“DIECI ANNI DI PAROLE AL… “VENTOLA”. Introduzione del nuovo saggio del DR. MARIANO LOIACONO.
Vi regalo in anteprima l’incipit
del nuovo saggio che sto scrivendo.
Dieci anni di parole al… “Ventola”.
Il 2005 rappresentò un evento particolare per la Puglia: Vendola, contro ogni aspettativa e ragionevole speranza, vinse le elezioni per la Presidenza della Regione Puglia. Fu davvero bravo a ribaltare tutti i pronostici della vigilia e, grazie a una intelligente pubblicità, seppe trasformare i suoi punti deboli, legati alla diffusa omofobia, in promesse incuriosanti di buon governo.
Vissi con un certo entusiasmo e speranzose attese quella insperata vittoria, sapendo che, in qualità di uomo di sinistra, sarebbe stato sensibile alle problematiche della gente comune, e sicuramente attento al problema della riduzione-dismissione degli psicofarmaci: uno dei cavalli di battaglia del “Metodo alla salute”, una prassi alternativa che da anni applicavo nel settore delle cosiddette “malattie mentali”. Sapevo, infatti, di sue dichiarazioni pubbliche per una psichiatria umana e di sue nette posizioni contro gli psicofarmaci, prese durante alcune interviste che avevo trovato su “Youtube”.
Come dire: “L’uomo giusto al momento giusto”.
Da circa trent’anni, infatti, stavo portando avanti all’interno del Centro di Medicina Sociale di Foggia una sperimentazione alternativa, difficile e osteggiata, con poco personale, senza fondi e tanti grattacapi, spesso risolti col mio e altrui volontariato, ma sempre con la spada di Damocle sulla possibile chiusura di questo laboratorio controcorrente.
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“Disagio diffuso” – Michela Garbati |
Per questo, dopo trent’anni di logorante trincea, pensai che, con l’elezione di Vendola, fosse giunto il tempo naturale per un fattivo riconoscimento e stabilizzazione del Centro da parte della Regione; cose che, fino ad allora, erano incomprensibilmente mancate. Mi sentivo anch’io candidato, come Vendola, a essere finalmente valorizzato per le importanti innovazioni che avevo introdotto nell’approccio teorico e prassico al “disagio diffuso”. Oltretutto, si trattava di una esperienza che, da anni, aveva travalicato i limiti della mia Regione e contava molti riconoscimenti anche esteri, presentandosi come una delle poche esperienze a livello internazionale che non si era chiusa e smarrita nella palude degli psicofarmaci, anche nelle situazioni cosiddette “psicotiche”. Pensai che, col nuovo Governatore della Puglia, sarebbero bastate poche parole per intendersi e, quasi automaticamente, sarebbe stato possibile programmare la tutela e il potenziamento del Centro, una esperienza pilota di grande valore che faceva onore alla Puglia.
Per accelerare la discesa in campo del nuovo Governatore della Puglia, da subito, non mancarono petizioni e lettere spontanee da parte di persone in trattamento, specie quelle provenienti dalle altre regioni che si costituirono nel “CO.NA.P.I.T.” (Coordinamento Nazionale Persone In Trattamento), rappresentato da una signora di Milano e una di Forlì. Ci fu addirittura una richiesta alla Regione, da parte della mia azienda ospedaliero-universitaria, di renderlo Centro di eccellenza. Come capita nella “ola”, presto crebbe l’onda delle persone che conoscevano Niki, o erano amici di amici, e che si dichiaravano spontaneamente disponibili ad aggiungere il loro parere di gratitudine e riconoscenza per un Centro che aveva operato fruttuosamente e andava tutelato e sorretto. Le soffiate furono tante e variegate, e l’entusiasmo da stadio crebbe come dopo un primo goal insperato della propria squadra. Ma, col passare dei giorni e mesi, non ci tornò alcun cenno di ricevuta e di risposta, anche se negativa.
Permanendo l’impasse da anni, nel settembre 2012 gli scrissi di mio pugno una lettera aperta in cui elencavo i punti forza del Centro e le minime richieste per la sua sopravvivenza, anche nella prospettiva che nel marzo 2013 sarei andato in pensione. Pensionarmi a 65 anni era anche un modo per obbligare la regione a prendere provvedimenti, essendo l’unico medico in servizio. Non ebbi alcuna risposta nemmeno a questa richiesta ufficiale, inoltrata per conoscenza anche ad altri Assessori Regionali e ai tre direttori della mia Azienda.
Ma la speranza, come si dice, è l’ultima a morire. Si progettò un tentativo più deciso per incontrarlo di persona e fare in modo che “Se la montagna non viene a Maometto, Maometto va alla Montagna”. Una ghiotta occasione si presentò durante il giro che Vendola fece nelle varie regioni per raccattare voti come candidato alle Primarie del Partito democratico. Le “imboscate” furono fatte in Romagna, Toscana e Marche. L’incontro decisivo avvenne nelle Marche, dove gli stessi rappresentanti di SEL della città di Ancona si mostrarono molto sensibili riguardo alla situazione del Centro di Medicina Sociale di Foggia, avendone constatato la grande positività nelle persone appartenenti alla Associazione alla Salute Marche. Alla fine dell’incontro, i rappresentanti anconetani di SEL lo costrinsero a dedicare un po’ di tempo per ascoltare una cinquantina di “dimostranti”.
In quell’occasione Vendola non mancò di sfoderare il massimo di promesse spendibili sul mercato dei voti di preferenza. Innanzitutto, assicurò che il Centro di Medicina Sociale avrebbe continuato ad esistere, impegnandosi a dare risposte concrete nei tempi più brevi possibili. In più, affermò che il “Progetto Nuova Specie” era un progetto pilota a livello nazionale nell’intervento per la salute perché andava molto al di là delle cure tradizionali e del concetto di cura relegato alle sole strutture sanitarie; un progetto che non vedeva l’uomo solamente come “malato” o “paziente”, ma lo considerava nella sua globalità e si prefiggeva di sostenere e far maturare le attitudini specifiche di ogni individuo coinvolgendo l’intera comunità; un progetto che, a suo dire, andava sostenuto e promosso con tutti i mezzi necessari.
In vena di prospettive magnanime, espresse la sua volontà di voler trovare una modalità per intrecciare la Fondazione Nuova Specie con il servizio sanitario regionale, prendendo in seria considerazione l’ipotesi di far nascere una Scuola di formazione regionale sul Metodo alla Salute. Infine promise che, entro la settimana successiva, avrebbe fatto un incontro decisivo e presto avrebbe fatto pervenire notizie dettagliate riguardo al futuro del Centro.
Prima di congedarsi, mise in campo l’ultima stoccata da amico benevolo: si lasciò scappare una frase sibillina “Quel simpatico matto del dr. Loiacono”. Quando mi fu riferita, la trovai una frase ambigua e di non positivi presagi. Interpretai il primo termine attribuitomi, “simpatico”, come un eccipiente per edulcorare la diagnosi definitiva contenuta nel secondo, “matto”. Anzi, sentii che non aveva compreso bene il senso della partecipazione di tante persone della Cittadinanza attiva; probabilmente le aveva classificate come altri matti, che erano stati sottoposti a un lavaggio di cervello collettivo.
È difficile contestare che le parole pubbliche di Vendola sono belle e piacenti, come del resto la sua persona. Sentivo, però, che, per le promesse fatte in quell’occasione, valeva il detto popolare: “Chiacchiere e tabacchere ‘e legn ‘o Banco ‘e Napule nun ‘e ‘impegn” (Chiacchiere e tabacchiere di legno il Banco di Napoli non le impegna). Invece, per la gente del popolo, in cui ero cresciuto, le parole non sono chiacchiere: una parola, che si dà o si dice pubblicamente, è sacra e va incarnata, perché porta dentro di sé già la traduzione in fatti (prassi) di ciò che annuncia col suo suono ambasciatore (teoria). Purtroppo, almeno per noi, sono stati, mi si scusi il gioco di parole, “dieci anni di parole al…Ventola”. Come la ventola, costui, in dieci anni, ha fatto girare solo aria fritta, mandando a buca le nostre tante richieste e prendendo in giro migliaia di persone appartenenti a tutto il territorio nazionale. Non mi ha concesso nemmeno un breve incontro lampo per conoscere un suo dipendente che, per quasi quarant’anni, si è dedicato a portare avanti un’esperienza di valore e avanguardistica, criticabile che si voglia.
E, come avviene molto spesso in politica, all’euforia delle promesse elettorali seguirono le delusioni dei provvedimenti presi sul campo: i tempi precipitarono otto mesi dopo le promesse anconetane. Infatti, circa a metà del suo secondo mandato di Presidente della Regione Puglia, “Ventola” piazzò il colpo finale.
Nel marzo 2013, appena dopo il mio pensionamento, iniziò l’agonia del Centro di Medicina Sociale, poi deceduto a luglio dello stesso anno come uno stoppino senza più olio. Per evitare la chiusura, nei mesi precedenti c’era stata una strenua difesa e motivate contestazioni, fatte pervenire in Presidenza e ai vari assessorati regionali mediante centinaia di lettere scritte da singole persone, enti vari pubblici e privati, associazioni. In risposta, la segreteria della Presidenza fece pervenire ai vari mittenti un laconico e formale messaggio di ricevuta.
Alla faccia della vantata sensibilità verso la cittadinanza attiva! Così, dopo quasi un quarantennio, il Centro di Medicina Sociale chiuse i battenti e si consumò la definitiva in-cul-turazione da parte di “Ventola”. La salute delle persone e quarant’anni di lotte innovative furono cestinati senza nemmeno una briciola di discernimento o verifica, e senza nemmeno un “ben servito” di convenienza verso un proprio dipendente che per quarant’anni aveva servito a tempo pieno un servizio pubblico per cittadini provenienti da tutte le regioni e anche dall’estero, senza mai fare una visita privata.
Chiudendo il Centro di Medicina Sociale, “Ventola” ha buttato alle ortiche importanti prospettive per la sanità pubblica e per la realtà pugliese, e non solo; ha colposamente cestinato una quarantennale sperimentazione di un nuovo paradigma nell’ambito della sanità pubblica. Penso, comunque, che la sua sia stata una vittoria di Pirro. Purtroppo nessuno giudicherà equamente questa colpevole ignavia; ma ho sempre creduto che in qualche modo a saldare il debito ci penserà la vita.
In un’orchestra, ognuno si prenda la sua responsabilità e il suo merito per l’esecuzione messa in opera. Prima o dopo, a chi ha suonato male qualcuno gliele suonerà di santa ragione.
Debbo, comunque, l’onore delle armi alla mia definitiva sconfitta infertami dalla mia Regione, a guida “Ventola”. Tutto sommato, sono caduto in piedi resistendo in mare aperto per un quarantennio burrascoso e pieno di insidie e trabocchetti, di cui quelli di “Ventola” sono stati il botto finale.
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“Salto precipiziale” – Michela Garbati |
Oltre ad essere caduti in piedi, dal 2014 c’è una bella novità: stiamo cercando di trasformare in nuove nascite le ceneri di quei quarant’anni bruciati con superficialità.
Infatti, lo spirito vitale progettuale è un po’ come l’araba fenice, dalle cui ceneri la vita sa riprendere i suoi cicli e le sue metamorfosi.
Il piccolo resto, sopravvissuto agli eventi, è riuscito a transitare in altre prospettive, sicuramente più mature e adatte, senza ricevere un minimo di aiuto dalle istituzioni.
Infatti, dalle ceneri dell’araba fenice di via Arpi è nata una bambina che, forse, abiterà il futuro con solida fondazione.
Mariano Loiacono
1 Commento/i
Unknown
Le parole se le porta il Vento…la
Grazie caro Mariano per il dono di questa primizia.
Conoscevo i fatti di cui scrivi ma non in maniera così dettagliata, così precisa. Sapere in maniera circostanziata, permette di comprendere molto meglio i vari passaggi che la storia della Fondazione ha vissuto.
Per quanto le storie si somiglino, sorvolando la grossolanità, alla fine sono i dettagli che le caratterizzano, dettagli ai quali tu, da persona saggia quale sei, dai sempre la giusta importanza.
La tua scrittura è fluida e piacevole, capace di catturare l’attenzione fin dalle prime battute.
Mi piace molto quel tuo pacato modo di dire le cose. Dalle tue parole non traspare alcun sentimento di odio e di rivalsa nei confronti di una persona che ha, attraverso i suoi scorretti comportamenti, ingenerato un’illusione e causato una relativa delusione.
Sappiamo che un sentimento negativo può rivelarsi dannoso e inutile, così come sappiamo, che al di là delle apparenze, se andiamo avanti con tenacia e determinazione senza lasciarci sviare dalle difficoltà, dalla sfiducia, alla fine otteniamo la gioia di vedere esauditi i nostri sogni.
Non serve a niente criticare e biasimare se non a rendere noi stessi miserevoli.
Alla fine, a tutto, ci pensa la vita.
La nostra casa è già lì.
A prescindere.
Sono ansiosa di leggere il resto.
Grazie.
Ti voglio bene.
Giovanna