Saluto alla vecchia spiritualità

Il 15 ottobre, approfittando della mia permanenza nella terra umbra, ho deciso di andare una giornata ad Assisi, perché sentivo il bisogno di andare a chiudere un cerchio con una spiritualità che in passato mi ha molto nutrita e sostenuta, ma che adesso sento di voler vivere in modo più…fetogenetico.
Sono partita da Piegaro, il comune dove abita Patrizia, che mi ha accompagnata al pullman, poi da Perugia ho preso il treno per Assisi.
Mi sono subito immersa perché in genere questo tratto lo faccio a piedi, nella marcia Perugia Assisi.
Questa volta ho sentito il desiderio di andarci, non perché c’era un evento esterno, tipo la marcia, un convegno ecc., ma perché volevo partire da me.
Sono arrivata a S. Maria degli Angeli. Il posto che volevo “visitare” era la cappella del ”transito”, dove S. Francesco è morto.

 

È stato un voler cercare di lasciare le mie parti morte che ormai non mi servono più, ma anche un aiuto per attraversare questo periodo in cui sento di dover transitare, ma ancora non vedo con chiarezza lo juvenis.
Purtroppo, quando stavo iniziando a scrivere delle riflessioni su questo, sono stata mandata via da un custode, perché doveva disinfettare.
Con queste restrizioni Covid, sono tutti molto psicotici e terrorizzati!
Per cui mi sono avviata a piedi verso la basilica di S. Francesco, che dista quasi 4 km, ed è un percorso fatto tutto di mattoni donati da persone, comuni, associazioni, per la ricostruzione della basilica dopo il terremoto del 97.
Anche se pioveva, mi è piaciuto camminare in solitudine, altre volte eravamo migliaia!
È sempre un’emozione raggiungere la basilica a piedi e vederla spuntare tra le colline con le sue arcate bianche.
La piazza era vuota…l’ho sentita veramente tutta per me, come se anche gli antenati mi stessero aspettando per questo saluto, e in primis S. Francesco.
Dopo la fila e le solite misure anti covid sono arrivata alla tomba di S. Francesco.
Ho subito notato, anche se non era la prima volta, la grande dominazione del faraone finanziario. Si vendeva di tutto: oggetti, candele, messe e benedizioni.
Ci stava un frate apposta a fare le benedizioni!
E poi mi soffermo sulle facce delle persone…tutte tristi, contrite, addolorate.
Paradossalmente mi viene un po’ da ridere e penso a quanto ci hanno inculcato questo senso della “croce”, in realtà però S. Francesco parlava dell’essere gioioso e questo mi aveva attratto molto.
Ma ritorniamo alla tomba.
C’erano dei bambini che giravano attorno alla grata, si rincorrevano, giocavano con le candele, saltavano sui gradini, ovviamente la madre li ha subito richiamati. Io sorridevo e godevo della loro giocosità, freschezza, del loro osare, del non aver paura di scomodare… a questo punto non so cosa è successo, ma sono andata ad una mia scena primaria.
Torno a quella bambina spensierata e felice che giocava nella piazza mentre in casa accadevano cose forti…mentre si realizzava “la tomba “di mio padre e nessuno mi diceva niente, nessuno mi considerava.
Sono rimasta seduta lì per quasi due ore piangendo senza riuscire a smuovermi.
Dopo questo momento ho fatto il giro della cappella e ho visto la tomba di frate Leone, che era lo scrivano di S. Francesco, a lui infatti dettò la “regola” da consegnare al papa.
L’ho sentito come un segno per accompagnarmi a scrivere le cose che sento e che mi emozionano.
Avrei valuto fare un rito che segnasse il passaggio a questa mia spiritualità più aperta, più a partire da me.
Ho voluto ringraziare e riconoscere tutto quello che di buono c’è stato, ma poi non sono riuscita a pensare a come realmente fare questo rito.
Sono uscita e finalmente c’era un raggio di sole, anche questo l’ho visto come un segno.
Continuando a passeggiare ho visto che vendevano l’ulivo della pace. Ho chiesto cosa significasse ma nemmeno chi lo vendeva mi ha saputo rispondere.
Allora ho pensato che questo poteva essere il rito. Portare questa pianta a Patrizia e interrarla nel suo giardino.
Questo ulivo di S. Francesco che si trasforma in una pianta che dà nutrimento, che mette in relazione pezzi della mia vita con persone della rete.
Ora l’ulivo è qui, mentre io scrivo, e sento che sta accompagnando non solo me ma anche le altre persone di questa casa.

Adriana

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