“Giovannina, quell’ultimo abbraccio così intenso mi ha in gran parte sanata…”, Paolina.

 

Peglio,18 novembre 2020

Cara Giovannina,
ho deciso nuovamente di scriverti e lo faccio proprio oggi, che è il quinto anniversario della tua morte.
Ricordo con esattezza quel giorno di 5 anni fa: al mattino, Daniela mi ha avvisato che nella notte eri peggiorata e i medici non ti davano ormai molte ore di vita, anche se probabilmente niente sarebbe successo nell’ immediato….
Io, però, sentivo una profonda inquietudine e ho deciso di prendere il primo autobus per Santarcangelo e di starti vicino da subito. Quando, in tarda mattinata, hai esalato l’ultimo respiro, io e Luigi eravamo accanto a te, ti abbiamo accompagnato con devozione e amore, ti abbiamo accarezzato e coccolato a lungo.

 

In quei tuoi ultimi giorni di vita, mi sono riconciliata con te: non riuscivo a parlarti, come avrei voluto, ma ti ho abbracciata e tu, pur semiparalizzata, mi hai stretto a te e hai versato una lunga lacrima…Quell’ultimo abbraccio così intenso mi ha in gran parte sanata. Ora, a 5 anni di distanza, sento il bisogno di dirti proprio quelle cose, che non sono riuscita a dirti allora.

Pochi giorni fa, all’interno di un progetto\ percorso di crescita personale, ho sentito salirmi dentro un dolore antico, molto profondo, che si è sciolto in un pianto accorato, prolungato, quando un’altra donna m massaggiava e si commuoveva per le mie cicatrici, legate ai tre parti cesarei. In quel momento, ancora una volta, ho avvertito molto forte il bisogno\desiderio di essere accolta, accarezzata, coccolata da una figura femminile, da una madre.Tu, Giovannina, non mi hai fatto mancare niente sul piano materiale, ti sei sacrificata per noi figli in maniera commovente, ti alzavi alle 5, per adempiere al meglio al tuo ruolo e di questo ti sono molto grata, ma non mi hai davvero abbracciata, accarezzata, coccolata: non ne avevi il tempo e nemmeno, forse, ne sentivi la necessità, senza tua colpa; probabilmente, come me, avevi paura del mio e del tuo corpo, delle mie e delle tue emozioni.

 

Penso che tu non mi abbia vista davvero nei miei bisogni più profondi ed autentici, come anche io poi ho fatto con i miei figli, schiacciata come me dai tuoi desideri non esauditi, dalle tue paure, preoccupata, com’eri, di trasmettermi i tuoi principi, la tua spiritualità rigidamente cattolica con i suoi divieti assoluti, legati al peccato: mi hai comunicato che tutto ciò che è collegato al corpo è male, è peccaminoso e dunque vietato, perfino il bacio d’amore. Così sono cresciuta con questi nodi, con questi tagli, per di più, essendo primogenita, ho clonato i tuoi valori, sono diventata la Vestale del focolare domestico, una figlia perfetta, un’alunna perfetta, la prima della classe. Mi sentivo riconosciuta soprattutto per questo e ho studiato e studiato, rinunciando a vivere a pieno la mia adolescenza, soffocata da un fortissimo sentimento del dovere e dai conseguenti, potenti sensi di colpa. Nello stesso tempo mi percepivo brutta, grassa, con gli occhiali, sempre in ombra, in secondo piano, rispetto a mia sorella, alla mia amica del cuore, molto più belle di me.

 

Poi, piano piano, ho cominciato a rifiutare la Chiesa e la sua morale, rigida ed inflessibile, i suoi riti, che sento vuoti, senza riuscire, però, a crearmi una mia spiritualità profonda, a sentirmi fino in fondo parte di un Tutto, a darmi valore e ad amarmi per la mia unicità e specificità, per quello che solo io già sono, a percepirmi speciale, una scintilla, una fiammella del Tutto, della Vita, dell’Universo. Fatico ancora e ancora in questo e per questo, ho continuamente bisogno di essere vista e riconosciuta dagli altri, dall’esterno e, se ciò non succede, troppo spesso mi sento confusa, smarrita, perdo il senso del mio viaggio nell’esistenza.
Tuttavia, oggi, proprio oggi, voglio perdonarmi e perdonarti: io e te, Giovannina, non abbiamo colpe e siamo accomunate da un destino di catene ataviche, di ferite e cicatrici profonde, che portiamo impresse sulla nostra pelle.

A te auguro di tutto cuore di avere trovato la pace e la quiete, che meriti e a me di continuare a navigare verso la mia Itaca, la Paolina allegra, festosa, spensierata, che ama profondamente la vita, la natura e i suoi 10.000 esseri, il capriolo, la piccola manta e la stella del mare di Sardegna e vuole tornare ad essere un capriolo, una manta, una stella marina, libera ed innamorata dell’esistenza. Ti chiedo anche di guidarmi in questo procedere incerto con il grande amore, che hai nutrito per me, ma che non sei riuscita a dimostrarmi a pieno come avrei voluto.
Mentre sto scrivendo, una magnifica farfalla si è posata per un attimo sulla mia mano e sul mio braccio: ha una parte di ala spezzata, ma vola leggera e superba dei suoi smaglianti colori.
Ora sento di potermi congedare da te con rinnovato affetto e con profonda gratitudine per il tanto, che hai fatto per me: grazie a te e al babbo sono una donna colta, cosmopolita, curiosa e, come Ulisse, ancora con una sete insaziabile di conoscenza

Paolina

PS. Ho letto questa lettera sulla tomba di mia mamma domenica 22 novembre. Accanto a me c’era mio fratello Luigi. E’ stato un momento molto intenso e profondo, che ci ha fatto sentire più vicini e uniti nel viaggio della vita.

 

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