Corso Maestrepolo, rubrica PASQUALINA: I PERCHE’ DELL’ESISTENZA. Come faccio ad accorgermi… Domanda di Moris, riscontro di Riccardo

Grazie al percorso nella Fondazione lavoriamo per mettere in relazione la nostra parte maschile a servizio di quella femminile. Ma come faccio ad accorgermi se sono diventate parti in competizione e quindi come posso rielaborare per procedere e rimetterle in armonia?

Il dizionario etimologico (www.etimo.it) dice che domandare deriva dal latino “demandare” trasferito al suo significato proprio di “commettere”, “consegnare” al significato figurato di “confidare all’attenzione di alcuno la nostra ricerca o richiesta”… che in un italiano più facile vuol dire sperare nella risposta di qualcuno.
Le domande hanno sempre un’ambiguità, un Giano.
Se siamo in ascolto della realtà e di noi, sono un radar che sonda parti ancora nascoste o che stimolano l’altro a ricontattarsi.
Se, come succede spesso, siamo in attesa della realtà le domande ci servono per verificare, come una eco, se dall’altra parte c’è qualcuno che ci ascolta e ci rimanda qualcosa per noi.
Fare domande spesso si potrebbe rispondere con: “fallo e vedi che succede”.
Oppure ci sono le domande con il “ma, se”, le domande degli innamorati: ma se io avessi fatto così, tu avresti fatto cosà”, sono domande che vogliono una sola risposta.
Qualcuno che ci dia ragione.
Le domande che celano dentro loro stesse la voglia di non avere risposte ma affermazioni.
Dietro alle domande ci siamo noi che alla fine dei conti vogliamo un adulto che capisce la nostra vera esigenza e risponde a noi e non alle nostre parole.
Il mondo del profondo, del codice bio-organico, del codice ontologico, il mondo dai confini sfuggenti del Maschile e Femminile non possono avere domande ma solo sincronici momenti di scelta.
La domanda su questioni così profonde, ricche di significato ma sprovviste di forma possono avere solo una risposta.
E la risposta è “BOH, vedi tu”.
Se non ti poni la domanda, quando stai nel vortice dei nodi della profondità questo piano piano si sincronizza col nostro sguardo e tutto quello che prima sembrava girare ora diventa fermo come il tempo verso la velocità della luce.
Ma al contrario di questo fenomeno fisico, per poter conoscere le profondità non si può sperare di produrre un movimento così potente come la velocità dei fotoni ma al contrario necessità di una lentezza soprattutto del codice simbolico.
Tacere e non chiedere all’esterno è il miglior modo per raggiungere il sincronico.
Il sincronico, poi, altro non è se non l’armonia.
Armonia è una serie di note una sopra l’altra. l’armonia è il sincronico della musica, l’accordo il momento unitario e solo del fenomeno musicale.
Laddove la melodia circolinfa come un’ondanda, l’armonia è una sovrapposizione di qui è ora.
Come si armonizzano quindi complesse, infinite e dinamiche emozioni senza forma?
Il silenzio, il ritiro, la scelta e il salto.
Silenzio è il gesto fisico di non parlare.
Ritiro è il profondo senso di distacco dall’arena esistenziale.
La scelta il momento dal quale si sceglie come e dove rigettarsi nell’esistenza.
Il salto, il momento proprio dove si spicca il volo verso il nuovo.
Tutto già scritto nella teoria sulla gravidanza ma che si sposa bene sulla domanda che in buona sostanza si può tradurre così:
“Come vivo il sincronico delle mie scelte senza l’aiuto dell’esterno?”
Riccardo

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