Il 17 novembre lasciami libera di festeggiare il mio venire al mondo…

Cara Elisabetta,
se oggi posso festeggiare la mia nascita è grazie a te e al tuo desiderio di essere
madre per la terza volta. Sì la mia nascita sento che ha portato un cambiamento al
tuo percorso di madre, tu che hai dovuto sempre supportare tua madre, una donna
energica e vitale che ha dovuto resistere alle intemperie continue che la vita gli ha
messo di fronte. L’hai amata molto, l’ho sempre sentito, è stata per te una figura
di riferimento fondamentale, che hai voluto preservare anche tanto, se pur a
volte l’hai sentita oppositiva alle tue scelte, e hai sofferto le sue coalizioni con tuo
fratello Rodolfo. Sento che l’hai voluta perdonare tante volte dentro di te perché
poi desideravi comunque poter avere l’aiuto che ti ha anche dato e che tu hai dato
a lei. La sua morte improvvisa è stato un vero tsunami, anche per me, perché
sapevo che da lì ti saresti iniziata a sentire sola. E come tutte le vicende familiari
la storia si ripete, ed io ero tua figlia femmina quella su cui avevi investito tanto,
ancor prima di mettermi al mondo. Come tu con Valeria io mi sono ribellata a te,
forse anche più precocemente di te o forse tu ad un certo punto ti sei adeguata
mentre io ho avuto sempre una funzione “ariete” nella nostra famiglia, col peso di
chi poi a forza di “sfondare” rischia pure di farsi male. A 19 anni sono scappata,
non avevo gli strumenti e la robustezza di resistere ad un ordine-regole
caotico (caotico perché a te e papà non vi ho mai sentiti uniti nel dare a noi figli
una guida comune) che mi volevate imporre, mi sentivo soffocare e sentivo che il
mio ruolo all’interno della famiglia era troppo pesante. Io non ero te mamma, ero
liquida, mi sentivo senza veri punti di riferimento, senza argini su cui appoggiarmi,
soffrivo il dolore di papà, le tue lotte senza vincitori, la chiusura di Gabriele e
l’allontanamento di Michele. Per me era troppo. Mi sentivo sola, forse come te, ma
io non riuscivo più a trovare il senso alla mia esistenza. Tu sicuramente hai trovato
la tua strada. Io la mia a suo tempo, non ancora, e sentivo che non per forza
doveva essere la stessa tua, avevo bisogno di distinguermi da te e trovare la mia.
Quelli sono stati gli anni più difficili, a contare i giorni che passavano sperando di
poter morire per cessare di soffrire. Però una parte di me molto attaccata alla vita
non ha mai smesso di cercare. Ero sola e le relazioni con gli uomini, le mie
amicizie sono state gli alberi maestri su cui attaccarmi fino ad arrivare a Luca, un
bel albero maestro, apparentemente forte e solido, probabilmente un po’ più
radicato di me, ma non per scelta, ma perché la sua storia l’ha portato ad essere
tanto funzionale per l’esterno al costo di privarsi dei suoi veri bisogni. Ed è così che
ci siamo perfettamente incastrati, un puzzle perfetto, dove poi l’uno difendeva
l’altro per la paura di rompere degli schemi culturali che avrebbero potuto creare
altra sofferenza.
Io ero confusa e la nascita di Valentino che benedico mi ha fatto entrare
profondamente in crisi, sì avevo imitato il tuo percorso di madre, ma senza capirne
realmente il senso. Avevo la mia famiglia ma era tutto troppo confuso, anche nella
coppia con Luca non si capiva chi era il maschio tra noi due e rivedevo le
confusioni che avevo vissuto nella coppia tra te e papà. Il tuo continuo dover
trovare una soluzione, prendere tu le redini della famiglia, essere tu la parte
“spermatozoo” che sempre in movimento corre per raggiungere il proprio obiettivo
e non la parte “ovulo” che attende e accoglie. Sicuramente mamma questa tua
funzione ti ha aiutata a sentirti viva e in alcuni momenti indispensabile e vista
dagli altri, però sento che ti ha snaturata molto, anche rinunciando al tuo bel
femminile al tuo voler essere madre, per dover fare il maschio della situazione. A
me questa cosa mi ha confusa molto, soprattutto nella mia adolescenza che avevo
bisogno di riconoscere il mio femminile attraverso di te e invece lo ritrovavo più in
papà, e avevo bisogno di sentire le regole, la riconoscibilità, un mio territorio da
papà e invece lo ritrovavo più in te. Non ci sono colpe mamma, tu mi hai donato
quello che hai ereditato dai tuoi e so che hai fatto quello che potevi.
Oggi cara Elisabetta posso festeggiare i miei 42 anni sentendomi prima donna, poi
sì anche figlia e madre, e come mi ha scritto Valentino nel disegno che mi ha
donato di suo pugno “rinasci figlia e madre di te stessa”, perché se non faccio
questo passaggio dentro di me mamma, avrò sempre da vedere il bicchiere mezzo
vuoto della figlia delusa e quindi di madre inadeguata.
Cara mamma Elisabetta lascio a te la responsabilità di non aver voluto – potuto e
saputo aver fiducia in me e nella mia potenza anche quando nei tuoi momenti
down di donna forse sarei stata l’unica che amorevolmente ti avrei potuta aiutare,
e lascio a me la responsabilità di non aver potuto – voluto e saputo distinguermi dal
tuo dolore e quindi dalla delusione di figlia che non è riuscita a generare qualcosa
di diverso con te. Oggi se vuoi possiamo sentirci alla pari, rispettando l’una le
scelte dell’altra se pur diverse e a volte contrapposte. La parola sacro vuol
dire “unire”, se riusciamo ad unire le nostre diversità abbiamo realmente fatto
qualcosa di sacro in questo viaggio nell”esistenza che ancora ci vuole insieme.
Il regalo più bello che puoi farmi?! Che inizi a perdonarti rispetto a me e quello che
non sei riuscita ancora a fare per me, mi alleggeriresti non poco e potresti donarmi
qualcosa di nuovo, i sensi di colpa non aiutano a crescere e a mettere in
movimento … Io ci metto il mio 50%.
Un’ultima cosa ti voglio chiedere forse sarà una cosa futile, ma ieri ho capito che
mi ha anche molto appesantita in questi 42 anni… È certamente bello che sono
nata il giorno del tuo onomastico, so quale valore ha per te, però io l’ho sempre
vissuta come se poi io dovevo più ricordarmi il tuo onomastico che festeggiare il
mio compleanno, anche perché ogni anno ci tieni a ricordarmelo… Mi piacerebbe
distinguere le due cose, se vuoi puoi sentirti libera di non festeggiare il mio
compleanno ma ti chiedo di non darmi più il ruolo di festeggiare il tuo onomastico,
chiedilo a chi come te ci tiene giustamente a ricordarlo. Il 17 novembre lasciami
libera di festeggiare il mio venire al mondo che come natura vuole ci ha spinte a
tagliare il cordone ombelicale.
Da oggi sforzati anche di non chiamarmi più “Betta”, è un diminutivo che
appartiene più al tuo nome…
Con i miei limiti e onestamente ti voglio bene.

Benedetta,
anche Detta “Bene” che oggi sa e vuole procedere con il proprio albero maestro, il
Mio, di nessun’altro.

 

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