SI PUO’ FARE PER LA GUK, aggiornamento di Vivis
“Si può fare!” è una frase ricorrente nel film ideato e scritto da Gene Wilder: “Frankenstein Junior” che a sua volta si è ispirato al romanzo di Mary Shelley: “Frankenstein”. La stessa Mary Shelley citava agli inizi del 1800: “Ogni cosa deve avere un inizio, per dirla come Sancho, e questo inizio deve essere legato a qualcos’altro che viene prima. Gli Indù hanno posto il mondo su un elefante per poterlo sostenere, ma hanno messo l’elefante su una tartaruga. L’invenzione, bisogna ammetterlo con umiltà, non consiste nel creare dal nulla, ma dal caos”. Dopo 200 anni di Mary non avrei trovato parole più sintetiche per raccontare il mio Pamoja. Parto dal senso che ho sentito della frase: “Si può fare!” e dalla trama del romanzo/film. “Si può fare!” è una affermazione che mi sono sentito dentro prima, durante e dopo il periodo sperimentato. “Si può fare!” è la possibilità concreta che ci dobbiamo concedere nel sognare rispetto una comunità che può ambire alla Globalità. “Si può fare!” è lo spirito che deve proteggere il viaggio metastorico SinDia di questa co-creazione nell’esistenza. Che cosa possiamo mettere insieme? Nel film il dott. Frankenstein ha sentito possibile rimettere circolinfa in una vita ed un graal disagiato mettendo in relazione un cervello(simbolico) ed un corpo(analogico) attraverso il suo mettere insieme vita e conoscenza e andando oltre la logica degli opposti vita/morte (bio-organico) sfruttando l’energia fusionale della natura(ontologico). Ha sentito che una vita, se accompagnata in una determinata condizione uterina, può tornare ad essere co-creatrice nella GUK. Bè forse questa è più una mia rappresentazione dell’idea iniziale di M. Shelley e di G. Wilder, ma credo che se è vero che esiste un fondo comune, oggi la loro e la mia rappresentazione teorica (ispirata da Mariano) sulla vita, potrebbe ipotizzare una strada comune per procedere in questa arena esistenziale transitata nella schizofrenia. Sono arrivato al villaggio una settimana prima dell’inizio del progetto Pamoja, perché spinto dal piacere di stare ad un chiarilancio di individui che mi stanno molto a cuore. È stato importante stare e sentirmi subito incluso, visto che mi è stato chiesto di condurre, e visto che la stessa sera Mariano mi ha fatto sentire presente nella dinamica (ancora faccio molto riferimento a lui come specchio riconoscente adulto). Stare la prima settimana al villaggio è stato buono, ho potuto coinvolgere “il mio stato quiete” all’interno delle dinamiche che già erano presenti, partecipando e conducendo i bilanci ed il GAS con le persone che stavano e che avrebbero partecipato al Pamoja con me e scambiando con la rrrete già presente nel territorio. E’ stato buono alloggiare prima da Barbara e poi da Imma così ho potuto creare un primo legame armonico con i co.cop della prima settimana ma soprattutto perché sono potuto stare con piacere in una convivenza più ristretta. Così è arrivato velocemente l’inizio del Pamoja, tante le mie aspettative legate all’entusiasmo che mi portavo dentro, tanto il desiderio di mettere in dinamica il senso che sentivo dentro a questa nuova idea di convivenza, profondo il poter assaporare un nuovo modo di stare “insieme”…appunto Pamoja, perché personalmente ho un gran voglia di creare una “comunità globale” per continuare a procedere e co-creare nella GUK (e non sono parole). È stato buono tentare di partire dal senso del progetto prima che dallo “stato quiete” delle persone, ma non è stato molto accolto. È stato buono tentare di dare alcuni angoli alfa da cui “interrare” il nostro procedere, ma è stato troppo contestato. È stato buono fermarci, rielaborare e ripartire dai bisogni dell’uomo per creare un munus, ma secondo me è stato ancora un bisogno embriogenetico di rimanere nei rapporti bassi della piramide. Comunque credo sinceramente che siamo stati(co.cop.) bravi a creare dal caos e a livello di “bottino personale” sento di essermi portato a casa la conferma che so’ stare in gruppo in modo armonico, senza volermi sentire “indispensabile” ma non per questo, non sentendomi “importante” Nella seconda settimana ho accolto la proposta di non fare il co.cop(anche se ne sentivo ancora l’entusiasmo) perché sentivo il bisogno/piacere di stare più Pamoja con Maurizio(anche se mi è arrivata più come esigenza esterna per non usufruire delle condizioni “favorevoli” da co.cop., che come proposta personale del mio procedere), ho sentito che avevo anche bisogno di rallentare , ancora non riesco a non “spendermi fino all’osso” quando mi sento responsabile di qualcosa, e quindi sono riuscito più a stare partendo dal “mio saper stare in relazione profonda”, che sento essere una mia specificità. Personalmente sono riuscito a crescere ed essere continuattivo nelle relazioni che sento più strette; Maurizio per primo(senza dimenticare Michela ed Eleonora a casa) che sono la mia famiglia bio-organica e ontologica da sempre, Graziana ed Amerigo che sono diventati parti fondamentali nel mio procedere, Massimo e Federica(che sento profondamente vicini ad un qualcosa che voglio chiamare “famiglia ontologica”), Avalo (al quale mi sono affezionato durante il progetto evviva) ed Elisa e Adalberto che stanno entrando fortemente nei miei “pensieri d’intreccio” che ho ordinariamente. Rispetto al progetto, questa seconda settimana, l’ho sentito più liquido; nel senso che ho sentito da una parte la bellezza di far sedimentare e sperimentare ognuno nel potersi esprimere liberamente (infatti ci sono stati molti momenti di ascolto profondo), ma dall’altra ho sentito un disperdersi dell’energia Pamoja fusionale, in pratica ognuno ha fatto molto per sé e per i suoi bisogni. Fatto sta che comunque sento che queste due settimane sono state fondamentali per fare un punto concreto del progetto, in questo ringrazio veramente chi c’è stato perché nonostante la fatica e le difficoltà ha lasciato sempre aperto un “angolo beta” d’ascolto e di cambiamento (ho apprezzato soprattutto che sul campo è stato deciso di fare il “programma” della terza settimana con tutti i co.cop delle prime due settimane, cosa che era mancato nel passaggio dalla prima alla seconda). Dopo il rientro a casa, ho proposto e accompagnato il mio desiderio di festeggiare il capodanno al Pamoja. Avevo il desiderio di concludere festeggiando questo primo progetto Pamoja dove ho sentito di aver onestamente messo del mio, soprattutto all’inizio dove si è fatto difficoltà. Avevo il desiderio di godere anche delle relazioni cresciute all’interno delle tre settimane passate al villaggio, perché sentivo che me lo meritavo e che era giusto premio al mio lavoro. Avevo il desiderio che anche Eleonora, Maurizio e Michela godessero di un periodo Pamoja dopo tanto stare rinchiusi. Be’ questo si è realizzato, almeno per come me lo ero immaginato io, ed anzi il giorno del primo dell’anno ho ricevuto forse il più bel regalo dopo tanto seminare per tutto il 2020 e tanto seminare all’interno del Pamoja (seminare ed accogliere anche la zizzania che ne è cresciuta accanto). Potermi immergere nel rito del “buon anno felice” mi ha permesso di “decidere” e “sciogliere” aletheie profonde dentro di me, ho saputo riconoscermi, senza bisogno di specchi esterni specificità che fanno parte del mio ontologico e che ho saputo esprimere nell’esistenza, sia nei progetti della fondazione ma soprattutto nell’arena esistenziale ordinaria della mia vita. Ho sentito profondamente quello che “non voglio più” sentirmi appresso e che mi appesantisce e che non mi permette di godere di tutti i codici che so esprimere nella GUK a partire dal mio potere fusionale che sento sempre più armonico e potente. Ho potuto godere anche del quasi shock anafilattico che mi ha investito nel pomeriggio, perché ne ho colto il senso, ne ho accolto i passaggi grazie alla teoria globale che Mariano mi sta accompagnando a coltivare e ne ho colto l’importanza data dal segno che mi ha voluto comunicare il mio corpo. Certo potrei andare avanti e descrivere tanti momenti limitati e di crescita che ho notato durante il progetto Pamoja, personali ed esterni a me. Ma credo che grazie ai Maestrepoli condotti da Mariano molti punti sono stati rielaborati, e grazie alla mini intensiva esoterica sento e ho sentito che veramente si vuole procedere verso un qualcosa di inedito e nuovo… anche se di strada ce n’è da fare. Penso sinceramente che il concetto espresso da Mary Shelley: l’invenzione, bisogna ammetterlo con umiltà, non consiste nel creare dal nulla, ma dal caos” e cioè che grazie all’accompagnamento che Mariano ci sta facendo a sentirci Maestrepoli e inclusi nei diecimila esseri ci permette di sentirci meno onnipotenti ma più co-creatori per la GUK con leggerezza… e per questo che mi sento di critare (cit. Marilisa) …
SI PUO’ FARE PER LA GUK!!!!! di Moris Staffolani