Storia di due ali di farfalla
Blocchi originari
Scriverò tantissimo, lo so già e me ne frego. Ho fatto tanto in questo periodo e ho voglia sia di condividere, per chi ne ha voglia, sia di darmi valore.
Parto dall’ultimo corso della coppia, dove mi sono vissuta la felicità di non sentirmi cazzusamente abbandonata perché mio marito ci lasciava per due settimane. Carichissima, felicissima. Mi sono spupazzata una bellissima neonata (volevo rivedere se potevo tenere in braccio un bambino piccolo senza rimanere bloccata con la schiena, di solito mi succede così). E ta taan… Prima di tornare a casa bloccata con il collo come un pinguino, e via giù a piangere: sentire che ancora non sono libera di tenere in braccio un bambino mi ha fatto male, sento che è una cosa profonda. Il male alla spalla è durato due mesi. Questo male alla spalla mi ha portato però ad aprirmi ed intrecciare con una massaggiatrice, un’altra donna sradicata dal suo paese, un’altra donna alla ricerca… e sta nascendo uno bello scambio.
È stato bello riuscire a trovare dei momenti per ricaricarmi anche in assenza di mio marito, ad esempio una domenica ho lasciato i bimbi dai nonni e mi sono presa una giornata per me, organizzando una camminata nel bosco con le donne della Fondazione con le quali avevo scambiato di più nell’ultimo periodo, ed è stata una bella sperimentazione (che vorrei ripetere in primavera). È bello unire tanti spiriti.
Un’altra tappa importante è stato il weekend nella mia terra d’origine. Sono andata a trovare mia cugina, che ha sei anni più di me e con la quale giocavo da piccola, ammalata di un tumore alle ossa. Lei si sta curando con la medicina alternativa – essendo testimone di Geova non vuole usare la medicina tradizionale – ed è stato bello perché ci siamo “sentite”. Lei ha pianto, e io l’ho coccolata, impossibile da credere se penso che fino ad un anno fa non sapevo nemmeno più che faccia avesse, perché era da 30 anni che non la vedevo più. In quell’occasione, le mie zie si sono lamentate del fatto che non riescono a vendere la casa della nonna (mamma di mia madre), perché è già un paio di volte che mia madre all’ultimo manda all’aria sempre tutto. Le zie si sono anche lamentate che con mia madre non riescono ad instaurare una relazione (ma dai?!). Io in quel momento sono stata brava perché mi sono distinta dalla rabbia che provavo per mia madre e comunque sono partita da me, facendo notare che non era facile nemmeno per me stare con loro, perché oltre ad averle “ritrovate” io, in questo ultimo anno ero stata sempre io molto attiva verso di loro, e la religione che le accomuna è un piano molto forte in cui è difficile inserirsi. Ho aggiunto che probabilmente la mancata vendita della casa dipendeva da cose sospese che ancora devono essere sciolte, che il dolore di mia madre per questa cosa è grande… Mia cugina mi dava ragione, ed è stato un momento speciale, dove il sentire era allineato. Mia zia più giovane ha dichiarato che forse mia mamma aveva ricevuto delle violenze da loro padre (il mio caro nonno, quello che aveva gli occhi azzurri, tramandati a mia figlia, quello che è morto quando io avevo un anno e mezzo ma che io ho sentito tanto, ricordo le sue mani giganti, i cioccolatini che mi dava di nascosto), e ho visto l’altra zia cambiare faccia, farsi buia. Ho visto girare tanta roba sotterranea. Ho lasciato stare, per me era già tanto quello che avevo fatto. Sono andata via contenta di me (conscia che comunque lì non c’è terra per ricevere), e sono corsa dalle mie amiche a farmi coccolare. Il giorno successivo a pranzo mi sono trovata con N., abbiamo visitato la Chiesa del mio paese d’origine e mangiato la carne di cavallo in un posto antichissimo. È stato un bello scambio alla pari. Poi la cara N. mi ha accompagnato nella casa in cui sono cresciuta nei primi 6 anni della mia vita, dove vivono ancora i parenti di mio padre (il quale mi ha sempre detto che se fossi andata lì non sarei stata più sua figlia): per me era un passo grande, gigantesco. Sono arrivata davanti al cancello e le parole non c’erano già più, sono entrata in giardino e sono salite forti le lacrime. Lì fuori un cugino sconosciuto, stava lavando la macchina, N. ha preso la parola e mi ha presentato, io continuavo a piangere (avrei potuto lavargli la macchina con le mie lacrime 😊), ho visto lui che tremava, ed è andato a chiamare tutti gli zii che abitavano lì. In 5 minuti mi sono trovata circondata ed abbracciata da persone che facevano parte del mio passato, ricordi che riaffioravano. Lacrime ancora a non finire e parole che arrivavano a singhiozzi. Mi hanno portato a vedere la casa dove avevo vissuto, nell’era d’oro, dove mi sono sentita amata da mio padre, dove ero la sua stella. La casa era diventata un deposito di cose vecchie, ma ho riconosciuto i colori delle stanze, il marmo freddo del pavimento dove giocavo, il tavolo dove giravo intorno con il triciclo, il posto dove appendevo la calza della befana o dove c’era l’albero di Natale che mi sembrava gigantesco. Sono stata un po’ con questi zii sconosciuti, tutti maschi, tutti fratelli di mio padre, tutti rigidi uguali, bloccati da rabbie profonde. Ho visto la foto di una mia cugina, che ha avuto da poco un primo figlio ed è bloccata con la schiena. Storie che si ripetono. Catene che non si spezzano. Ho sentito i sensi di colpa dello zio che ha fatto la denuncia penale a mio padre mandandolo via da quella casa ormai 30 anni fa, quando mia mamma aspettava mio fratello… questo zio mi incalzava con mille domande a cui io rispondevo a metà. Il mio pianto mi ha salvato. Le emozioni sono state le mie alleate. Li ho salutati lasciando il mio cellulare solo a mio cugino e gli ho detto che ne facesse buon uso. Poi dovevo andare a portare un regalo a mia mamma per il suo compleanno, volevo provare a cambiare dinamica. Sono arrivata molto aperta… I miei non hanno il campanello, quindi li ho chiamati al cellulare ma non rispondevano, in quel momento N. mi stava dicendo saggiamente che era meglio così… ma hanno risposto e sono entrata per salutarli… Entrambi mi hanno dato un abbraccio robotico e pieno di rabbia, poi volevano iniziare a discutere, quindi li ho salutati e sono andata via. Non avevo energie per loro. Sono salita in macchina, dopo poco mi ha telefonato mia madre che mi doveva dare i regali di Natale lasciati da mio fratello per i nipoti, e io subito le ho detto che sarei tornata a riprenderli. N. mi ha fatto notare che non era possibile ritornare indietro per prendere dei regali, dopo un trattamento del genere. E lì ho visto ancora la mia svalutazione, il mio svendermi per briciole. Ho pianto ancora, per tutte le volte che mi sono svenduta in automatico, senza pensarci, senza difendermi, senza freni: la devastazione fisica e mentale operata da mia madre è stata fortissima. Sono ritornata a quando ero bambina, mia mamma era capace di non parlarmi per tre settimane in fila… io facevo di tutto per recuperare la relazione con lei e lì ho imparato a svendermi. E l’ho fatto poi per tutta la vita, senza accorgermene. N. è stata al mio fianco. Sono stata contenta di averla avuta vicina, del suo roseto ardente. Il giorno dopo sono andata dalla mia prozia, zia di mia mamma, ormai 80enne, lei ha vissuto sotto lo stesso tetto con mia mamma, le mie zie, i miei nonni e i miei bisnonni, fino all’età di vent’anni. Sentivo che lei sapeva delle cose. E sono stata bravissima, l’ho ascoltata molto, poi ad un certo punto le ho preso la mano, l’ho guardata negli occhi e le ho chiesto delle violenze che c’erano state in quella vecchia casa (la casa che non si riesce a vendere). Bum… la povera prozia si è messa a piangere, e mi ha raccontato cose che non aveva mai detto a nessuno: suo padre in cambio di un soldino le faceva fare “delle cose sessuali” e questo è durato fino a che lei si è sposata… Ha detto che non era sicura che non fosse successo qualcosa anche alle mie zie o a mia madre. Mi ha fatto leggere dei messaggi che le aveva mandato mia madre un anno fa, insultandola perché lei da sposata aveva lasciato suo padre (quindi ‘sto nonno sessualmente affamato) a mia madre e alle sue sorelle e non si era più fatta viva. Questa prozia ha detto che vorrebbe ritornare a vedere la casa e raccontare questa cosa alle mie zie e a mia mamma, perché sente che è buono per lei: in questi ultimi anni di solitudine sente che la rabbia per queste violenze non la lascia vivere in pace. E poi pensa a suo figlio, forse violentato da un prete, e vorrebbe sapere la verità prima di morire. A marzo andrò ancora una volta nel mio paese d’origine e organizzerò con lei questo incontro. Per me è importante. Sento che sarà un altro passaggio.
“Intimo” Natal
Insomma, tanta roba… avevo paura di entrare nei vortici, anche perché si avvicinava il Natale (per me un momento difficile, per come me lo sono vissuta io per tanto tempo nella mia famiglia d’origine). E invece l’esercizio dei mesi precedenti, del partire da me, non l’avevo disimparato. È stato, e lo è ancora, il mio albero maestro.
In quelle settimane ho sentito che le persone che stavano intorno a me, cominciavano a “sentirmi” e iniziavo ad avere una certa luce per stare, intrecciare e creare relazioni. Che per me resta il fondamento della mia vita: tanto difficili, quanto desiderate. A Natale le maestre dell’asilo di mia figlia mi hanno chiesto di coordinare la recita di Natale, anche se ho avuto delle titubanze sentivo che era una bella opportunità. Ed è stato figo: ho lavorato con un nucleo di 6 genitori con i quali si è creata una bella relazione, un po’ anche adolescenziale se vogliamo… perché chi si è messo in gioco nella recita aveva bisogno di trovare respiro rispetto alle dinamiche quotidiane… Questo venerdì siamo andati a ballare insieme e per me è stata una dinamica importante, lontana dalle soluzioni ma con il puro piacere di stare, ballare ed osservare. Nella recita di Natale, è stato bello far dire alle persone non solo le cose classiche del Natale, ma le frasi che ho scritto io sulla nascita-antenati. Ho affrontato anche la difficoltà degli estremisti religiosi, che ho arginato anche forte della nostra partecipazione all’ambiente cattolico del quartiere dove vanno a scuola i nostri bimbi. Anche questa è una novità: noi abbiamo deciso non di autoescluderci dall’ambiente della chiesa ma di partecipare a quello che sentiamo buono per noi, esempio non andiamo a messa ma andiamo agli incontri delle coppie, perché lì un po’ alla volta possiamo mettere fuori un po’ di nostra teoria e fare relazioni.
A novembre ho iniziato anche un percorso su intimità e corpo tenuto da una sessuologa, un po’ eretica rispetto al comune sentire… ad esempio, per lei la meditazione che porta a raggiungere degli stati alterati di coscienza vanno nella direzione opposta alla sua ricerca, ovvero del sentire il corpo. Ero curiosa. Sto deregistrando alcuni pezzi importanti di questi incontri intensi (sono stata ko per due giorni dopo averlo frequentato). Ci devo pensare, ma vorrei in qualche modo invitare questa sessuologa ad incontrare la Fondazione. Vediamo.
Calma aggressività
A novembre ho anche avuto una super dinamica a lavoro: stavo presenziando ad una riunione, avevo preparato anche alcuni dati della produzione (non era di mia competenza, ma eravamo presi un po’ indietro e ho fatto da tappa buchi), avevo chiesto all’amministratore delegato di verificarli perché lui è anche direttore della produzione, ovviamente non aveva tempo. Ta tan… durante la riunione e davanti a tutti ha iniziato a dire in modo supponente e arrogante che i dati erano sbagliati. Era da un po’ di tempo che sentivo che il feeling tra me e lui non era ottimale, comandato anche da dinamiche esterne al rapporto stretto tra noi due (stupide guerre tra fazioni dell’azienda, purtroppo io appartengo alla fazione che in quel momento lui odiava perché lo stava facendo fuori). Durante la riunione gli ho risposto secca, davanti a tutti, che i dati li doveva preparare la produzione e io non li avrei più preparati, però ho anche visto che nessun altro presente si era alleato a me o aveva provato a smorzare i toni… Regnava un silenzio di tomba. Uscita dalla riunione sono andata nell’ufficio del direttore e gli ho detto che il suo atteggiamento arrogante mi screditava davanti a tutte le persone ed era inaccettabile, perché questo poteva compromettere il risultato di certificazione di fine anno, visto che stavamo intraprendendo un nuovo progetto (definito a livello direzionale) e a causa di questo le funzioni erano già stressate e sul piede di guerra per il maggior carico di lavoro. Gli ho detto che se aveva qualche negativo da dirmi, lo poteva dire ma one to one. Lui mi ha rimandato che io non riuscivo a dare valore alle persone per il lavoro che fanno. Abbiamo urlato un po’. Avevamo iniziato a parlare in inglese e siamo finiti che io parlavo in italiano e lui in spagnolo (perché è messicano). Poi mi sono fermata e gli ho detto che dovevamo lasciare decantare le cose per il weekend e poi lunedì ci saremmo riparlati. È stato un weekend terribile, sono stata malissimo, ho rivisto la mia storia con il lavoro. L’entusiasmo giovanile del dopo laurea e dell’aver in poco tempo già ricoperto una funzione manageriale (anche questo aspetto sento che quando vedo un giovane in queste condizioni mi mette un po’ in difficoltà, lo vorrei salvare), l’identificazione con il ruolo, poi con l’entrata al MAS la distinzione dal lavoro anche attraverso il part time e i progetti, la rabbia che ne è uscita e che spalmavo a lavoro mandando mail frettolose senza interessarmi delle persone, le sbombardate che lanciavo a tutte le donne e gli uomini che vedevo lavorare 12 – 14 ore al giorno, lasciando i figli al doposcuola, dai nonni, ai mille sport… tra l’altro tutti i manager con cui collaboravo in modo più stretto avevano questa vita. E mi ricordavano inesorabilmente mio padre e ricontattavo il suo abbandono, la sua non curanza a quello che poteva succedermi in sua assenza. È stato un weekend dove sono sprofondata nel mio dolore e nella consapevolezza che non potevo salvare tutti quei figli di padri e madri che lavoravano accanitamente. Sono tornata lunedì dal direttore, lui mi ha accolto dicendomi che gli dispiaceva per essere stato aggressivo e che non avrebbe più fatto una cosa del genere. Io gli ho detto che ero stata male per quello che era successo ma che mi aveva dato la possibilità di vedere alcune cose che volevo migliorare, quindi gli ho fatto delle proposte, anche prendendo l’occasione che era cambiata tutta l’area manageriale da pochi mesi (tutte donne, io e un’altra siamo le uniche ad aver mantenuto la nostra posizione) e non me la volevo bruciare con dinamiche al negativo. Pochi giorni fa ho fatto la mia prima riunione con le quattro donne che gestiscono tutta l’azienda, seguendo la regola del CACARE. Ed è stato potente, perché alla fine il risultato è stato ottimo. Dopo la litigata, il Direttore per una settimana ogni volta che scrivevo una mail, rispondeva in copia rafforzando la mia posizione. Oggi vado a lavorare con una nuova mission, che mi è permessa anche dal fatto che hanno aggiunto risorse e il mio ruolo sta diventando sempre più strategico e meno operativo, le relazioni. Ho proposto momenti di condivisioni e sistemi di premiazione / gioco per i dipendenti. Mi prendo tempo per chiacchierare di cose anche banali con i colleghi, porto qualche torta. Studio come cambiando io, cambiano le reazioni di chi mi sta attorno. Ho la possibilità di osservarmi con calma.
Seminare per lasciar andare
Tornando al periodo di dicembre, mi sono preparata al Natale con la festa del solstizio d’inverno (purtroppo rimandata per il gruppo perché il tempo non era favorevole) ma con i bambini l’ho festeggiato. Non è stato importante se era proprio quello il giorno del solstizio o uno o due giorni dopo. Se c’erano o no delle persone che lo sentivano fino in fondo. Per me era importante farlo. Ed è stato bello, semplice. Abbiamo passeggiato intorno a casa, raccogliendo le foglie con i semini, i bambini auguravano buon inverno ai passanti e regalavano questi semini. Ha iniziato la mia bimba per scherzo, e poi si è rivelato un buon modo di scambiare: le persone si fermavano a parlare dell’inverno, di com’era nel passato, davano qualche caramella che avevano in tasca. Abbiamo piantato i semini nel parco. Mio figlio ha voluto lasciare la tristezza, mia figlia la paura di piangere e io lo svendermi.
Ho fatto felicemente il mercatino di Natale per il quale ci avevo lavorato da settembre: ho conosciuto donne interessanti e ho lasciato molti contatti, ho ricevuto i complimenti per le mie opere (anche se ancora nessuna vendita). Però sento che questa è la strada che voglio affinare: posso mettere in un quadro le storie che ho inventato, mettere la mia voce nell’audio storia, affinare la tecnologia (un tempo di sola competenza di mio marito) – infatti sono riuscita da sola a montare l’audio finale con un programmino (anche con i consigli di R.) – affinare la scrittura (P. mi ha corretto le storie che ho pubblicato ed è stato importante). Con il mercatino ho continuato ad intrecciare con una associazione di donne creative del territorio, e soprattutto con una ragazza che sto conoscendo poco alla volta e che mi incuriosisce per la sua storia (ha avuto anche lei una mamma orca) e la sua determinazione, ieri mi ha scritto era contenta di avermi conosciuta. In passato “arrivavo” alle persone solo se mi conoscevano in profondità e dopo tanto tempo, ora sento che sono più sciolta nel dire e fare e questo mi consente di intrecciare più velocemente.
Via dal nascondimento! Aletheia!
In quei giorni di avvicinamento al Natale sono stata anche con un’energia positiva collegata all’evento che stava organizzando mio marito e prima di partire gli ho fatto sentire che comunque c’ero, anche se me ne stavo a casa perché non volevo rinunciare a cose mie definite ancora prima del suo evento. Quando è tornato, però, mi sono incazzata. Aveva promesso a nostro figlio di andare al cinema a vedere il film di Pinocchio, però per sfortuna il piccolo ci era già andato con la zia e a mia insaputa (sorpresa di Natale). Io non l’ho disturbato durante i giorni del suo evento, e non volevo essere io ad attivarmi per ‘sta cosa, mi aspettavo infantilmente una chiamata il 24 per dire: “Come siete messi? Come siete organizzati oggi?” (invece è arrivato un messaggio a mezzogiorno, io arriverò alle 17). Io non sentendolo e sapendo che partiva in tarda mattinata e poteva trovare traffico, ho organizzato la mia giornata; siamo andati in centro a pattinare, a giocare al parco, poi film a casa. Anche prima di partire mi ero occupata io di pensare ai regali per i bambini, e la serata in cui li dovevamo impacchettare è stata difficile. Io capisco i limiti, ma quello che chiedo alla mia vita è di non stare nell’ambivalenza. Se uno non vuole fare una cosa, o gli fanno schifo alcune situazioni, meglio definirsi e non esserci tanto per provarci. Infatti, prima di partire gli avevo consigliato di valutare la possibilità di stare via per Natale, era libero di fare come sentiva meglio per lui. Lo stare a metà è una cosa che inizio a mal sopportare. Ma questo caso mi ha fatto capire che devo fare io questo passo, anch’io non ho ancora coraggio di andare fino in fondo ad alcune dinamiche. Comunque, dalla rabbia, siamo riusciti ad andarne fuori entrambi. Natale è stata una giornata forte, abbiamo mangiato insieme e abbiamo aperto casa a chi voleva venirci a trovare (sia all’Associazione – è venuto solo D., ma non ho sentito delusioni, sono contenta anche di non essermi svenduta alle proposte dell’ultimo secondo, il semino che avevo piantato per il solstizio stava crescendo – sia alla famiglia d’origine di mio marito). Avevo preparato dei giochi da fare per chi arrivava e l’estrazione di una frase sugli antenati- nascita (un modo per provare ad andare un po’ in profondità): ha funzionato. Anche con gli zii di mio marito e suo padre (che è venuto in casa per la prima volta da quando ci siamo trasferiti). Lo zio di mio marito è entrato dentro casa nostra dicendo che aveva fretta di andare via, ho aspettato, ma nel silenzio mi sono sentita il dovere di bloccare sta situazione con il maschile, armonico, ma senza lasciare correre. Ho sentito il mio valore, ma mi sono sentita un po’ sola. Quel giorno mio marito ha sentito anche i miei genitori per gli auguri ai bimbi, e ho scoperto che erano andati da mio fratello, l’anno scorso stessa storia (anzi erano partiti tutti e 4 per una crociera insieme – da brivido…) però avevo detto ai miei genitori che ci ero rimasta male perché comunque non si erano interessati anche a noi (non ci saremmo andati, però il gesto sarebbe stato importante), che mi ero sentita esclusa. Quest’anno uguale, peggio… perché dopo aver chiesto, mi sono vissuta l’essere indifferente. Lo scorso anno ci ho messo un mese a riprendermi da questo negativo, quest’anno pochi minuti, ho visto il loro essere dei bambini rabbiosi, i loro limiti. Glielo dirò.
Al timone della montagna
Dal 27 al 29 dicembre abbiamo passato 3 giorni in montagna noi 4: ho organizzato principalmente io, ma anche grazie a mio marito abbiamo scelto una meta poco turistica e vicina a casa. Eccetto le prime ansie iniziali esterne (cosa fare nei tempi morti etc.) che ho gestito rassicurando tutti, sono stati dei bei giorni. I bambini hanno camminato delle ore, anche con i folletti che portavano le caramelle, abbiamo fatto dei giochi bellissimi insieme, tempi lentissimi. Io sono stata felice di questi giorni, però sento che è una cosa che è partita da me, che ho portato avanti principalmente da sola. L’altro giorno mia figlia (che trova i suoi sottili modi per spingere) ha chiesto che dicessimo qual è stata la cosa più bella della vacanza in montagna: per mio marito la cosa più bella è stata quando è stato solo a scrivere la sua poesia.
Penso che questa vacanza può anche rappresentare la nostra vita in questo momento: io che partendo da me, dai miei sogni e desideri, traino tutti in nuove avventure, mio marito anche se ne sta ancora ai margini della vita famigliare, nei momenti importanti entra e decide… possiamo essere felici tutti e 4 insieme però sento che devo ancora io tranquillizzare gli animi, talvolta difendere e tenere il timone.
Mio marito ha bisogno di stare ancora per lui, però è anche molto simpatico e creativo quando si mette. Se tutto funziona i bambini stanno bene e procediamo, se scazzo io gli umori vanno un po’ a rotoli. Io sento cosi, ma può essere che mi sbaglio.
Il coraggio di essere come sono
Un altro momento significativo è stato il 4 gennaio: siamo andati dai miei genitori e dopo tutto il negativo di questi mesi improvvisamente mi hanno accolto con un sorrisone e un bell’abbraccio… come se niente fosse… Io la notte precedente avevo avuto un incubo in cui mai madre mi ammazzava, mi ero svegliata terrorizzata e avevo pianto. Non mi sono fatta fregare dai loro abbracci, li ho accolti ma poi ho iniziato a dire che stavo male, volevo raccontare il sogno. Mio padre mi ha fermata perché non era quella la giornata giusta (loro avevano deciso che in quella giornata dovevano starci i sorrisi) anche perché c’erano i bambini, ho riprovato a parlare ma lui non mi ascoltava, io ho iniziato a urlare raccontando l’incubo che avevo fatto e ho scaraventato a terra un po’ di roba. Lui è uscito di casa, ha iniziato a diventare giallo, ha fatto come quando ero piccola e litigava con mia madre… diventava giallo in volto e sveniva! Ma non volevo mollare, l’ho seguito in giardino, mi ha detto che non era vero quello che raccontavo e che esageravo… io urlavo… poi mi ha chiesto di andare via perché non ero più sua figlia… sono stata brava a non seguire quello che diceva la rabbia o lui… e sono rimasta… è arrivata mia madre che ha provato a rivolgermi la parola con il tono incazzoso, e a lei ho detto che la doveva smettere di fingere… che volevo solo una madre che ascoltasse non solo le mie bravure e conquiste, ma anche le mie fragilità e paure.. che mi bastava un abbraccio che altrimenti devo andare ad elemosinare in giro come fossi un barbone. Mia madre ha capitolato, si è messa a piangere, l’ho accolta e poi anche con l’aiuto di mio marito, che ci è stato al massimo in tutta la dinamica, lei ha accolto me. Le ho chiesto se mi baciava, e se mi diceva che mi voleva bene, siamo andate nel letto insieme. E lì è stata un po’ dura, perché è risalita quasi subito e mi subissava di domande, anche un po’ spinose… esempio voleva controllare dove ero andata la mattina perché lei non lo sapeva, etc. Mi sono sentita come quando ero adolescente, lei aveva la capacità di imbrogliarmi: magari un giorno era particolarmente gentile e io cadevo ai suoi piedi, le raccontavo i miei segreti e due ore dopo andava a raccontare tutto a mio padre, tradendomi e tirando su dei casini a non finire, oltre che alle punizioni. E questo l’ha fatto molte volte, e io per molte volte, affamata delle sue briciole, ci sono cascata. ‘Sta volta no, ma è stato doloroso. Anche con mio marito mi vivo ‘sta dinamica, molto appesantita dal vissuto di mia madre: esempio delle volte mi apro con lui, magari lui mi deve accogliere o deve fare qualcosa per me, ma dopo arrivano le bastonate, non subito ma magari qualche giorno dopo. Ne abbiamo parlato, e purtroppo l’incastro è potente: anche a lui si aprono i desideri mancati e diventa rabbioso. Un circolo vizioso, che però riesco a disinnescare perché è una guerra tra poveri e non ha alcun senso. Da questo 4 gennaio ho portato a casa i miei desideri: un weekend alle terme con mia mamma, e un futuro weekend con mio padre lavorando l’orto. Conscia che nulla è per sempre, che domani potranno sparire queste prospettive, che basta un soffio di vento per spazzare via tutto.
Io sento che comunque io sono come sono, brava perché sto facendo del mio meglio per migliorare, ma alcune cose forse me le porterò in tomba. Anche mio marito. I tagli sono profondissimi. Però possiamo andare avanti nella storia, accettando anche questi limiti?
Discendenza d’Amore
Un giorno mio marito mi ha deriso perché mi ha trovato a documentarmi sulle case (da comprare?) in internet, mi ha fatto male e ho trovato il coraggio per comunicargli i miei sogni rispetto a ‘sta cosa (che ho tenuto dentro di me per tanto tempo), però è uscita anche un po’ di rabbia… Con il simbolico mi ha comunicato che lui è pronto ad un progetto insieme, ma nelle profondità io ho sentito che ancora non è così. Lì ho sentito che mi ha sfiorato un bel vortice, ho dovuto ricorrere agli accompagnamenti (G. e D.) e piano piano ho ripreso con mio marito il discorso della casa e sono riuscita a fargli veramente vedere il mio dolore di quando un anno fa mi ha detto che lui non era sicuro di fare alcun progetto con me, e che non sapeva nemmeno dirmi perché stava con me. Io durante ‘sta dinamica, che è stata forte, ho visto anche la mia parte. Il mio bisogno di ritornare nel giardino di casa mia, a stare con il mio cane, a stare nell’unico luogo che mi ha saputo accogliere senza chiedere nulla in cambio. Ho contattato il dolore di non aver più accarezzato il mio cane perché i miei lo avevano legato alla catena e lasciato in condizioni pietose (in mezzo al fango e al freddo, con la puzza di cacca), di non averlo salvato, di aver avuto paura di soffrire troppo se lo accarezzavo. Io voglio riprendermi quella parte di vita, dentro una casa nuova. Una casa che per me rappresenta ancora un luogo sicuro dove stare, dove poter esprimermi in libertà, dove poter prendermi cura di piante e animali. Io voglio essere sincera: la mia spiritualità da bambina è stata un po’ coltivata dalla chiesa (fino ad un certo punto) ma tanto dalla natura. Ora sono dentro un progetto, dove c’è la GUK, in cui io sto provando a sviluppare strumenti per riprendermi la mia spiritualità, e tutti i giorni mi chiedo se sto facendo abbastanza per trasmettere il senso della vita ai miei figli, il suo radicamento, questa è la cosa più importante per me. Io ci sto nella vita e tanto, ma non mi sembra sufficiente. Io sento che questa trasmissione avviene anche stando quotidianamente in mezzo all’erba, e tutti i giorni sento questo senso di incompiutezza: non avere la possibilità di alzarmi la mattina e camminare scalza nell’erba, poi tornare a casa dal caos dell’ordinario e con i bambini stare in mezzo all’erba, ai cani e ai gatti. Immergermi nella vera vita. Su questo piano io e mio marito siamo molto diversi. Ad esempio, anche nella trasmissione dei saperi ai nostri figli (non dico dei compiti a scuola, ma della manualità, del ringraziamento alla vita, della creatività, dello stare all’aperto, del prendersi cura degli spazi e del corpo) mi sento sola. La mia paura è che scriviamo poesie, facciamo teatro, organizziamo i salotti, suoniamo, cantiamo ma se lo facciamo in modo psicotico e chiuso, è una cosa in cui non si fa discendenza senza aspettative. Mio padre e il padre di mio marito sanno costruire muri, riparare macchine, coltivare orti… ma non sono riusciti a fare discendenza, a creare amore intorno a loro. Io non dico che noi siamo uguali, ma è una cosa per me sostanziale, come il giardino della mia futura casa. Che forse compreremo quando avrò 70 anni, perché i tempi non sono ancora maturi? Per me la casa non è un progetto di coppia. È un progetto di esigenze e di espressione della creatività, ma non deve essere una corda che lega intorno al palo. Poi comunque bisogna decidere un qualcosa: fino la 2021 abbiamo il comodato d’uso nella vecchia casa, e lì dentro ci sono ancora delle cose nostre (scarpe, libri, etc.) a cui tengo e che vorrei capire dove portare. Poi anche la vita scolastica dei figli, oggi se la vivono nel quartiere dei nonni, gli amici sono lì, le attività sportive sono lì… Mia figlia fra un anno e mezzo andrà alle elementari, dove?
Distinguiti, verifica e procedi
Sono felice? Un po’ sì. Sono delusa? Un po’ sì. Sono arrabbiata? Un po’ sì. Sono un po’ tutto.
Voglio troppo? Alcune volte sì.
Vado troppo veloce? Sì, ancora sì, ma sono migliorata tanto.
Sono stanca di fare da sola? Sì, ho bisogno di compromettere i miei piani, di farli modificare da altri, non per abbandonarli ma per renderli più belli, più ricchi. Non cambierò, modificherò o lascerò andare per le briciole. Mio padre mi diceva “meglio soli che mal accompagnati”. Io dico “meglio soli e se mal accompagnati, distinguiti, verifica e procedi”.
Mi fido? Sempre di meno, nel senso che sono in una fase dove esploro, valuto con i miei occhi, ascolto ma non sempre faccio tutto quello che mi dicono, come un tempo. Ho bisogno di verificare le relazioni. Inizio a vedere i limiti anche delle palle che sembrano più dorate, all’inizio di questo processo ho sentito anche rabbia ora sto andando nella fase del riconoscimento del positivo, al di la dei limiti.
Sono esagerata? Sì, talvolta. Ho tirato un bicchiere pieno d’acqua fredda a mio marito mentre faceva la doccia perché mi aveva detto che sono uguale a mia madre, cosa per altro non vera: io sono IO punto, con delle sfumature sì di mia madre, ma sono IO. Avevo bisogno di un atto forte per dirlo a me stessa per prima.
Dietro la schiena due nodi
Sono anche contenta di togliermi da casa mia per due settimane e fare il Rainbow per tanti motivi:
• Sono curiosa degli aspetti legati al corpo e l’intimità;
• Ho desiderio di scambiare in profondità anche con l’universo maschile, che fino ad oggi mi sono vissuta quasi esclusivamente come possibilità di scambio sessuale;
• Ho bisogno di riequilibrare la quotidianità e i meccanismi.
Spero solo di non piangere 15 giorni di fila, non perché non è bello piangere ma perché sarebbe sfiancante… il mio fisico non regge… la mia paura atavica: il mio analogico che non regge alle mie emozioni.
In bocca al lupo cara ME,
Stamattina mio marito mi ha sussurrato una poesia che faceva più o meno così: “dietro la schiena due nodi, da dove sono state spezzate due ali di farfalla” – non ricordo molto altro -.
Ce li ho davvero due gnocchi dietro la schiena, ve lo giuro… ve li farò sentire. Io dico che mi stanno ricrescendo le ali, oggi lo dirò alla mia massaggiatrice: non me li deve sciogliere, sono solo ali di farfalla che stanno nascendo!
Sono un po’ matta? Siiiiiiiiiiiiiii!!!!
Un ringraziamento a Mariano e a ogni singola persona della Fondazione, chi più da vicino chi più da lontano, per aver innescato questo processo irreversibile di vita.
A ME, CHE SONO SOLO ME