorso manifesta, testimonia qualcosa e un pi-greco reale.
A me oggi questo significato mi dice che, anche se io non ho mai eccelso in qualcosa, e rispetto a questo è chiara la difficoltà mia di esprimere un maschile determinato al servizio del mio grande femminile sensibile e delicato, io ho comunque attraversato, cercando di esprimere attraverso delle tecniche, degli strumenti, comunque sono andata verso, comunque in quel momento, il fare, era una ricerca di me, è stato un percorso beta/gamma che oggi riconosco che non per forza siano stati un aborto, ma che hanno fatto parte della mia gravidanza, facendomi selezionare, esprimere quello che sono oggi. Anche lasciandomi la consapevolezza che il mio maschile messo al servizio possa aiutare a creare un mondo.
Marinella

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