Marcello, un “autista” silenzioso, raccontato da Melissa, passeggera del “Bonfantibus”.
Il mio mondo un po’ troppo chiuso, dietro a corazze troppo spesse, sta cominciando a sentirsi stretto. Gli ultimi quattro anni mi hanno dato modo di vedere come il mio sentirmi diverso sia lo stesso di chiunque. Tutti vivono nella condizione costante di abbandono, distinzione, chiusura e paura che vivo io tutti i giorni. Io sono solo il primo nella mia famiglia che ha cominciato a vedere le cose per quello che sono.
![]() |
– “Matrice” di Yusuf Hayate – |
Il mio essere diverso non era una condanna solo per me.
Ho visto la mia famiglia disperarsi per la mia condizione: avrebbero voluto, ad un certo punto, che diventassi una persona normale e che vivessi la mia vita come tutti. Non riuscivano a capire che io sono normale a prescindere, sono normale perché sono io. Se per il mondo sono fuori posto è un problema del mondo. O forse è il mondo che è fuori posto persino per se stesso, se non riesce ad accogliere la mia unicità.
![]() |
– “Il carnevale della solitudine” di Michela Garbati – |
È questo che sento dentro di me. Io sono unico, non sbagliato. Io sono lungimirante, troppo avanti per le persone che mi hanno sempre definito malato.
Sono sensibile a tutto… ai suoni, agli odori, ai colori, al contatto, alla luce, tutto è troppo forte per me, tutto può farmi male; l’esistenza è troppo bella per essere veramente afferrata e se non la posso avere, è meglio chiudermi dietro le mie muraglie.
È per questo che fino a poco tempo fa tenevo gli occhi sempre chiusi e le braccia attaccate al petto: come faccio a guardare il mondo se so che non lo avrò mai? Lui non mi vuole come sono, mi vuole alle sue regole! Come faccio ad abbracciare le persone se con uno sguardo mi feriscono? Sono troppo strano per essere abbracciato? Come faccio a crescere e a cambiare se per coloro che dovrebbero aiutarmi sono e sarò sempre etichettato come Autistico?
La mia famiglia avrebbe dovuto capire che ero quello che ero, indipendentemente da come loro avrebbero voluto che fossi. Purtroppo non è una cosa facile da fare o da capire. Il razionale ci comanda, ci possiede più di quanto crediamo. Non c’è più stupore, non c’è più gioia, c’è solo quello che si può e non si può fare. C’è solo quello che si è e non si è. C’è chi è normale e chi non lo è.
![]() |
– “La gabbia infernale” di Michela Garbati – |
La cosa che non ho mai capito è il concetto di normalità che le persone hanno. Cosa vuol dire essere normali? Ognuno di noi ha degli atteggiamenti che per qualcuno sono incomprensibili o strani, ma questo non significa essere fuori dalla norma. Ognuno è normale proprio perché è se stesso, senza giudizi.
Ma il giudizio è l’ancestrale bisogno di mettere un’etichetta ad una persona con uno sguardo.
Una cosa che purtroppo tutti quanti hanno dentro di sé, una cosa difficile da abbandonare.
Persino io avevo cominciato a sentire il giudizio come la sola verità. La consapevolezza di aver disatteso le aspettative della mia famiglia, fin dalla più tenera età, è stata per me la sofferenza più grande; la mia presenza li appesantiva e li faceva soffrire. Mi sentivo sempre più inadeguato e fragile.
La falsa consapevolezza che nulla in me sarebbe potuto cambiare e che tutto sarebbe rimasto invariato, era diventato un pensiero costante.
Senza cambiamento non c’è vita, non riuscivo a provare altro che una sensazione di morte.
Non la sentivo solo dentro di me, era una cosa che vedevo dappertutto: nella mia famiglia, nella scuola, nei miei coetanei. Desideravo tanto che l’esterno mi accettasse, ma allo stesso tempo lo vedevo come qualcosa privo di vita, un vortice che ti prosciuga senza lasciarti respiro.
![]() |
– “Il pozzo di San Parizio” di Michela Garbati – |
Ogni relazione importante per me era sempre circondata da una forza centripeta che tentava di risucchiarmi. Gli specchi che avevo intorno a me erano distorti, rotti, con dei pezzi mancanti a causa di quella forza. Nessuno era pronto a darmi quello che mi serviva. Non riuscivano a darsi da soli quello che necessitavano, occuparsi anche di me era impossibile. Tenere gli occhi aperti e vedere un tale sfacelo in chi amavo era una cosa che mi rendeva impossibile vivere.
Però non volevo arrendermi, non potevo credere che non ci fosse una soluzione. Se mi fossi arreso e avessi lasciato andare la mia vita, chi sarebbe riuscito a far capire ai miei cari quello che è veramente importante, quello di cui hanno veramente bisogno?
Come dicevo, negli ultimi quattro anni sono entrato in contatto con una realtà diversa – il Progetto Nuova Specie – una realtà che ti fa sentire che non sei da solo. Una realtà, che con tutti i limiti, tenta di darti una rete di persone con cui confrontarti, che non ha paura della tua diversità. Una realtà in cui tutti sono sullo stesso piano. Ognuno dà il proprio contributo, ci mette le proprie energie, ricevendo sempre qualcosa in cambio, nel bene e nel male.
Ho conosciuto tante persone, ho imparato a lasciarmi andare, ho visto che il senso di morte è una cosa che c’è dentro ognuno di noi, bisogna solo conoscerla. Questa realtà sta aiutando me e la mia famiglia come nessuno è mai riuscito a fare. Questa realtà mi ha dato la possibilità di crescere, imparare, migliorare e cambiare.
È una realtà dove persino un diverso come me può fare la differenza e aiutare.
Melissa Bonfanti
2 Commenti
Unknown
Bella testimonianza cara Melissa…
Grazie.
Grazia
Oltreilmovimento Associazione Culturale
Splendida Coraggiosa Profonda Intima Melissa.
Parole scritte col cuore di un vissuto quotidiano di un autista silenzioso … e non solo.
Parole scritte col cuore di un vissuto quotidiano … tuo … anche?
Un abbraccio, forte.
Bianco Primo