Vieste (FG), 17 settembre 2016. VIII edizione del progetto “La finestra di Babich”: nono e ultimo giorno di bilanci.

È arrivato Mariano! Lo percepiamo dal brusio delle donne in fermento per questo. 

Mariano, che insieme a Giovanna è diventato non solo un originale insieme femminile e maschile, ma anche un punto mitotico per tutte noi.
 

Mariano ci dice che bisogna essere veloci come il vento, ma avere la lentezza e l’immensità, cioè bisogna stare nelle varie fasi della vita. Non bisogna eliminare il negativo ma bisogna coglierlo e benedirlo perché il negativo diventa il punto nuovo della conoscenza.

Ci legge il messaggio di Raffaele che ci fa riflettere sul “bisogna partire con un passo, e poi con un altro, per formare il ritmo del camminare“.
 

Ci parla di zio Gaetano, un personaggio famoso del suo territorio, che è stato anche scrittore: ci racconta della sua capacità di amare sua moglie, una donna acida e isterica, grazie al suo femminile così ampio che gli ha permesso di dedicare tutta la sua vita a lei… ma quando è morta sua moglie, dopo due giorni, è morto anche lui, forse perché si era dedicato troppo all’esterno, a sua moglie, cioè era diventato eteroreferenziale.
 

Mariano parla del suo rapporto con sua madre, che ha influito sul rapporto con la moglie Giovanna e anche con sua figlia.
 

Poi annuncia il progetto “La vita è bella”, che si attuerà a casa di Giuseppina, che sta combattendo il cancro e sta vivendo, nonostante il pericolo di morte, con estrema positività, con progettualità, facendo crescere nella sua casa – il “CENACOLO della GEMELLA ONTOLOGICA” – la fase ontologica, prendendo spunto dal Gemelli di Roma, dove sta eseguendo le terapie mediche (la fase sanitaria).
 

Ci invita, come Giuseppina, ad elaborare il proprio negativo per riprendere il viaggio della vita, perché il nuovo è come la pioggia: all’inizio dà fastidio, ma poi pulisce tutto e si sta meglio.
 

Mariano ci parla della teoria del “Parabrezza”, che deve essere più ampio dello specchietto retrovisore perché la strada davanti a noi è più importante della strada dietro di noi. Qual è il parabrezza verso cui andare? È il nuovo!! Mariano parla del suo matrimonio con Giovanna come esperienza di crescita e di progettualità

Giovanna, per realizzare il progetto “La Finestra di Babich”, è diventata come la mela Gimagiona, cioè si è spaccata in due, ma dopo 48 anni ha portato alla condivisione di un comune progetto di vita.
Mentre la parola “padre” viene da “pane”, cioè da chi porta il pane, la parola “madre” viene da “misurare, disporre, ordinare, ricomporre”, ma oggi per madre bisogna intendere “diventare un intero”.
Ci ricorda, invece, che la donna è stata vista nel passato come femmina, il simbolico l’ha vista come regina della domus, della casa.
Diventare “Madre” significa scendere giù, arrivare nel Graal al codice ontologico e utilizzare il suo potere fusionale per far crescere: in questa accezione, un maschio può diventare anche madre.
 

Nel terzo millennio le donne devono essere madri, non devono fare i figli solo con il simbolico o per soddisfare una sua prima dimensione, ma devono essere un intero. Questa è una modalità aperta a tutti, anche ai maschi e alle donne che non sono mamme

Oggi bisogna recuperare il C.E.U., cioè il Ciclo Esistenziale Universale, quindi il Progetto Nuova Specie è un progetto teso verso la funzione madre: la finalità è riuscire a fare P.U.M., perché ci avvicina di più all’In.Di.Co., che può essere inteso come la religione della nostra vita. 

Colui che passa dal ciclo della vita, attraverso il ciclo della morte, fa il salto quantico ed è finalmente diventato Jahvè, cioè “È”, indipendentemente dal “cosa è”. Ognuno quindi può essere quarta dimensione.
 

Nel pomeriggio Mariano inizia il bilancio di ciascuna di noi, tenendo come guida lo schema teorico del C.E.U. Siamo tutte in silenzio e in trepidante attesa di ascoltare le sue teorie e le indicazioni che Mariano ci darà.
 

Tante pillole di saggezza, tante chiavi di lettura del fenomeno vivo e tanti parabrezza!
 

Ed ecco che apprendiamo che:
il nostro star male in verità non è legato ai figli, ma ai nostri bisogni tagliati. Spesso il simbolico ha bisogno di autorevolezza per incominciare a forare e sgretolare la lapide (la nostra identità pietrificata), sotto la quale ci sono i “morti” di cui non sentiamo neanche la puzza, e quindi non ne sentiamo il dolore;

la rabbia oscura, annebbia, ci ingloba, ma in verità è anche un sintomo di un percorso da interrompere, indica che è il momento di svoltare e quindi, invece di accoglierla, ascoltarla, la alimentiamo con il meccanismo “il mio bisogno non è visto, né viene appagato” e questo sentire accresce la rabbia;

essere a disposizione dell’esterno ovatta i nostri bisogni fino ad arrivare anche a non riconoscerli; non si è più in grado di fare cucina per sé e quando non si riesce ad esprimere i propri bisogni, o si sta bene ovunque e ci si adatta a tutto, o si è rabbiosi, ma anche stare da soli che è una soluzione / equilibrio che acquieta il fare;
 

per essere quarta dimensione, per essere “funzione madre” occorre che la persona sia autonoma/autoreferenziale, ma anche al servizio dell’altro senza aspettarsi riconoscimenti; è necessario instaurare un contratto relazionale, cioè non perdere di vista l’altro e prendersi tutto il tempo utile fino a quando non avviene il salto maturativo di chi si sta seguendo; è necessario saper decodificare i bisogni e mobilizzarsi per soddisfarli.
Si riesce a fare quarta dimensione solo quando quel bisogno dell’altro per me è stato già risolto, per cui quando si è confusi con i figli non si può essere quarta dimensione: colui che ha un disagio o il cosiddetto psicotico altro non è che una persona con-fusa, cioè fusa con l’utero, almeno fino a quando non trova una sua chiarezza, una sua identità;

l’analogico è la membrana del nostro bio-organico, il quale si ammala quando è stanco, quando sente la mancanza di nutrimento per sé. In questa fase di fermo si fortifica il maschile, la rabbia, la prepotenza, la polemica ecc, ma è proprio allora che servirebbe fare vuoto, silenzio perché solo così si riesce ad osservare se stesso. Una persona incazzata non è cattiva, ha solo subito tanto e ha fatto tante rinunce;

se non facciamo morire le nostre parti morte, non possiamo crescere e ricorriamo a soluzioni; la dipendenza è una soluzione e ha di positivo che non ci fa cadere giù nell’anello diabolico fino alla morte. Se però non andiamo lì e non vediamo le parti morte, tutta la rabbia che ci portiamo addosso accelera ancora di più la rabbia, mentre invece bisognerebbe superare la paura e buttarsi fino a rischiare la morte, perché solo così cresciamo.
Inoltre la rabbia ci porta indietro nell’anello diabolico in modo antiorario e ci mangia, divora noi e chi sta intorno

Si può superare la paura procedendo giorno per giorno e affidandosi alla vita, avendo fiducia nella vita.

A fine bilancio tutte siamo cariche, vediamo il parabrezza e la strada da percorrere.

Mariano, ancora una volta, ci ha fatto da quarta dimensione.

Nica e Luciana

3 Commenti

  1. Amelia

    Perle di nutrimento a distanza…..

  2. Unknown

    Mariano Grande Uomo e Grande Saggio.
    Un abbraccio…Marco

  3. F.I.

    Care Nica e Luciana,

    Vi ringrazio per questo bellissimo post, in cui vita e conoscenza fanno un bel crossing-over. Nel leggervi mi sono sentita avvolta da luce e calore… senza dimenticare che, per vedere e riscaldarsi, bisogna ricordare il buio ed il freddo da cui veniamo e in cui andremo ancora ed ancora, per poi proseguire come viandanti.

    Auguro a voi, a me, a chiunque si senta in viaggio, di pulire il parabrezza e prepararsi a ripartire!

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