PILSUP per crescere: ribelle o co-creatore? Celeste
La parola ribelle mi attira, mi ha sempre attirata, perché mi dà l’idea di libertà.
Soprattutto per il confronto-differenza che inevitabilmente facevo
con la mia vita. Per me il ribelle era uno che aveva il coraggio di vivere la
propria vita e non sottostare a regole o imposizioni altrui, non farsi
comandare. Io, al contrario, dovevo sottostare all’ordine che mio padre aveva
stabilito. Non potevo ribattere o contraddire, perché non era tollerato,
previsto, era visto come un oltraggio.
Chi comanda fa legge, quindi, giusto o sbagliato, non bisogna
obiettare, ma ubbidire e abbassare la testa. Conta più l’equilibrio raggiunto,
non turbare la tranquillità conquistata, non essere destabilizzati che
accogliere i bisogni e rispettare la natura di un figlio.
Ecco perché io avevo bisogno di ribellione, perché mi sentivo schiacciata, repressa,
costretta. Cercavo la ribellione, perché ero un ‘assetata, perché stavo in
carcere, quindi volevo” evadere”, per uscire era necessaria la
rivolta.
Per me è stato un modo per comunicare il mio disagio, dare
l’allarme, manifestare dissenso. Volevo che si accorgessero di me, non volevo
passare inosservata, chiedevo che capissero le mie ragioni, che non si
nascondessero.
Non cedevo, perché credevo fosse giusto non tacere, non mi
spiegavo perché tutti si conformassero, non prendessero posizione.
Mi ribellavo perché sentivo che “non me la raccontavano
giusta”, erano ambivalenti, sentivo il peso del pregiudizio… percepivo
che erano prevenuti, non mi accettavano pienamente.
E allora non volevo fare il loro gioco, loro mi indispettivano e io facevo peggio, lo
facevo apposta. Non cambiavo atteggiamento per paura di diventare loro preda.
In questo senso credo sia stata anche utile la ribellione per non
diventare un giocattolino, un” animale da compagnia”.
Anche se estremo, è stato un modo per non “morire”,
soccombere o comunque per stringere in mano la radice della mia vita, per non
tradirmi, per preservare, difendere la mia roccaforte, non spegnere ogni
colore, ogni scintilla.
Allora anche un fiammifero ti riscalda, anche se è simbolico, è
una forma di resistenza. Anche se non sai a cosa ti porterà, tu lo
fai, perché è istinto di sopravvivenza, è la forza della vita.
Preferisco non farle proprio le cose, piuttosto che fingere, scendere a compromessi,
barattare parti di me, fare la schiava.
Non mi accontentavo, o tutto o niente, se non mi amavano io li
respingevo, li ripudiavo.
Non ottenevo quello che volevo, allora “ribaltavo il
tavolo” e per protesta facevo tutto il contrario, disubbidivo, “davo
la testa contro il muro”. Io i servizi non li volevo fare, perché mi riusciva difficile
voler bene a mia madre. Anche per farle un dispetto, per farle capire che non
accettavo che lei mi “vedesse” solo se le facevo trovare la casa
linda e pinta. Le faccende domestiche erano il simbolo della mancanza di vitalità,
un obbligo-dovere, rappresentavano quello che io non volevo, che cercavo di
rifuggire. Era come una dose di veleno, per esagerare, far entrare la
rassegnazione nella mia vita.
Allora ho contestato tutto, ho fatto la guerra con mia madre, perché mi sentivo respinta,
rifiutata, perché mi sarei dovuta accontentare di quello che passava il
convento, perché mi dovevo immolare per la causa, non creare disordine, non
dovevo farla soffrire, non la dovevo assolutamente mettere in discussione.
Penso che mi sono ribellata soprattutto alla sua morte, al suo
rinunciare alla vita, alla sua facciata di brava donna, che nei fatti poi
voleva affetto senza darlo.
Mi sono opposta a cose che non capivo, soprattutto per non negare
me stessa, farmi violenza, per non essere sconfitta.
Mia nonna una volta mi ha detto: “Tu hai detto sempre di
no“. Vero, sono andata sempre contro, non mi sono piegata, avrei
dovuto essere più elastica, mediare. Sono stata troppo impulsiva, orgogliosa,
puntigliosa, ferma, però non accettavo che si distorcesse la realtà, non mi
piaceva esser vista con sufficienza, scartata, cestinata. Tra le righe, mi è arrivato
il messaggio che ero incorreggibile, che “Tanto si sa…”, “Ma possibile…”,
“Ma allora…”, un pesante déjà-vu’.
Il mio disagio era anche dire no a questa sfiducia, che per me era
una minaccia, una scure.
Paradossalmente può essere un segno di quanto ci tieni a loro, li
desideri con tutta te stessa.
Io credo che quando un bambino non è completamente voluto, specie
se viene dopo che è morto un altro fratello, si presenta una bella “gatta
da pelare”, peggio ancora se ha un’eccessiva sensibilità. È una situazione a
rischio, un terno a lotto, ci possono essere molte complicanze.
Respirare tanta negatività ti spegne, è come una goccia che cade
incessante, crea un ambiente che non è sano, sereno.
I bisogni sono naturali, negandoli andiamo contro noi stessi e se
non sono soddisfatti noi ci sentiamo morire, trema la terra sotto i piedi. Io non sono stata in grado di sviluppare competenze adeguate a
liberarmi dalla “morsa”.
Di sicuro mi sono ritagliata il ruolo di vittima, incompresa, ho
rinfacciato, ho rivendicato, in un eterno conflitto.
Ma credo che ci sarebbe voluto un grande sforzo per comprendere
anche meccanismi psicologici, accogliere i limiti degli altri, distaccarsi.
Però questa conflittualità a lungo ti sfianca, è una tensione
continua che non porta a niente, toglie energie e serenità. Per combattere su
un fronte non ti rimane niente per il resto, fatichi a vuoto, fai una vita
contro che poi si riduce a niente, diventa carta velina, si sgretola e in mano
non ti rimane niente.
Perché protestare diventa un mestiere, è fine a sé, ti
insuperbisci, disprezzi, distruggendo e autodistruggendo. Come un bambino dici
sempre no, rifiuti, fai i capricci, i dispetti.
E allora protesti in maniera cieca e violenta, senza senso, solo
per aumentare la distanza, per rivendicare una diversità tanto per, per farti
notare, per stupire a tutti i costi, assumere atteggiamenti, pose per
apparire forti, potenti, per “volare alto” e sembrare una che ci
capisce, unica. Diciamo che da ribelle a “rbllet” è un
attimo!
Così mi ritrovai nell’ Iperuranio, vivevo di idee, non riuscivo ad
avere relazioni effettive ed affettive, priva di emotività, non riuscendo in
famiglia, figuriamoci fuori, ero sempre un pesce fuor d’acqua, non mi definivo,
ero sempre un punto interrogativo.
Non mi potevo permettere niente, costretta in un’armatura, per me
lo sbaglio non doveva esistere, studiavo come una secchiona perché non potevo
permettermi un brutto voto, era uno smacco. Non mi lasciavo andare mai, non
doveva sfuggire niente, avevo una gran paura addosso. Una rigidità scandalosa!
La mia ribellione ha creato anche un grande vuoto, perché serviva solo ad attaccare chi ci ha
feriti, alimentare la rabbia, creare opposti, mettere recinti, ma questo ha
prodotto il deserto dove far nascere qualcosa è difficile.
Non è molto intelligente questa ribellione, è masochistica, si fa
occhio per occhio dente per dente, ti mette i paraocchi, è stupida.
Penso che il ribelle non sia colui che vuole tutto e subito, non
pretende, non si ostina, non vuole vincere a tutti i costi, sa perdere, sa
quando essere presente e quando assente.
Credo che ci sia una sana ribellione che non ti fa accettare
passivamente la realtà, ti aiuta a credere e a non rassegnarti, però poi
bisogna guidarla per sfruttarla a nostro favore.
La ribellione può anche non manifestarsi in maniera eclatante, a
volte non fa tanto rumore, può essere anche il silenzio, l’accoglienza, la
tolleranza, accettare anche insulti, offese, accuse, anche abbracciare e non
escludere, comprendere.
Non è certo indossando un chiodo che si diventa ribelli, quello lo
lasciamo agli insicuri.
Ruvido lo sei dentro, è il tuo atteggiamento, la tua energia, il
tuo spirito, è quando te ne freghi, sei irriverente, non ti adegui, ci metti la
faccia, pensi ancora con la tua testa, sei vivo, non ti fai dire da nessuno
come vivere la tua vita, ancora non hai paura di sbagliare, ancora ti scorre il
sangue nelle vene, ancora ti brillano gli occhi, ancora senti un brivido.
Sei ribelle quando ancora non ti stanchi, te la giochi fino alla
fine, ancora hai entusiasmo, non hai ancora appeso la giacca al chiodo. Un po’
di questa ribellione la auguro a tutti!
Ho capito che non tutte le rockstar sono rock, perché,
oltre ai lustrini, devi far vibrare il palco, coinvolgere e incantare gli
spettatori, devi essere il rock.
Anna Maria Celeste
1 Commento/i
ANGELA
Molto bello, semplice e diretto. Sei una patuta di valore e il tuo sapere fa riflettere.