… Non tutto il ‘chiummo’ vien per nuocere…

Ricordo che i giorni precedenti all’inizio della settimana intensiva, che si è tenuta a Palermo dal 27 gennaio all’1 febbraio 2019, ero agitata. Non avevo idea di quello che sarebbe successo, chiusa in un albergo una settimana con persone – molte a me perfette sconosciute – che si portano dentro tanti problemi e disagi. Tanto dolore.
Pensavo che sarebbe stato, come diremmo da queste parti al sud (e come poi abbiamo insegnato a tanti compagni di questo viaggio) un CHIUMMO. Chiummo significa piombo, quindi un peso, una situazione pesante.

Poi mi sono detta che in realtà peggio di quello che vivo non poteva essere, nel senso che in fondo il disagio lo vivo quotidianamente all’interno della mia famiglia e da un po’ troppo questo si riflette anche sul resto, la gente in generale.
Stiamo tutti male, quindi forse quello che avrei trovato non era poi così lontano dalla mia realtà giornaliera e poi mi era stato detto di andare senza farsi troppe domande e io tendo a fidarmi di chi avverto, sento, simile. E alla fine così è stato.

Una settimana di condivisione vera, di paure, dolori, emozioni forti vissute e interiorizzate.
Una settimana di conoscenza in cui ti rendi conto di non essere da solo e di quanto la rete e il gruppo, la famiglia ontologica, diventa più che mai oggi fondamentale per vivere, per superare e affrontare il disagio diffuso.
Non esiste un disagio più forte di un altro, più doloroso di un altro, esistono solo storie personali differenti, traumi differenti, caratteri differenti e il disagio colpisce ognuno di noi. E ogni singola persona è fatta a proprio modo e ha degli strumenti a disposizione, più sono questi strumenti che hai, più riesci ad affrontare il disagio, la società di oggi, la solitudine, il malessere, la tristezza.
Io ho trovato una rete, una famiglia. Ognuno dei componenti dà qualcosa che all’altro manca e avviene in modo spontaneo, “naturalissimo”. Senza che tu te ne accorga, sul momento intendo, dai e ricevi.
Un vero sostegno.

Non si è trattato di piangersi addosso per una settimana, di fare vittimismo! No, si è trattato di raccontarsi, ascoltare, ascoltarsi, fare teoria, una teoria necessaria e fondamentale per un percorso di rinascita, una teoria che impari a fare piano piano grazie al Metodo Alla Salute, quello del dottor Mariano Loiacono.
Grazie al Metodo Alla Salute che – come dice lui – è di tutti noi.
Io ho partecipato alla settimana intensiva a Palermo con tre dei miei sei fratelli, i miei due nipoti e gli ultimi due giorni mi ha raggiunto anche mia figlia di 13 anni.
Una famiglia, la nostra, che si è unità ancora di più nel disagio di uno dei fratelli, disagio che ha fatto mettere ognuno di noi in discussione portandoci così a partecipare al Metodo Alla Salute e alla settimana intensiva, per noi stessi e non più per mio fratello, come inizialmente avevamo pensato. O meglio, non più solo per lui.

Ci sono stati momenti in cui mi veniva voglia di scappare, momenti in cui iniziava la giornata e mi dicevo “Ma che due palle! Ma perché devo stare qui ad ascoltare questa gente quando già ho i gran fattacci miei?”.
Ma per tutte le cose funziona sempre la stessa regola: se le vuoi davvero, ti devi impegnare.
E allora rimanevo lì, perché volevo e voglio stare meglio. E dopo una manciata di minuti entravo in quelle storie, tanto simili alla mia che proprio per questo a volte non volevo ascoltare.
Bastava poco per entrare nel metodo e a quel punto, nonostante la stanchezza enorme, di andarmene non se ne poteva parlare.

Questo è solo l’inizio, lo so bene. Tornare alla vita quotidiana è stato pesante e lo è tuttora ma adesso di diverso c’è che so che la rete esiste, so che non sono da sola e che c’è il Metodo Alla Salute e il Progetto Nuova Specie con le sue tante attività, studiate e affinate anno dopo anno, specifiche per ognuno di noi.
Nuova Specie è un’opportunità per me, ma sta a me coglierla.
Ci sono cose che dobbiamo necessariamente fare noi, passi che sono tutti nostri perché in gioco c’è la nostra vita.

E allora giochiamo. Possibilmente insieme.

Marta




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