Corso Maestrepolo, rubrica PASQUALINA: I PERCHE’ DELL’ESISTENZA. Perché l’allattamento… domanda di Elisa, riscontro di Emanuela

Perché l’allattamento al seno, pur essendo un atto di nutrimento che consente la crescita di un essere umano e quindi della specie, un atto che dovrebbe essere semplice, istintivo e facile, è invece in molti casi per le donne doloroso e anche talvolta dà origine a infezioni (es. mastiti), malesseri, etc.?
Sono nata con un parto pilotato il 29 ottobre: avrei dovuto nascere il 10 novembre, ma il ginecologo doveva andare in vacanza in montagna, e ha anticipato la mia nascita. La gravidanza di me è cominciata e proseguita senza alcun problema, dall’inizio alla fine. La mia mamma mi ha allattata per 28 mesi, me lo ripeteva sempre con un certo orgoglio. Diceva che la pediatra veniva spesso a vedermi a casa, perché erano ormai rari i bambini nutriti solo con il latte materno. Mia madre mi ha sempre ripetuto: “Eri un fiore. E io non sono mai stata così bene come durante i due anni e mezzo in cui ti ho allattata”. Ho ricordi molto molto lontani nel tempo, e sono stati tutti suffragati da fatti poi raccontati da mia madre, che mi ha sempre domandato stupita: “Ma possibile che tu, così piccola, capissi tutte queste cose e te le ricordassi?”. Si, possibile. Ricordo, ad esempio, che l’inizio della mia vita è stato per me un vero paradiso: era come se fossi ancora nel grembo di mia mamma, avevo bisogno solo di lei, e di nient’altro. Per due anni, la mia mamma ha vissuto per me con una dedizione totale, e io mi sentivo felice. Non c’era quasi nulla oltre noi due, e io ricordo molto bene la poltrona marrone scura su cui lei mi metteva per lavarmi la mattina, per farmi il bidet. Quelli, per me, erano momenti di beatitudine. Non so se prima o dopo mi allattava, e poi mi poneva sul tappeto peloso del salotto, e io giocavo sul lungo tavolino ovale bianco. L’allattamento era un momento magico: io, così piccola, avevo il visino in mezzo alle sue grandi mammelle rosa. Guardavo rapita il neo ovale che aveva sul suo lungo collo, e sentivo il suo alito profumato. Pensavo che non esistesse nulla al mondo di più bello di mia madre. Quelli sono stati anni di fusionalità totale, una gran fortuna e un gran nutrimento per la mia vita futura, durante la quale, purtroppo, è rimasto il ricordo di quel paradiso. Ero così abituata a vedere il seno di mia mamma che, già a due anni, mi domandavo perché io fossi così piatta: e così, quando mi muovevo tra passeggino e piccole camminate autonome, ogni volta che la mia mamma mi portava in giro io mi attrezzavo per avere un gran seno. In ascensore mi riempivo di cotone e fazzoletti sotto la maglietta. Ogni volta, mia madre è riuscita a farmeli togliere prima di uscire in strada, ma per anni, credo fino alla pubertà, ho avuto la fissa di avere il seno che aveva lei. Gonfiavo palloncini pieni d’acqua e li mettevo sotto la maglietta, e andavo in giro così quando ero in campagna d’estate. Ogni tanto un palloncino scoppiava e mi bagnava tutta. I passanti guardavano molto stupiti. Amavo essere allattata, e mia madre amava allattarmi. Avendo più di due anni, avevo cominciato a nutrirmi con minestrina e altro, ma non rinunciavo alla poppata. La mia mamma mi diceva, dal momento che ero come Pierino la Peste: “Guai a te se mi mordi”. Non l’ho mai morsa, mai nessun dispetto. Quando avevo due anni, mia madre ha dovuto tornare al lavoro. Non mi ha spiegato nulla perché credeva che non avrei capito il suo discorso, e un mattino mi sono svegliata e non l’ho più vista. Per almeno un paio d’anni, ogni giorno, ho pensato che non avrei più rivisto la mia mamma, e ad una certa ora del pomeriggio il mal di stomaco per la sua assenza si faceva insopportabile. Verso sera mi sdraiavo sconsolata sul tappeto, sotto la tivù in bianco e nero, e cominciavo a piangere bagnando tutto il tappeto. La mia nonna materna, con cui trascorreva la giornata, non ricordo cosa facesse e dove fosse mentre in me saliva l’angoscia, ma di certo non riusciva ad aiutarmi. E poi, ad un tratto, suonava il campanello: mia madre era ritornata, non mi aveva abbandonata. Si ripeteva la mia poppata e la nostra serata insieme. Ogni giorno, in molto drammatico per me, perdevo e ritrovavo mia madre. Mi rendo conto di essere stata molto fortunata ad aver vissuto quei due anni iniziali così pieni di beatitudine, di sole. Forse è questa la fusionalità. Ho ringraziato mia madre per quei due anni proprio pochi giorni fa, nei suoi ultimi istanti di vita. Non avevo mai compreso, fino ad allora, l’importanza di ciò che ci eravamo donate vicendevolmente. Ricordavo quei due anni come un paradiso perduto, e forse, invece, quello era il paradiso a cui si può tendere, un assaggio della fusionalità che si può creare e ricreare in altri momenti della nostra vita. Quell’Eden di cui mi sono sentita per molti anni brutalmente privata, per me ora è qualcosa di preziosissimo che ho avuto la fortuna di poter vivere, di cui ho sperimentato gli effetti benefici. Un pozzo al quale posso attingere sapendo che le sensazioni che ho provato possono ripresentarsi, ritornare. E grazie ai miei primi due anni, non mi sarà difficile riconoscerle, e sarò agevolata nel trasferirle a chi ne ha tanto bisogno.
Emanuela