Corso Maestrepolo, rubrica PASQUALINA: I PERCHE’ DELL’ESISTENZA. “Se l’esistenza è un viaggio perché preferiamo attardarci nella staticità? Domanda di Grazia, riscontro di Sabrina

Io ho scoperto il valore e il senso del viaggio grazie al Progetto Nuova Specie. Se uno proviene da un mondo statico, dove tutto è già prestabilito è molto difficile avere la progettualità dell’esistenza “come viaggio”. Cerchiamo nelle due o tre cose positive che abbiamo, nel nostro orticello, il senso dell’esistenza. Questo poteva andare bene nel villaggio mondo, oggi l’urgenza ci spinge al viaggio. Più che un desiderio, è una necessità per come siamo messi e per come siamo abituati. Quindi, la prima cosa è comprendere che c’è il viaggio, c’è un beta gamma da attraversare in tanti sincronici che viviamo e che, poi, diventano il nostro diacronico. Ogni dinamica è conclusa già prima di essere iniziata, è circuitata, da chi crede che, risolvere una faccenda ti porta ad avere un po’ di pace. Non è così, è un continuo camminare sulle acque dove devi imparare a vivere con l’imprevisto, con la delusione, con il rammarico. Nel viaggio devi imparare a sostare, a nasconderti e poi ricomparire, a piangere e gioire. Invece noi siamo portati a vivere l’arco di sinistra come un assoluto, l’arco di destra come un assoluto, i salti quantici precipiziali come una punizione e i saltici quantici oltre come qualcosa che ci è dovuto. Viaggiare è faticoso. L’esistenza è faticosa. Chi ci può alleggerire è solo la teoria e il rapporto con te stesso che, se cresce, va a tuo vantaggio perché l’esterno è traballante e può non essere sempre presente per accompagnarci. Il viaggiare è fatico, per cui è semplice, è facile, è comodo, attardarci il più possibile nell’angolo alfa già conosciuto, anche se questo non ci porta a niente, anche se perdiamo la nostra linfa, anche se diventiamo sempre meno armoniosi e ci riduciamo ad essere una statua di gesso. Preferiamo rallentare il viaggio e smettere di viaggiare perché viaggiare è, anche doloroso. Devi imparare anche a perdere il tuo ordinario, a sudare, ad avere freddo, a dormire sotto le stelle senza avere paura, a comprendere il senso della morte. Preferiamo il viaggio organizzato, quello dove c’è una guida, un albergo, dei cibi deliziosi, una spiaggia e il mare. Il viaggio esistenziale purtroppo non è così. Ricordo una stazione dell’avanti tutta o dell’indietro tutta, dove la lumaca prendeva con sé un piccolo carico di roba che gli serviva e si metteva in viaggio. Per viaggiare nell’esistenza ci vuole umiltà e sobrietà, bisogna riconoscere il proprio femminile ed imparare a mettere il maschile a servizio del femminile. Per viaggiare devi saper camminare, correre, saltare e volare. Io non sapevo neppure camminare, tanta era la staticità che avevo vissuto e con la quale convivevo, all’inizio, molto molto bene. Vivevo una situazione di grande benessere culturale e sociale, ma non viaggiavo. Sono cose da gustare nella vita? Certo! All’interno però di una progettualità di viaggio. Nell’angolo alfa non si creano novità, scadiamo negli obblighi doveri molto facilmente, eppure ci affascina il benessere superficiale e poco profondo, anche perché ci fanno credere che l’esistenza è quella, che è il rifugiarci nell’arco di destra perché speriamo che lì non troviamo ostacoli e ci piace, ci piace perché andiamo sempre alla ricerca di un utero che ci accoglie, accoglie il nostro dolore, le nostre delusioni. L’utero è buono? Certo. Ma quando non è statico, quando ti protegge ma, nello stesso tempo, ti impedisce di viaggiare perché ti dà tutto, calore, buio. Andiamo nel viaggio, invece, alla ricerca di una fusionalità più nostra, più intera, dove ci può essere un esterno ma ci devo essere anche io.

Sabrina

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