Corso Maestrepolo, rubrica PASQUALINA: I PERCHE’ DELL’ESISTENZA. Perché si diventa timidi? Domanda di Mara, riscontro di Gabriella

Perché si diventa timidi?

Cara Maestrepola Mara,
Voglio provare a rispondere al tuo quesito perché la timidezza è una condizione che mi ha sicuramente riguardata e oggi, spesso, la sento riferire a mia figlia.
Intanto, come ben scrivi, “si diventa” e questo già indica che nessuno di noi nasce “timido”, ma nasciamo interi e poi, via via, perdiamo pezzi che ci fanno incasellare dall’esterno in questa o quella identità, nessuna, in realtà, identifica completamente quello che solo noi siamo. Come ben ci insegna l’Iceberg Ob – Sub, ciò che si vede di noi o che facciamo vedere è solo l’8% e se viene visto, dipende anche dalla soggettività e dalla sensibilità di chi ci guarda.
E cosa si diventa? Nella domanda che tu poni “Si diventa timidi”. Etimologicamente “timido” è una parola derivata dal verbo latino “timeo”, cioè “temere”. Cosa teme il timido? Principalmente il giudizio degli altri, si mostra insicuro, incerto, si sente incapace di osare perché teme che il risultato sarà un fallimento, anche quando è certo di saperne più degli altri e lo manifesta pure con rossore, tremore della voce, sudorazione, tutti sintomi che indicano che non c ‘è un buon collegamento tra il Simbolico che si mostra all’esterno e gli altri codici che, invece, esprimono una situazione magmatica che spinge per venire fuori.
Spesso ciò che è mancato al timido, e che diventa anche la causa dell’emergere di questa timidezza, è un buono specchio riconoscente che gli faccia sentire di avere un valore in un’arena esistenziale in cui, invece, il timido si sente sempre come un perdente, in cui il confronto-differenza con gli altri non fa che alimentare questa presunta timidezza. Spesso anche la buona educazione, che ti porta a rispettare determinate regole di socialità, viene scambiata per timidezza.
Io credo di essere diventata timida perché cresciuta all’interno di un nucleo familiare molto protettivo e che mi trasmetteva il senso dell’esterno come estraneo e nemico. Soprattutto nei primi sei anni della mia vita, vivendo in una città caotica come Roma, le relazioni al di fuori di quelle familiari furono veramente ridotte al minimo per cui non conoscevo cosa fosse la molteplicità delle relazioni. Quando invece ho dovuto confrontarmi con l’esterno perché iniziava la scuola dell’obbligo, la mia struttura era già condizionata da quell’imprinting ricevuto di bambina educata secondo le regole del Galateo, che non doveva osare, rispondere male, dire parolacce, parlare se non quando interrogata… Insomma, tutte buone regole per adulti che non vogliono avere problemi con un bambino che si esprime per quello che sente di essere. Ma la timidezza, crescendo, diventa una vera etichetta, le relazioni con i pari sono molto condizionate da questo stigma, né accanto ho incontrato adulti accompagnatori che sapessero andare oltre la mia timidezza e vedere in me una bambina esattamente come gli altri, con gli stessi desideri di provare, sbagliare, trasgredire. Crescendo ho dovuto sdoppiarmi: fuori ero sempre timida e riservata, in casa avevo scoppi di rabbia apparentemente immotivati, il tutto con una bella acne adolescenziale che, in realtà, faceva vedere sul mio viso tutti i segni di ciò che non riuscivo a manifestare.
Ho dovuto molto lavorare su me stessa per sciogliere la matrioska familiare ed, in particolare, un modo di comportarsi che mia nonna aveva trasmesso a mia madre e mia madre a me. La voce era l’altro canale con cui esprimevo tutta la mia perenne incertezza su cui Mariano mi ha molto bombardata ed aiutata a crescere.
Non credo che il mio lavoro sia concluso e so che devo continuare soprattutto con mia figlia cui spesso sento dirle che è una bambina timida, a partire dalle insegnanti cui ho dovuto far capire che mia figlia non è soltanto timida, ma molto di più, fino alle altre bambine che si relazionano con lei, soprattutto quelle che non conosce come è successo in questi giorni di vacanza per noi. So che molto ha assorbito da me come è vero che anche lei, soprattutto per il fatto di non avere fratelli o sorelle, è vissuta in un ambiente abbastanza ovattato, ma so anche che il contesto scolastico ha un grande peso per lei ed insegnanti non sufficientemente formati ad una globalità trasmettono giudizi parziali per cui un bambino è timido o non lo è, è bullo o non lo è ed ogni bambino sceglie in quale di queste caselle vuole essere riconosciuto.
Andare verso una Nuova Specie in cui tutti possiamo sentirci liberi di esprimere per quello che siamo, senza condizionamenti, giudizi, etichette ma accompagnarci a scoprire quel 92% di noi invisibile per occhi miopi e non allenati ad utilizzare gli Ommatidi è e sarà un processo lungo. Si può anche diventare timidi ma un Cocreatore dovrà essere capace di andare oltre la timidezza per scoprire il giacimento che c’è sotto ed aiutare la persona a farlo emergere.
Questo sento, Mara, che anche per te sta avvenendo.
Gabriella Napolitano

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