Corso Maestrepolo, rubrica PASQUALINA: I PERCHE’ DELL’ESISTENZA. Perché si diventa timidi? Domanda di Mara, riscontro di Rosanna
Perché si diventa timidi?
Bella domanda. Beh, forse io sono la timida per eccellenza, o meglio lo sono stata.
La mia timidezza è sfociata intorno ai 10 anni, da quello che ricordo, quando ho iniziato a sentirmi un brutto anatroccolo senza alcuna speranza di diventare un cigno. Mi sentivo l’incarnazione della ragazza di “Brutta”, una canzone di Alessandro Canino, senza però nessuna prospettiva di lieto fine. A causa della mia timidezza, che mi faceva avvampare ogni volta che qualcuno mi rivolgesse la parola, non ho mai avuto molte amicizie, e di questo ho sempre molto sofferto. All’esame di maturità, con tutti quei professori in commissione, non aprii bocca e questo mi costò un tristissimo e umiliante 40, nonostante avessi concluso il liceo con una media molto superiore. E anche all’università, nonostante dedicassi molto tempo allo studio, i miei risultati erano sempre meno eccellenti di chi invece, al contrario di me, con molto meno sforzo, riusciva ad accattivarsi i professori con eloqui molto più fluenti e convincenti dei miei. Per non parlare di quando ho iniziato a lavorare e ho messo piede a scuola come insegnante. Ogni qual volta mi sforzavo di dare un’immagine più professionale di me e di sentirmi alla pari delle mie colleghe (che chissà come mai erano sempre molto convinte del fatto loro, con un gran maschile e una gran voglia di prevaricare il prossimo… gran bella categoria quella delle insegnanti!!!) le mie parole inciampavano, incespicavano…ed io mi sentivo di andare sempre più sottoterra.
Insomma senza andare troppo avanti con gli esempi…
Nel mio caso è molto evidente che timidezza e svalutazione erano due componenti che si accompagnavano e nutrivano rafforzandosi a vicenda e spesso si ammantavano di dolcezza, una bella maschera che mi veniva riconosciuta, non come tale, ma come una bella qualità.
Beh, quando ho iniziato il percorso con il Metodo alla Salute ho presto compreso come dietro la mia dolcezza si nascondessero tanta rabbia e dolore per i miei genitori che non avevano saputo, né voluto accompagnarmi nella mia crescita, anzi avevano ridotto a pezzetti talmente piccoli le mie ali per volare che avevo dimenticato di averle.
Ora dopo tanti anni di percorso con il Progetto Nuova Specie, tra alti e bassi e con una bella spinta dell’InDiCo che mi ha sempre voluto bene, posso dire che il carattere non esiste. Ed è quello che dico alle mie colleghe quando parlano banalmente di figli ed alunni, come qualcosa di immutabile, da accettare con rassegnazione. Modificare il mio “carattere”, trasformarlo in qualcosa che mi faccia sentire più felice, che mi dia la possibilità di dare dignità a quello che sento, esprimerlo senza troppe paure, è stata fin’ora l’avventura più entusiasmante della mia vita.
Per me la timidezza è stata sottomissione, dolore ed umiliazione, mancanza di maschile… e le persone che manifestavano un forte maschile o atteggiamenti di esuberanza, di maggiore sicurezza mi creavano problemi, mi erano “antipatiche”. “Anti-patiche” è facile dedurre che significhi “contro il mio sentire” mentre “simpatico” è chi è più vicino al mio sentire (mia etimologia intuitiva senza alcuna pretesa).
Per cui, mi era antipatico chi faceva da specchio a parti mie congelate, distrutte, e il vederle così ben chiare negli altri mi suscitava rabbia ma perché inconsciamente risvegliava in me il dolore profondo per aver perduto precocemente quelle parti e mai potute esprimerle. Quante dinamiche scorrette, distorte si manifestano nell’arena esistenziale, sul posto di lavoro… quante energie vengono consumate per autodistruggersi o per distruggere, competere con un prossimo vicino semplicemente perché ci sta antipatico, ci fra da specchio.
L’InDiCo mi ha portato ad avere tre splendide figlie che sono state una fortissima spinta per riprendere il viaggio della mia vita e strappare brandelli di zona pellucida appiccicati da mia madre e mio padre. Ogni volta che partorivo erano anche le mie figlie che partorivano una nuova me, tra gioie, dolori e fatiche come chiede ogni gravidanza. Ogni volta che partorivo, nei mesi immediatamente successivi c’era sempre un motivo per provare vergogna, per sentirmi inadeguata, perché non era il momento adatto, perché non ero ancora sposata, perché la seconda era troppo vicina alla prima, perché tre figlie sono troppe. C’era sempre qualcosa di sbagliato nella mia vita. Perché così mi ha sempre fatto sentire mia madre e a seguire mio padre…
Crescere per me è stato un demolire il grande occhio giudicante che mi sentivo perennemente addosso. Un percorso per me lento e faticoso. Le mie piccole donne-bambine sono la meraviglia della vita che si rigenera e continua a procedere.
Concludo con questa riflessione. Sento che negli ultimi anni l’InDiCo mi sta accompagnando molto attraverso il mio lavoro. Dopo un bombardamento molto forte sul lavoro (fatto da un bambino cosiddetto autistico) che mi ha portato di nuovo ad attraversare tanti mostri interiori che ancora mi portavo, ora mi sta portando verso un nuovo spettacolo.
Quest’anno è il secondo in cui faccio l’insegnante su due classi seconde in primaria (italiano e arte). E quest’anno la mia dirigente mi ha assegnato il ruolo di coordinatrice di tutte le classi seconde dell’istituto. E’ una sfida che ho accettato con la consapevolezza che sarà un’opportunità per allenarmi a tirare fuori il maschile che sto costruendo, avendo fiducia nei miei punti mitotici, spingendomi a manifestare quello che sento, desidero, vedo.
Rosanna Cotugno