“La morte è solo un passaggio per imparare a diventare più saggi”, Iride
Ho paura di morire?
In teoria no, la teoria e la conoscenza mi danno le coordinate per essere serena.
“Andrà tutto Bene”, una bella frase che dal Covid in avanti mi è diventata antipatica.
Ma un po’ di tempo fa ha avuto per me un senso speciale.
Ho tenuto la mano a mia madre che stava morendo, il 22 ottobre è stato il secondo anno dalla sua morte, e ho avuto il privilegio di comunicare con lei in un suo breve risveglio dal coma epatico, potendole trasmettere fiducia: “Va tutto bene, mamma”.
Quel momento è stata una delle magie più grandi della mia vita, ha dato a me qualcosa di impagabile, un contatto profondo e pieno al di là di tutto. Il mio corpo era li, vivo e in contatto con il suo, di corpo, che stava per essere abbandonato dall’energia vitale, ma soprattutto ero in contatto con la sua essenza, percepivo quanto potesse ricevere ancora da me e non avevo paura, avevo fiducia.
Le nostre teorie sono importanti e contemporaneamente abbiamo bisogno di esperienze, di parole che tocchino e muovano il corpo e i sensi, perché le nostre emozioni seguano ciò che la mente dice.
La poesia e la fiaba usano l’ago che cuce la mente e il cuore, nutrendo il contatto con la nostra essenza più vera.
A questo scopo mi fa piacere condividere questa storia, scritta qualche anno fa per la scuola di infanzia di Damanhûr, sperando vi sia gradita.
Nella fiaba sono presenti riferimenti del mito damanhuriano, che fa risalire le sue origini ad Atlantide, della quale il regno egizio sarebbe una delle colonie superstiti, post distruzione e inabissamento.
Così, in questa storia, emergono alcuni nomi delle diverse personificazioni del sole nel ciclo dell’anno, provenienti dalla cultura egizia e greca, radici potenti della nostra.
In particolare qui è in primo piano Osiride, divinità che presiede ai cicli della semina e del grano e al regno dei morti.
Iniziamo…
𝐈𝐥 𝐜𝐡𝐢𝐜𝐜𝐨 𝐝𝐢 𝐠𝐫𝐚𝐧𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐚𝐫𝐥𝐨̀ 𝐜𝐨𝐧 𝐢𝐥 𝐬𝐨𝐥𝐞.
Un chicco di grano era scappato dal sacchetto del contadino. Non voleva essere messo sottoterra per il rito della semina, ma poi era quasi stato ingoiato da un fringuello goloso, se non fosse stato per un gatto, che all’ultimo lo aveva fatto scappare.
Ora, tutto solo sotto una foglia ingiallita, non sapeva che fare ed era davvero disperato!
Il mondo sembrava essere pericoloso per un piccolo seme che non voleva essere piantato! “Che faccio”, si diceva. Tornare indietro era un problema, andare avanti lo stesso. E il suo piccolo cuore era stretto e spaventato. Per questo Osiride, il grande dio alla guida del carro del sole, intenerito da tanta tristezza, scese fino a lui lungo uno dei suoi raggi. Accarezzandolo gli domandò: “Posso chiederti cosa ti rattrista tanto, figlio mio diletto?”.
Perché dovete saper che Osiride, oltre a guidare il carro del sole in quel periodo dell’anno, era anche il dio e il padre celeste della specie vegetale del Grano.
Il piccolino tirò su col naso e disse: “Quando era ancora estate e il vento dondolava la mia mamma spiga, ascoltavo, al sicuro e protetto dentro di lei, tutte le storie portate dagli spifferi della brezza. Una di queste storie parlava degli uomini e diceva che quelli sottoterra erano i morti. Ma io no, non voglio morire! Perché il contadino mi vuole sotterrare? Io sono sicuro che morirò, certo, ma di paura, al buio, là sotto, tutto solo!”.
Osiride aspettò un attimo prima di rispondere. Una paura così profonda merita un’attenta risposta.
Poi proferì: “Mio amato, capisco come ti senti. Sappi però che vi fu un tempo nel quale nessuno aveva paura di morire e nemmeno di vivere, la morte arrivava al tempo giusto, come una buona amica, con dolcezza, illuminando il cammino del viaggiatore dell’oltre. Nessun buio quindi. Nel periodo nel quale il contadino ti seminerà, troverai me al tuo fianco a illuminare il tuo cammino. Io sono il dio che scende con i semi sotto terra”.
Il piccolino aveva ascoltato tutto attentamente, anche se con lo sguardo basso basso, mentre timidamente annuiva.
“Certo – bisbigliò appena – questo che mi dici mi aiuta un po’, però, scusa se ti chiedo ancora di spiegarmi meglio. Allora, in pratica, mi stai dicendo che morirò?”.
“Sì, piccino, quando sarà il tuo tempo, come tutti, anche tu morrai, ma adesso, più che morire, cambierai forma. Succederà grazie all’aiuto della terra. Ti trasformerai. Diventerai un nuovo te, più grande e più forte. Non sarai più solo il chicco di ora, ti spunteranno le radici da una parte e dall’altra andrai verso l’alto uscendo di nuovo dalla terra. Spunterai da lei come da una madre e sarai prima un germoglio, poi diventerai una forte pianta, e poi ancora una matura spiga, piena, piena, piena di tanti semi come te ora.”
Osiride continuò ancora a parlare, mentre il piccolo semino sentiva nascere nel suo cuore nuova speranza e fiducia. Parlò degli uomini e di tutte le creature viventi, sia quelle più indifese, sia quelle più grandi e potenti.
“Sono anch’esse come te – disse -, anche per loro arriva il tempo di morire e quando succede non è la fine, ma l’inizio di una nuova vita. La morte è solo un passaggio per imparare a diventare più saggi”.
Dopo quest’ultimo discorso, il piccolo chicco di grano era ora finalmente più sereno!
Le parole del dio erano scese nel suo cuore, dando le giuste risposte. Ora era pronto a ritornare con gli altri chicchi nel sacchetto del contadino, ora la presenza e la voce del suo papà del cielo lo accompagnavano, pronte a farsi sentire più forte, tutte le volte che ne avesse avuto bisogno. Con questo spirito confortato e leggero, decise dentro di sé di attendere con curiosità il viaggio di discesa nella terra, buona e calda come una mamma e di risalita verso la luce del sole, guida sicura della direzione ulteriore da prendere.
Così, felice e tranquillo, senza accorgersene si assopì e si mise a sognare. Sognò che anche il grande Osiride, dopo la sua discesa nel mondo sotterraneo, sarebbe rinato con un altro nome, Oro bambino e poi Horus, dalla sua mamma celeste, Iside, in un giorno del Solstizio d’Inverno. Sognò di viaggiare verso di lui allungando i suoi germogli e spuntare dalla terra e che altrettanto stesse facendo anche il sole, suo nuovo piccolo amico. Nel sogno il sole, per la fretta di abbracciarlo, allungava ogni giorno un po’ di più i suoi raggi verso di lui, che si protendeva a sua volta con le foglioline impazienti di spuntare dal terreno, così da incontrarsi al più presto, contenti di ritrovarsi finalmente insieme, come ad ogni Primavera.
Iride