Corso Maestrepolo, rubrica PASQUALINA: I PERCHE’ DELL’ESISTENZA. “Perché i fratelli devono soffrire così tanto, prima di potersi incontrare?” Domanda di Annamaria, riscontro di Barbara
Sono la prima di tre figlie. Sebbene tra me e le mie sorelle non ci siano molti anni di differenza, ho sempre avuto la percezione e il vissuto che tra me loro ci sia stato un divario, come se io appartenessi ad un’altra generazione. Percepivo che le mie sorelle avevano molta più confidenza tra di loro, e che io fossi un po’ una sorella a sé.
Con mia sorella Francesca ho fatto molta più difficoltà a relazionarmi, sentendo molto la nostra diversità, a volte la percepivo proprio come una minaccia, e spesso litigavamo, sentivo che lei non c’era mai, che dovevo vedermela sempre io ad affrontare le cose di casa.
Con mia sorella Daniela, la più piccola, sono stata più “mammina”, tendevo a difenderla, come se fosse più fragile.
Di fatto, mi sono sentita quasi sempre una isolata, anche rispetto a loro.
Anche rispetto alla relazione con i miei genitori, credo di essere stata la figlia che si è messa più in mezzo, perché sentivo il dolore di mio padre e volevo aiutarlo, ma riconosco di aver fatto anche tanto da “mammina” a mia madre.
Il rapporto con Francesca sento che lo sto riprendendo a partire da quando si è separata da suo marito e ha iniziato un percorso nel Progetto. Prima la vedevo come una stronza che pensava solo ai cazzi suoi, ma mi rendo conto che mi ero fermata a una parte superficiale di lei. Adesso la sto scoprendo come sorella alla pari, riconoscendole anche tante parti in cui la sento più adulta di me, anche ammirando la sua sensibilità e tante altre sue qualità.
Il rapporto con Daniela faccio ancora difficoltà a sentirlo più scorrevole e alla pari, perché da anni non riusciamo a scambiare in profondità, nonostante lei sia stata la sorella a cui mi sentivo più legata. Questa cosa mi fa soffrire, e cerco a mio modo di trovare una strada per incontrarci, ma ancora non ci riesco.
Incontrarsi in profondità significa fare un crossingover, significa digerire la zona pellucida che ci fa vedere spesso solo l’otto per cento di qualcosa di molto più grande e dinamico. Ma cosa c’è oltre? Come si fa per andare oltre? Sicuramente ci vuole… un grande lavoro! E sicuramente si è facilitati se il lavoro lo fanno entrambi e se il desiderio di incontrarsi più in profondità c’è da parte di entrambi. Ma credo che, anche se l’altra persona non lo voglia, comunque possiamo lavorare su noi stessi e sul nostro modo di percepire l’altro, per ampliare il nostro sguardo, il nostro sentire, e non fermarci alle visioni “alfa” a cui siamo abituati, che ci fanno anche comodo ma che sono superficiali, ristrette, e mantengono la relazione statica… e anche noi stessi.
Barbara