Uguali nella Divesità: “Tu, il figlio maschio, eri la coppa vincente della famiglia; io, la figlia femmina, ero di seconda serie”.

Caro fratello,

Ciò che si dice attraverso un telefono resta ad un livello di superficialità, che ora non mi basta più, perché scrivendo posso dirti di me provando ad andare più in profondità. 

Un anno e mezzo fa decisi di avvicinarmi alla mia terra d’origine perché mi accorsi che nel tassello delle mie radici c’era un vuoto spettrale. Anche le persone che mi conoscevano vedevano come questa mancanza nuocesse al rapporto con me stessa e con l’esterno. 

In quel ritorno, sono stata contenta di ritrovare anche te.

Tu, che in quel periodo sei stato l’albero maestro della barca con la quale ho fatto questa traversata – direi a mare aperto – disposta a vivermi qualsiasi tempesta o oasi tranquilla.

Tu, che sei stato anche il porto sicuro dove andare ad attraccare quando gli eventi erano troppo sconvolgenti, permettendomi di trovare forza e coraggio sufficienti per attraversare e non farmi inghiottire da eventi negativi. 

Ma quanto ti ho detto finora, tu lo hai capito già… il fatto è che quando cercavo di parlarti dei miei problemi esistenziali o di ciò che vivevo con te ed A., non c’era accoglienza da parte vostra, probabilmente perché io vivevo le mie difficoltà di “comunicazione affettiva” che non mi permettevano di aprirmi…

Oggi ti voglio dire che io, nei tuoi confronti, ho sempre vissuto un senso di inferiorità e anche di disagio, perché ti percepivo più importante di me come figlio.

Per papà e nostro zio eri “il maschio”, eri quello che avrebbe portato avanti il cognome, la razza, eri la coppa vincente della famiglia, quello su cui investire delle aspettative, quindi un pezzo da novanta…

Io… ero di seconda serie…

Per la mamma eri “il maschio” che avrebbe poi negli anni soddisfatto i suoi bisogni, quelli lasciati scoperti da suo padre e da suo marito…

So… immagino che caro prezzo ti sia costato tutto questo, e mai mi hai parlato delle difficoltà che hai vissuto nell’arco della tua vita, per aver dovuto vestire abiti che ti hanno obbligato ad indossare.

A me, vivere in una famiglia in cui c’erano queste dinamiche, ha procurato rabbia e senso di inferiorità verso i maschi.

Ma tu restavi comunque il mio fratellino…

Quando ci siamo sentiti, ti ho accennato a questo mio senso di svalutazione, che è comune a tante donne. In quell’occasione mi ripromettevo di impegnarmi a vedere questa mia difficoltà e a cercare, nel migliore dei modi, di affrontarla per poi vincerla. 

Quello che voglio è iniziare ad essere me stessa anche con te, non sentire più la paura di essere emarginata perché non rientro negli stili di vita di chi mi sta accanto…

Sono consapevole che questa paura parte da me, e io voglio superarla attraversandola, mettendomi in ballo, mettendomi a disposizione delle mie difficoltà per superarle.

Ora sento di essere più cresciuta e capace di accogliere, guidare e sostenere quella bambina che c’è in me, titubante e ancora desiderosa di fondersi con chi le sta accanto e potrebbe ancora ferirla molto, anche senza volerlo, contestandola e rifiutandola…

So che ancora sono preda di questa debolezza, ma so anche che solo vivendola posso incarnare la donna che è in me… amorevole e capace di donare, e donarsi…

Spero che le persone che amo possano starmi vicino, aiutandomi a lenire il mio dolore antico per permettermi di crescere.

In tutto questo periodo di lontananza mi sono spesso chiesta se tornare ancora nella mia terra d’origine… la mia pancia mi dice di tornare… ma… lo scoprirò solo vivendo…

Una donna in viaggio

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