Chi non desidera di desiderare è già morto!

“È che a volte capita che rendiamo così accogliente quella gabbia in cui ci siamo rifugiati, che non riusciamo più ad uscirne.”

Appena ho letto il tema, ho sentito subito l’ispirazione di fare qualcosa che fosse più legato alla mia pittura che allo scrivere, proprio perché è da tanto tempo che non dipingo e ne ho tanta voglia e questo tema solleticava particolarmente la mia creatività.
Ho aspettato un po’ prima di immergermi in questa cosa e mi son presa il mio tempo dopo esser tornata a casa dall’ultimo corso sulla coppia tenutosi al Villaggio Quadrimensionale.
In un primo momento ho iniziato a disegnare insieme a Tancredi…ognuno nel suo foglio…lui dipingeva il suo lupo e io la mia gabbia. Prendo in prestito gli acquarelli di Tancri e lui mi rimprovera dicendomi che quella è una cosa preziosa e io non li posso toccare perché si rovinano!
Detto questo però anche Tancredi osservava meravigliato il crescere di questa piccola immagine così piccola e così potente, perché potente è lo sguardo di chi è prigioniero e di chi invoca l’uscita!
Meravigliato mi lascia poi continuare nella mia impresa!
Mentre dipingevo avevo una strana forte sensazione, come se il mio fare comprendesse le gesta di altre persone e che il mio lavorio favorisse uno scambio in profondità con le parti a me care e non solo mie. Pensavo ad Enrico e nei giorni in cui ero all’opera per finire il mio lavoro egli si stava vivendo delle forti e profonde dinamiche all’interno del progetto Evviva, in cui la gabbia del corpo veniva spronata ad aprirsi verso nuove prospettive, distinte da vecchi meccanismi che accompagnano ognuno di noi e che ci imprigionano in vecchie soluzioni che non funzionano più, né per la nostra vita, né per chi ci vive accanto!
Quando si va in profondità anche a distanza, le vibrazioni arrivano dirette e chiare e una sorta di comunicazione non verbale arriva a toccarci e ad aprire nuovi scenari.
Mentre dipingevo la mia gabbia pensavo che la cassa toracica non fosse solo mia, ma anche quella di Enrico e di qualsiasi altro Uomo, che l’occhio non fosse solo mio, ma di tutte quelle persone che si sentono intrappolate dentro certi automatismi che provengono da una cultura stantia e vecchia, rivolta solo a mantenere tutto fermo nel “così è come si deve fare”, perché così è riconosciuto dalle varie epistemologie quali la religione, le istituzioni ecc. e in esse non avviene nessuna crescita, ma un lento affossamento degli intenti che ci riducono a ripetere la morula del disagio anche perché vestiamo panni che non sono nostri, ma che ci sono stati imposti.
Mi sono sempre sentita stretta nelle cose forzate, nell’accontentarsi di ciò che altri ci dicono di fare! Non trovo l’origine che m’appartiene e non aderisco a nessuna forma di adattamento!
Neanche nella pittura mi sono mai adattata a quello che già conoscevo e sono sempre andata alla ricerca di qualcosa di inedito, verso l’ignoto.
Le fresie rappresentano bene questo aspetto e sono i fiori che circondano la gabbia, un invito a non aver paura di ciò che non si conosce e di provare a uscire allo scoperto.
Oggi so bene che ci si scopre più favorevolmente se c’è quello stormo di genti pronto ad accogliere le proprie fragilità, so bene che raccontare una cosa profonda e personale a chi poi la usa contro di te ci fa chiudere sempre di più e ci spinge a sopperire il proprio io.
La vita è un soffio, un alito di vento ed è ingiusto non poterla vivere compiacendo i desideri più profondi, permettendo di farci fermare i bisogni fisici e spirituali nell’onda della macabra inerzia che conduce alla morte ogni vita non vissuta.
Chi non appaga i propri desideri non ambisce ad una vita variegata, chi non desidera di desiderare è già morto!
Quando i giorni scorrono tutti uguali la gabbia si rafforza e s’infittiscono le grate che la formano fino a farci chiudere l’anima nei confini del corpo che è la prima armatura che ci contiene, l’anemos ne soffre il contenimento e nulla circola rendendo il tempo sempre uguale e scandito da un obbligo che ci toglie il respiro, quello più profondo.
Le grandi ali sono pronte a farci prendere il volo, ma se non vi è la volontà e la forza di farlo esse diventano solo un abbellimento e un desiderio mai esaudito, pura estetica volta al nulla!
C’è bisogno di luce e di spazio per poter uscire nelle proprie parti specifiche, quelle che solo noi siamo! C’è bisogno di complicità per accompagnarci in questo specifico viaggio che è la vita!
Io credo che sia necessario iniziare a rompere la zona pellucida iniziando dal trasformare le piccole cose… i piccoli cambiamenti seppur faticosi da compiere sono la porta per un grande cambiamento!
All’interno della gabbia vi è l’occhio che osserva, che desidera, che spera, spera in quella luce che seppur fioca a volte è comunque presente e persistente! Sono fiduciosa che ogni gabbia si possa aprire, ma è necessario lo svelamento affinché questo accada!
Le resistenze sono a capo di ogni movimento, sono le portavoce di un muro che non si sgretola!
Ho capito già da tempo che lavorare su di esse è la chiave per aprire la partita dell’esistenza!
Auguro ad ognuno di poterla trovare e di poter godere di questo miracolo che si chiama vita!!

Simona Erminia

 

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