Rita e la sua rosa per sempre incastonata nel “Mosaikaos”.
Il mosaikaos… un’opera corale unica al mondo, cominciata nel 2016 dalla spinta visionaria di Mariano Loiacono… che ha poi coinvolto Dario, mosaicista oltre che persona in trattamento, come le altre centinaia che hanno lasciato il loro segno sotto la sua guida e non solo, tra i quali ricordiamo il caro Alberto e il suo grande contributo…
L’ultima pietra è stata messa a maggio 2019, ed io sono qui a raccontare la mia esperienza.
Sono stata fra gli ultimi che lo hanno finito, il mio intervento è arrivato in extremis, appena in tempo per lasciare la mia tanto agognata traccia, sì perché in questi tre anni non sono riuscita a trovare una o due settimane (mea culpa), come richiedeva il lavoro, da dedicare oltre che ad imparare minime nozione tecniche, anche del tempo favorevole o kairos per immergermi attraverso una costruzione artistica, in una ricostruzione delle mie parti frantumate, questo è stato anche il senso del progetto.
Intanto il kronos scorreva, ed io spesso mi sono ritrovata nella sala della teofondità ad ammirare tanta bellezza, a calpestare e a camminare sulle storie sacre di tante persone, fratelli di un viaggio di nuova specie, con un bisogno selezionato, ma senza o con poca possibilità di soddisfarlo.
Ripensandoci questo è stato ‘il film della mia vita’: avere un desiderio che sfuma nella sua negazione, non trovando condizioni favorevoli per viverlo, presa come sono sempre stata, sensibile ai bisogni altrui, alle necessità primarie… per fortuna da tempo penso anche alle mie responsabilità, a quello che io posso, voglio, e saprei fare da sola.
Questo desiderio non si è spento fino alla fine, e infatti il mio kairos è arrivato una domenica di maggio quando i mosaicisti, al lavoro per l’ultimo rush finale, ormai stremati, hanno chiesto un aiuto a chiunque volesse dedicare anche solo un giorno per poter chiudere i lavori a fine mese.
Ho pensato a quanto fosse scandalosa la mia non partecipazione in questi tre anni, io vicina di casa, con studi d’ arte… Dario infatti mi chiese all’inizio di dare il mio contributo, spesso gli chiedevo io di andarci, ma anteponevo difficoltà di ogni genere, sembrava che quando decidevo, qualcosa mi remava contro…
Erano rimasti tre punti da finire, mi è capitata una parte di cielo sopra la meravigliosa aquila, opera di Dario, che dall’alto guarda tutto e tutti, e rappresenta la teoria globale, un punto di vista più ampio sulla vita, quello che ci sana e ci salva.
Mi è sembrato un privilegio, una fortuna lavorare su questa parte così importante.
Cosa potevo rappresentare? C’era già di tutto: la metamorfosi, il diaballo, il roveto ardente, il crossing over, tutti gli antenati, la fetogenesi… e tantissimo altro.
Il mio desiderio più profondo era di lasciare un ricordo indelebile, un omaggio a mia madre persa un anno e mezzo fa dopo una lunga malattia, per me il mio unico genitore da oltre 30 anni. Rappresentava il mio punto mitotico, una visione semplice e chiara delle cose, un’onestà al di sopra di tutto, una teoria positiva ed equilibrata della vita in un modo incasinato, imbrogliato e che imbroglia.
Allora ho deciso così d’impulso di rappresentare qualcosa che non c’era ma che ritenevo molto importante: la pioggia, un antenato a cui noi del Metodo Alla Salute abbiamo sempre dato molto valore, ricordando la frase del quadro che avevamo al centro che recitava: ‘The tears I shed yesterday have become rain’, e cioè ‘le lacrime che ho versato ieri sono diventate pioggia’.
La pioggia sta nel cielo, cade dall’alto, ma bagna le radici dando la vita, come le nostre lacrime rappresentano il nostro dolore, ma anche la nostra umanità, fragilità e forza allo stesso tempo.
Tanto il nostro pianto è più profondo quanto più grande è stato l’amore che lo ha preceduto.
Ho cercato delle pietre azzurre, blu, qualcuna l’ho battuta col martello per dare la forma di goccioline, più in basso ho creato una goccia/lacrima più grande, con varie sfumature di azzurro, dove al centro ho inserito un orecchino d’oro che avevo regalato tanti anni fa a mia madre, che metteva sempre fino a quando ne perse uno. Ho pensato fosse il posto giusto a cui affidare l’altro che mi era rimasto, simbolo del mio amore per lei e di come io ho sempre visualizzato la perdita di una persona cara, che è sì il dolore più profondo, ma che può diventare una luce pulsante, illuminante nella nostra oscurità misteriosa, da custodire come un tesoro che nessuno ci può portare via, qualcosa che faccio fatica a tradurre in parole, ma che questo è o può essere.
Ho voluto anche lasciare un sigillo prezioso a questo capolavoro: mostrando l’orecchino a Dario, gli dissi di volerlo mettere anche perché il suo mosaico per noi tutti vale più dell’oro, per quante possibilità di crescita ci aveva dato in questi tre lunghi anni, e per quello che sarà come prospettiva futura per tantissime persone che sicuramente verranno a visitarlo, per le possibilità che darà di conoscenza e di sapere emotivo di una storia e di tante altre storie che si sono incrociate all’ombra dell’albero della vita in viaggio.
In ultimo ho lasciato come altro segno, sempre nel cielo, una rosa di metallo, simbolo di santa Rita e del mese di maggio…
Santa Rita, venerata per le cause impossibili, come sembrava questa opera difficilissima da realizzare, una prova concreta che con la Fides niente o quasi niente lo è…
Rita Tomacelli