Maestrepolo itinerante del 14 agosto 2020, emozioni r.p. (a rilascio prolungato) di ZiGèn Graziana
Domenica 16 agosto
Caro GiMaCiNe,
voglio raccogliere e fermare alcune riflessioni su uno dei giapponesismi da te introdotti durante l’ultimo Maestrepolo: ZiGen.
Gli ultimi mesi ho attraversato un grande dolore per la violenza con la quale mia sorella è intervenuta nella relazione tra me e mia nipote privandomi e privandola dello scambio profondo e giocoso che abbiamo costruito, anche grazie al mio materno, alla sensibilità che ho sviluppato grazie alle mie cicatrici, ma anche per la grande curiosità che ho sempre avuto per lei che da subito ho sentito in pericolo di omologarsi e mettersi a protezione delle difficoltà con le emozioni, soprattutto quelle di morte, il negativo, dei genitori. Abbiamo sempre vissuto molto il corpo e le emozioni tra noi e questo ha fatto sì che anche dopo periodi lunghi di lontananza, la relazione rimaneva viva perché i codici portavano memoria. Qualche tempo fa mia nipote, che ha quattro anni e mezzo, ha vissuto delle difficoltà: pur sentendo lo stimolo non riusciva più a fare pipì e, quando ho saputo che stavano facendo visite dal nefrologo, analisi su analisi, e volevano portarla dalla psicologa, ho proposto a mia nipote se volesse venire alla Scholé. Da allora mi sono state tolte molte opportunità di vederla e viverla perché “la plagio”.
È stato un evento chaos che mi ha addolorata molto, ma anche mi ha spinta ad accogliere la realtà dei fatti, accettare la chiusura e fidarmi che i semi che ho piantato rimangono e le cose buone non si perdono. Mi è stata chiara una verità, che io ho perso il diritto di una relazione, con mia sorella e mio padre, da quando ho scelto di fare un percorso, tredici anni fa. Ho riconosciuto chiaramente che da allora loro, con me, hanno chiuso, mi hanno considerata “fuori” e messa sempre più fuori togliendomi sempre più tutto e svalutandomi sempre di più.
Benedico che si è creata questa fessura perché ho sentito che era una verità che dentro di me già c’era e già sentivo, e ora mi sento liberata di un peso e di una grande fetta di energie investite in cazzi morti.
Ma veniamo allo Juvenis e non smarriamo il senso.
Già qualche Maestrepolo fa mi aveva molto colpito una tua frase, Mariano: “Oggi per fare un figlio è sufficiente una coppia di genitori, ma per crescerlo assolutamente no, non basta più”. Ed è proprio così, quanta aletheia ho riconosciuto in questa frase! Oggi pensavo alla prospettiva ZiGen… Ho pensato alla fatica che facciamo per liberarci, per uscire dalla matrioska familiare e a quanto tempo ci mettiamo. Ho fatto alcune riflessioni. Qual è uno dei limiti principali di una famiglia embriogenetica, tradizionale e chiusa? Quella che per i figli il modello, lo schema di base sul quale costruirsi, a meno che non facciamo esperienze importanti fuori dalla famiglia, è quello dei genitori, magari del genitore a cui ci sentiamo più simili come sensibilità o del quale sentiamo di più la fragilità o la sofferenza e quindi ci mettiamo a protezione. O magari, ancora, ci costruiamo all’opposto di un genitore di cui abbiamo paura o di cui temiamo le sanzioni. Così, un bambino, che naturalmente è molto vicino alla molteplicità, inizia a riferirsi a un solo modello, a un angolo alfa, il suo infinito si frantuma o si esprime sono nelle parti che quel simbolico alfa consente o specchia, e spesso quel modello si incide così tanto dentro di noi strutturando il nostro PiraGraal che poi per cambiarlo cazzo se ce ne vuole di sangue e sudore! Oggi poi l’adolescenza, così come è diventata, ricca di virtuale e sballosi e lontana dai riti di passaggio che accompagnavano e iniziavano all’età adulta attraverso prove che coinvolgevano tutti i codici e ti facevano veramente vivere le
emozioni vita-morte e lacerare il vestito della prima comunione, lasciare la pelle ormai stretta, non è più sufficiente a permetterci di scucirci questi modelli e tradirli. Nella prospettiva ZiGen quale vantaggio, quindi, vedo? L’opportunità, per un figlio, per una figlia (l’età ovviamente non conta, parliamo anche di parti figlio e parti figlia), di riferirsi a più modelli, a più stili, a più dinamiche e modalità di interazione. La possibilità, inoltre, per uno ZiGen, di essere messo in crisi o riconoscersi in più parti, e quindi di rimescolare continuamente le proprie carte spingendosi a riprendersi il proprio intero e a radicarsi nel codice ontologico dovendosi giocare, appunto, una relazione ontologica, non in cui ha dei diritti asimmetrici solo perché è madre o padre. Potremmo dire quindi che mentre nella famiglia univoca, embriogenetica, un figlio ha come modello e deve riferirsi a un angolo alfa, nella famiglia fetogenetica, o Coppiarrrete, può riferirsi a più modelli, a un quadrangolare. Inoltre, se penso all’infinito che ognuno di noi è, è davvero difficile che un genitore possa specchiarci o accompagnarci su ogni pezzo del nostro infinito. Ricordo che da piccola ero innamorata delle donne ben curate e che avevano un proprio stile originale e femminile. Ricordo quanto ero felice quando entrava in classe l’insegnante di inglese con le sue mantelle di panno eleganti, le sue maniere sicure, i gesti dolci, raffinati e il suo profumo. Che cosa cercavo? Un altro modello rispetto a quello di mia madre, così presa dal servire la casa e la famiglia, ma infondo i suoi FUK, da dimenticarsi di sé stessa.
A che cosa, questo modello univoco e ingombrante, ha portato quindi molti di noi che hanno avuto come unico riferimento la coppia genitoriale classica? A doversi ritrovare, ad un certo punto della propria vita a fermarsi nella propria crescita, a dover pagare pesanti cambiali e dover scucire, digerire, rielaborare quel modello e superarlo per poter costruire cose che non ne fossero condizionate in profondità. Cosa può accadere, invece, grazie alla prospettiva ZiGen? Che ognuno, figlio o genitore che sia, perché è una prospettiva reciprocamente enzimatica, può avere l’opportunità di rielaborare un po’ alla volta i propri modelli e i propri riferimenti e, di volta in volta, fare un check up anche a quanto l’accompagnamento che stiamo ricevendo o facendo sta tutelando e facilitando l’espressione del nostro e altrui infinito e sta tutelando la nostra e altrui specificità.
Così uno può transitare continuamente da una identità a un’altra e costruire, sviluppare la propria capacità di vivere il CEU ordinariamente, con semplicità, dando valore a tutti e 4 gli aspetti dell’esistenza. La prospettiva ZiGen è una prospettiva di crescita innanzitutto più reciproca e in viaggio, più alla pari, più sottomessa alla fetogenesi e all’essere substrima, ma, poi, è anche una opportunità per poter fare Coppiarrrete con più parti nostre.
Mi è piaciuta questa proposta anche perché è un iniziare a rendere ancora più concreta la prospettiva della Comunità Globale anche attraverso il creare, con arte, nuovi ruoli fetogenetici e dinamici, sul campo e man mano che si pongono i problemi e le sfide, e rimangono scoperti dei bisogni, dei lembi di pelle per il crollo dei modelli precedenti. Quale spinta sento in una semplice parola, ZiGen? Una ulteriore spinta ad abbandonare il senex delle relazioni dettate, “stabilite”, dai codici più recenti e a procedere verso relazioni fondate sui codici più profondi, in particolare quello bioorganico e quello ontologico, che partono meno dalla funzione ruolo e più dai desideri. Insomma, meno legate al tempo-spazio e più alla fusionalità.
Giovedì 20 agosto
Queste righe le avevo scritte domenica, prima del know how, contenta come ero del venerdì a Termoli ho sentito anche più spinta e più linfa a disposizione per esprimermi. Ma il know how mi ha mostrato perché questo nome, ma anche creare un nome ad hoc per qualcosa di nuovo, mi aveva così risuonato dentro.
La bellezza di questo nome sta anche nel fatto che è un pi greco di un quadrangolare aperto da tempo e per il cui percorso beta-gamma molti di noi si sono coinvolti con amore profondo, in primis tu, GiMaCiNe. Proprio come nella creazione abbiamo percorso, in questi anni, tutti i cinque verbi della creazione. ZiGen è il chiamò, è il frutto di un processo di creazione.
Sentire la festa per questo nome, per me significa sentire la fine di investimenti a vuoto in una famiglia senex, e la bellezza, l’opportunità di dirigermi verso una prospettiva nuova, fatta di investimenti in una banca sicura, la GUK, di cui mi sento parte amorevole.
Perché mi ha così emozionata, poi, sentirmi “chiamare” ZiGen?
Perché ho sentito riconosciuta anche una mia creazione, un mio donare parti mie di valore con il desiderio di farlo.
Tante cose che ho creato non hanno avuto mai nome, spesso è stato come se non fossero mai nate perché nessuno, in primis io, le avevo mai nominate, chiamate. Domenica ho sentito che adesso per me è tempo anche del chiamò, di farlo per me ma anche di riceverlo.
Mi dà respiro il dolce senso di abbandono che provo se penso che tanti e tante piccole me, in questa prospettiva, possono non sentire il tanto freddo che ho sentito io e il peso ingabbiante di dover fare gli adulti prima di aver potuto essere bambini e di aver goduto di chi ti prende per mano e ti accompagna a scoprire chi sei.
Sento una gioiosa responsabilità.
Grazie primo e antenato ZiGen!
Ti voglio bene,
Graziana