Corso Maestrepolo, rubrica PASQUALINA: I PERCHE’ DELL’ESISTENZA. “Perché i fratelli devono soffrire così tanto, prima di potersi incontrare?” Domanda e risposta di Annamaria

Questo tempo di esilio che sto vivendo a casa di mia madre, mi ha catapultata da una situazione che sentivo per me uterina e di crescita a questa casa dove le dinamiche sono ferme, uguali se non amplificate nel tempo per mantenere degli equilibri che ad ognuno garantisce un’identità storica. La domanda sull’esistenza è nata durante il bilancio che ho fatto rientrando a Troia a settembre dopo aver trascorso quattro giorni con mio fratello che mi aveva cercata perché stava male e sento che il dolore di mancanza che ho provato ha aperto delle cose importanti. Lui è più grande di me di tre anni ed è nato dopo la morte del primo figlio di cui gli hanno dato anche il nome. Mia madre ha sempre raccontato le nostre gravidanze come immense sofferenze, sicuramente subite e non desiderate visto che aveva sposato mio padre obbligata dai miei nonni e non per scelta.
Fin da piccoli i nostri ruoli sono stati chiari, lui il maschio molto somigliante a mio nonno materno e io la femmina tale e quale a mio padre con eccezione al negativo. Nella cultura contadina calabrese questi sono criteri molto forti che entrambi abbiamo subito. Così per Domenico, l’essere il maschio che apparentemente gli riservava privilegi e cure speciali in realtà è stato schiacciato dalle aspettative familiari, probabilmente portando la responsabilità di dover molto precocemente adeguarsi a quanto la famiglia si aspettava da lui e infatti a 14 anni già lavorava come meccanico, a 20 è entrato in Polizia Penitenziaria e poi il matrimonio con la sua prima ragazza, i figli, le case ecc. Tutto programmato, tutto fatto per bene, ha assorbito appieno il modello della famiglia/clan dove il lavoro, il costruire per lasciare beni ai figli, è diventato il globale massimo della sua vita. Ha imparato a negare il negativo che abbiamo vissuto in famiglia nel nome di ” I genitori non si toccano”.
Io sono stata la disagiata della famiglia, quella che non ha fatto le cose per bene. Già da bambina non ero ben vista, in quanto uguale a mio padre del quale ho sempre avuto una paura fottuta, ero sempre sbagliata nonostante cercassi di fare di tutto per essere un pò accettata. Sono nata un mese prima perché mio padre ha spinto mia madre dalle scale in preda ad uno scoppio di rabbia. Nel mio essere di serie b, non sono stata oggetto di aspettative particolari, e quando a sedici anni ho incontrato Marino, più grande di me e tossicodipendente, nessuno si è preoccupato, neanche quando a poco più di diciassette anni ho detto che ero incinta… A parte mio fratello, che essendo già in polizia conosceva la storia di Marino e al tempo fece un pò casino…. Mio fratello a modo suo mi aveva visto, così come a modo suo mi ha sempre cercata. Ma io ho sempre sentito di non essere alla sua altezza, crescendo spesso mi sono negata a lui perché ero in difficoltà a stargli vicino.
Come sappiamo gli specchi familiari ci danno una identità, e se penso al CEU lui ha dovuto incarnare l’arco di destra e non mostrare mai le sue fasi di contestazione e di perdita, io ho più incarnato l’arco di sinistra non riuscendo mai a fare un vero e proprio salto quantico oltre perché incastrata nella rabbia.
Oggi vedo e sento tante cose, ho un grande desiderio di conoscerlo e farmi conoscere oltre tutti i ruoli e le strutture che ci siamo dovuti creare. Sento la sua fragilità, la sua solitudine, la sua voglia di abbandonarsi ai tanti dolori che ha dovuto seppellire come me e forse più di me.
Credo che la difficoltà e la sofferenza nell’incontrarsi, sia anche dovuto a questo, entrambi conosciamo poco le profondità dell’altro. Ancora viviamo l’uno dell’altro, le parzialità di quegli specchi familiari che per tanto tempo ci hanno dato un’identità, anche se credo che ognuno di noi abbia sentito che c’è altro.
Credo che la nostra relazione possa crescere, non dico che sarà semplice ma mi voglio impegnare.
Penso che i fratelli non condividano solo la storia che hanno nell’esistenza, ma che ci sia di più…. Se l’Indico ci ha destinati a condividere lo stesso laboratorio metastorico un motivo ci sarà. E se la sofferenza che io ho sentito rispetto alla mancanza, vada oltre le motivazioni a cui siamo abituati a pensare legate all’esperienza nell’arena esistenziale? Mi affascina l’idea che c’è anche altro, che due scintille possano soffrire perché non riescono ad incontrarsi ed esprimere insieme il loro potenziale rispetto ad un senso più ampio. Sarà pure una I. DE. A. ( Interpretazione, Delirante, Allucinatoria), ma questo mi spinge anche a non fermarmi e ha cercare strade per incontrarlo.

Annamaria

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