16 febbraio 2020, sesta giornata XVIII Progetto Rainbow: Gita ai Ponti Tibetani, Sasso di Castalda (PZ)
Questa mattina siamo partiti per l’uscita verso “Il Ponte alla luna” in territorio lucano a Sasso di Castalda. Il mio stato quiete era un misto tra dolore e rabbia in seguito alla notizia di mio figlio ricoverato presso il reparto di psichiatria, dopo due mesi di terapia farmacologica. Il mio era un dolore di mamma che, dopo aver attraversato la distinzione, la separazione, è arrivata a decidere, a tagliare la vecchia modalità di stare con il proprio figlio. Una mamma che tradisce il figlio, facendogli vivere l’abbandono, destabilizzandolo a tal punto da fargli cambiare i propri equilibri, seppure in maniera negativa, attraverso un ricovero.
Mi sono sentita piena di rabbia per aver consegnato mio figlio alla psichiatria, ai farmaci, a tutti gli effetti collaterali che possono avere dal punto di vista fisico ed emotivo: chiudono le sue emozioni e immobilizzano il suo corpo, non gli permettono di esprimersi liberamente per ciò che lui già è.
È un ragazzo molto sensibile con un talento artistico che ancora tiene custodito dentro di sé.
Dopo essermi lasciata attraversare da questi sentimenti e liberata con un pianto ininterrotto nell’ angolo della sala, ho pensato di andare a fare l’esperienza della giornata per poter transitare verso il nuovo, lasciandomi accompagnare sul come affrontare la situazione. Arrivati a Sasso di Castalda, ci siamo diretti verso il primo ponte ” Il ponte Petracca”. Poi verso il ” Ponte alla luna” dedicato a Rocco Petrone originario del posto e l’uomo che disse: “Go” quando nel 1969 a Capo Kennedy, l’Apollo 11 lasciava la terra per la conquista della luna.
Ognuno di noi si è sperimentato con le proprie modalità nell’attraversare il Ponte. C’era chi accompagnava e si faceva accompagnare nell’attraversare la paura di sentirsi sospesi a 120 metri di altezza tra le Dolomiti Lucane. C’erano madri e figli coraggiosi che insieme si sperimentavano nell’ impresa di affrontare solo una parte del percorso. C’era chi con orgoglio ha gioito per avere fatto solo i primi gradini, chi si è immessa in una dinamica di abbandono vissuto nell’infanzia e di essersi sentita accolta da chi la stesse accompagnando.
Io ho vissuto l’attraversamento con naturalezza. Non ho avvertito dentro di me la paura di essere sospesa nel vuoto e soprattutto la necessità di controllare ciò che stava succedendo. Mi sono affidata al momento presente e mi sono sentita sostenuta dalla presenza del gruppo.
I miei piedi trovavano un solido appoggio sui gradini e le mie mani scorrevano lungo i grossi fili di acciaio. Nel percepire il senso di pericolo, mi sentivo al sicuro e mi facevo cullare dalle leggere onde sul ponte, spinte dal fresco vento che c’era nell’ aria. Percepivo l’entusiasmo dei miei compagni di viaggio che, con determinazione e coraggio, sono arrivati alla fine del ponte lungo 300 metri.
Sentirmi sospesa nel vuoto non mi ha spaventata… Ad un tratto ho cercato dentro di me la paura e… Non l’ho trovata! Sono stata felice per questo…. Sono stata felice per lo scenario mozzafiato che da quell’altezza potevo osservare, sotto un cielo azzurro illuminato dai raggi del sole che tiepidi accarezzavano la pelle.
Sono stata felice e orgogliosa di me per come ho vissuto per la seconda volta l’esperienza di attraversare il vuoto sui fili d’acciaio.
Credo che man mano che faccio nuove esperienze, le saprò fare sempre meglio, più velocemente e con più armonia. Oggi mi sono sperimentata con fiducia e abbandono, trovando connessione con ciò che mi circondava. Nel pomeriggio il mio stato quiete era diverso da quello della mattina. Mi sono sentita molto alleggerita e di aver fatto un po’ di vuoto. Ho compreso meglio che i passaggi riguardo a mio figlio sono giusti anche grazie a chi mi ha accompagnato. L’uscita della giornata “ai ponti tibetani” si è conclusa con il rientro al villaggio, dove tutti insieme abbiamo condiviso la cena.
Assunta