“C’è un prima e c’è un dopo”.

Quando si arriva al Metodo Alla Salute può succedere che nel “prima” poi non ci si riconosca più… quando “arrivano le lacrime”, che vengono accolte da mani amorevoli, e sentiamo che la lapis piano piano si scioglie, ci rendiamo conto che il “dopo” è già iniziato. Vi regalo questo scritto datato ma, per me, ancora molto, molto attuale, e ringrazio la rivista Limax che, negli anni in cui è stata “attiva”, ha lasciato tracce importanti di “prima” e “dopo”, fondo comune per tanti di noi.

– Limax-Edizione giugno 2013- Copertina realizzata da Lucia Marinelli –

Arrivo ai Gruppi Alla Salute in Veneto i primi di settembre del 2012. Nella vita di ognuno di noi ci sono persone importanti. Per me, in quel momento, lo sono stati Marco e Lisa che continuavano a parlarmi di questa “strana cosa” che facevano, ma di cui non aveva molto senso parlare, perché bisognava vederla di persona per capire cos’era.

Commento dopo commento e mistero dopo mistero, la mia curiosità cresce, finché decido di partecipare ad un incontro di prima accoglienza in cui viene presentata l’attività svolta. 

Dai, vediamo ‘sto gruppo: vedi mai che sarà una setta disonesta??? Caso mai li salvo con un po’ di acqua santa! 

L’impatto iniziale è … un impatto!!! In una domenica a loro dire “leggera” succedono cose che non avevo mai visto, manco fossero alieni… 

Arriva sera che sono provato da tutte le emozioni che ho vissuto, e ringrazio qualcuno là in alto che la giornata sia finita!

Altre due orette così e la volta dopo si ritrovavano per festeggiare alla mia memoria…

Nei giorni successivi, sedimentando il vissuto, metto in ordine le idee e faccio un bilancio.

Mi rimangono due idee essenziali che, nella sostanza, nonostante siano trascorsi molti mesi e abbia vissuto un sacco di esperienze, riconosco presenti ancora oggi, pur con proporzioni diverse: un gruppo di persone di cuore e un grande disagio al momento di spiccicare una parola.

Mi spavento ma non mi scoraggio. Vado ad un secondo gruppo, ad un terzo, e via via l’attività prosegue. Per me sempre la stessa cosa: ogni volta che c’è una dinamica importante, un’immersione, mi manca il fiato e gli occhi diventano lucidi. 

Rivivo ogni tipo di dolore che l’essere umano ha coniato: è come se nella mia memoria avessi già vissuto ogni esperienza, quando ovviamente non è così… insomma, un gran casino…

Le giornate sono sempre impegnative, intense, “immersive”, ma con il passare del tempo, la vocina che avevo dentro mi diceva con sempre più forza di continuare.

Ero attratto da ‘sta cosa anche se non sapevo perché: una sorta di colpo di fulmine.

E allora non ho mollato.

Passano i mesi e sembra che in me non succeda nulla di eclatante.

 

Sì, faccio qualche intervento, riesco a presentarmi senza sentirmi sul bordo di un precipizio eccessivamente alto, mi piace esprimermi sugli altri quando “sento” qualcosa dentro, cresce il senso di appartenenza. Ma la parete verticale che vedo quando provo a rivolgere l’attenzione verso di me, non accenna a diminuire.

Passano i mesi e sembra che sia sempre così, tutto uguale, tutto immobile. Ma così non è. All’interno di questi mesi succedono molte cose importanti.

Elencarle tutte non è possibile anche perché oggi mi rendo conto che tutte le piccole e grandi esperienze hanno in realtà lavorato, sono state essenziali.

Tutto ciò che è accaduto ai gruppi, l’insieme di sguardi, lacrime, sorrisi, abbracci, emozioni, tutto mi ha attraversato lasciando una flebile traccia al passaggio.

Tra tutto questo, tre cose meritano per me di essere ricordate.

La prima cosa è l’accompagnamento di Davide, intendendo, senza retorica, il suo nei miei confronti, unito all’intreccio di Miriam con Chiara.

È stato un periodo ricco di scambi, di interazioni, di lunghe chiacchierate al telefono, di ore di sonno perse, di consigli, di confronti.

Mi sono accostato ad una realtà nuova, che non avevo mai vissuto.

E nella novità ho dovuto sviluppare adattamenti nuovi, modulare alcune parti di me per riuscire a trovare una via che avesse un senso: una bella palestra di vita in cui ho imparato molto. 

La seconda cosa è l’aiuto che ho ricevuto, soprattutto nell’ultimo periodo, da Renato. Non che fosse un accompagnatore ufficiale, ma “la bestia che è in me” l’aveva scelto senza il minimo dubbio.

Un fiuto antico mi ha guidato e, anche se non mi servivano conferme, vedo ora che è stata una scelta indovinata.

Nel gruppo senti subito quando due note creano una buona melodia, ed io, fin da subito, avevo avvertito questo.

Negli ultimi mesi mi ha accompagnato in questo difficile percorso alla ricerca di avere una maggiore profondità nelle dinamiche di gruppo, che desideravo tanto, ma non riuscivo mai a raggiungere.

È stato sapiente, paziente, sensibile. Un gran bel mix.

Infine metto la cosa cronologicamente più recente: l’avvento nel gruppo di Greta e di sua madre Laura.

Greta, fin dal primo momento, mi ha mosso qualcosa dentro, non riesco a spiegarlo a parole: il suo disagio, i suoi occhi, ciò che dice, come si muove, tutto ha avuto un richiamo in me.

Vedo un sacco di cose oltre all’immagine apparente del suo stare al mondo e quelle cose mi attirano.

Lei “fa cose” ma io vedo in realtà un dialogo costruito con un linguaggio nel cui fondamento ci sono parole non banali.

Capita allora che si esca tutti e tre assieme per una passeggiata a caccia di fiori: pomeriggio intenso, ricco, come può esserlo il contatto con persone portatrici di un disagio profondo

Alla fine della giornata ci sediamo per un gelato. 

Negli occhi il mio sentire al contatto con lo sguardo di Greta.

E ad un certo punto Laura mi chiede: “Flavio, perché vieni ai gruppi?”.

Subito capisco che non è casuale che una frase tra tante attiri la mia attenzione.

Quella frase continua a risuonarmi dentro anche dopo che ci siamo salutati. Il giorno dopo e quello dopo ancora. 

Allora mi decido.

Non ho mai raccontato quali sono i motivi che mi spingono ad andare ai gruppi. Quasi nessuno sa ciò che ho dentro. Ancora non sono pronto per un’immersione, manca l’aria alla sola idea, devo arrivarci per gradi.

Ma la parola scritta è mia amica e allora decido di affidarmi a lei. Non un’immersione, ovviamente, ma almeno nella fase delle comunicazioni il gruppo inizierà un po’ a conoscere il mio lato nascosto.

Trascorro il sabato pieno di cose da fare, sempre con l’idea di trovare un po’ di tempo per scrivere, ma casualmente rimando sempre, e così la giornata scorre via veloce fino alla notte.

Sono stanco quando è il momento di andare a nanna.

Deluso, e con la solita sensazione di sconfitta, vado a dormire rimandando all’indomani mattina il capire se riuscirò a scrivere qualcosa.

Metto la sveglia con un largo anticipo sperando che serva: sono in piedi alle 7.30, si parte alle 9.00. Doccia, colazione, sistemo casa.

Guardo l’orologio… sono le 8.30. Non so, rimane poco tempo per una cosa così importante, forse dovrei rimandare, trovare il tempo giusto, il momento perfetto per scrivere quella cosa, la cosa più importante. 

Ma poi, portata dal vento, sento la voce di Laura… “Perché?”…

Accendo il PC e senza soluzione di continuità scrivo per 20 minuti. Non rileggo perché so che non andrebbe bene, pochi aspetti e mal scritti della mia vita a rappresentarmi, ma se non inizio ‘sta cosa non si farà mai…

Stampo la pagina e poi via.

Scrivere mi ha aiutato a entrare in un altro spazio-tempo.

È una giornata diversa, ogni secondo è carico di elettricità.

La mente torna a quello che ho nell’agenda, all’idea di fare ciò che non ho mai fatto.

Il tempo scorre, la macchina scorre, arriviamo alla sede. Tutto accade come al solito, ma per me è una giornata diversa. Immagino sia la sensazione del Kairòs, dell’incontro con il destino. Le attività del gruppo iniziano e poi, in modo inaspettato, Miriam mi passa il microfono.

Mi passa il testimone, è il momento di fare la mia parte per me e per il gruppo.

Che strana sensazione. Sono agitato e rilassato assieme. Sto per leggere, per raccontarmi, ma tanta è la voglia di farlo, di liberarmi di questo peso, che la felicità inibisce anche se solo in parte il panico.

Dico alcune cose, parlo del gruppo precedente, e poi lo dico: “Ho qualcosa da leggervi”.

Il dado è tratto. So che non tornerò più indietro. 

 

Apro l’agenda, estraggo il foglio, lo apro, lo guardo ma quasi non credo di essere io a farlo. 

Tempo fa ho descritto l’entrata in quella stanza come l’entrata in una bolla. Ora, con il foglio in mano, sento che mi immergo, magica matrioska, in altre bolle contenute dalla prima. Guardo la prima parola, apro la bocca ma nulla succede. Il comando alle corde vocali non arriva. La stanza scompare, vedo solo il foglio ed il microfono.

Sento delle mani, degli abbracci. Arrivano da una dimensione lontana, ma amorevole, sento la vicinanza di entità umane che sono lì con me ad accompagnarmi in questo viaggio.

Guardo il foglio. Il tempo si dilata. Il comando alle corde vocali continua a non arrivare. Sono in piedi nel bordo di un burrone con un piede alzato, spostato verso l’esterno, e devo appoggiarlo nel vuoto. Sotto di me solo nuvole. La mente sa che cadrò ma devo andare avanti, voglio andare avanti. 

E allora dove non può la mente serve un atto di fede. Non sono solo: c’è il vuoto, ma molte mani sono attorno a me, come se gli angeli fossero scesi in terra. Mi abbandono e vivendo fino in fondo quella sensazione di cadere inizio a parlare.

Arrivano le lacrime.

Non ci credo che lo sto facendo. Sto parlando di me, del mio dolore, sono nudo, inerme. Come ho visto fare a molti prima di me, incapace di credere che un giorno l’avrei fatto anche io, mi rendo conto, sentendo quella roba calda sul mio viso, che sto facendo la mia prima immersione.

Arrivo alla fine del testo, alla fine del mio dolore. Tutto è diverso

C’è un prima e un dopo, non c’è dubbio

Mi alzo in piedi, sono avvolto dalle mani di quegli angeli che mi hanno accompagnato sul cammino, da loro percorso prima di me. Diventiamo una cosa sola. Non ci sono parole, qui non servono. La vita si incontra, ogni cosa è al suo posto. Torniamo a sederci

Descrivere chiaramente ciò che sento in questo momento non si può. Forse la cosa più nitida è dire che mi sento liberato. Le catene sono rotte e sto lì, ad osservare l’anello che ha ceduto. 

Parte di me… passato… ma emana ancora vivido il calore del mio corpo da ricordarmene l’effetto sulla pelle.

Il gruppo torna a fare il suo prezioso lavoro. Andiamo oltre. Ascoltiamo il sentire degli altri all’ascolto delle mie parole e tra tutti Davide, un ragazzo nuovo al Metodo, racconta che ciò che ho detto ricorda da vicino anche le sue di sofferenze. 

Su consiglio di Renato mi avvicino a lui mentre rilegge la mia lettera. 

Le mie parole lette da lui assumono un colore nuovo, diverso. Mi piace questo momento. A lui, appena approdato al Metodo, risulta utile la mia prima immersione, come a me sono state utili tutte quelle a cui ho partecipato. 

Continuità, circolarità, cammino. L’albero della vita in viaggio. 

Concludo il racconto di questo giorno, per me storico, con il commento finale di Michele: anche lui, nuovo al Metodo, dice che della giornata gli sono rimaste due cose. 

Sente che il gruppo è fatto da persone buone ma, comunque, non riesce a dire nulla…

Ricordate?

… Esattamente le cose che sentii io in quel lontano settembre del 2012…

Flavio

Scrivi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

FACEBOOK

5x1000-Fondazione Nuova Specie