“L’importante è rialzarsi e continuare il viaggio”: dal diario di Gaetano, con amore, per tutti noi.
Casa dei nonni, Troia – gennaio 2019
Ebbene sì, non me ne vergogno ma ho bisogno di teorizzare perché a 40 anni compiuti da poco – con 10 anni di percorso al Progetto Nuova Specie, e dopo più di 16 anni di disagio conclamato attraverso evidenti e ciclici sbalzi d’umore e dismaturità varie, condite da un rapporto di dipendenza-complicità con la marja – ho subìto il mio primo ricovero psichiatrico.
L’anno scorso, a luglio, al culmine di tante rappresentazioni meta-sciamaniche, ero entrato trionfante, a petto nudo, alle 8.00 del mattino, da una strada secondaria, nel borgo di Rignano, paese natale di mio padre.
Mostrare la mia eccentricità e un costume da pellegrino protocristiano con ferula e provoloni era stata una cosa normale ed un dono per i partecipanti al corso sulla coppia di luglio 2017. Restare nel quadrato aureo, per questo sogno ad occhi aperti, vigilato da lontano e non ostacolato/contenuto dai miei accompagnatori (Gino, Alberto, Dario, Mariano innanzitutto) mi aveva portato ad esprimere tutta la potenza del sogno e a rientrare lentamente con i piedi per terra. Ricordo però con chiarezza che il giorno del mio ingresso da scimmia nuda coperta di fango sul corso di Troia, era mio desiderio/paura essere portato al presidio e dimostrare loro che io ero a posto e lucido, cosciente, creativo… Per fortuna il buon nome di Mariano e della Fondazione mi evitarono quel passaggio.
A distanza di quasi 17 mesi però, quel momento è arrivato. Anche se io, lucidamente e coscientemente, non l’ho cercato. Il sogno ad occhi aperti e la creatività ci sono stati tutti. Quello che mi è mancato è stato il quadrato aureo nel quale includermi e dei devoti e saggi accompagnatori disposti a fare i galli e a venire sotto e sopra i tavoli con me, “principe-gallo”.
Ma facciamo un passo indietro ai giorni precedenti il ricovero. Il giorno 11, 2 giorni dopo il mio compleanno, festeggiato in casa con un po’ di dispendio di energie mio e di Veronica, ed un po’ invaso dalla modalità “voglio stare al centro dell’attenzione” di Maria, mia madre, scrivevo questo:
È stato l’ultimo giorno in cui ho scritto… i nervi, nonostante il “citte a vocca”, non hanno retto. Troppe emozioni e dinamiche aperte. Aver ripreso il lavoro con le escursioni dopo il cammino di san Francesco di fine ottobre, non riuscire a trovare il tempo per raccontare e rielaborare quella magnifica e forte esperienza, la prospettiva del 23/12 con la festa per i miei 40 anni e 10 di percorso e il “decidere” di attenderla preparandomi con il non fare e con il togliere…
Ma soprattutto mi ha sbarellato dovermi includere nelle dinamiche del mercatino di Veronica, non solo pittando per lei uno sgabello (che poi non ha neanche voluto portare al mercatino) ma accogliendo le sue comprensibili ansie e paure e vivendole dentro di me in silenzio, mettendomi in seconda fila e subendo un po’ di suo cesso/rabbia (in buona parte, probabilmente, anche meritato). Non avendo però occasione e capacità di farmi teoria da solo o con qualcuno, mi sono dovuto chiudere in rappresentazioni e non avendo elaborato delusioni e dolori per alcuni suoi comportamenti e per i miei passaggi lavorativi e di taglio con la mia famiglia d’origine, esterne alla nostra coppia in viaggio, ho iniziato anche a dormire poco (2-4 ore a notte).
È iniziata così, dal giorno 12-13 dicembre una cosiddetta “fase maniacale” nella quale ho attivato un mio meccanismo difensivo: il troppo fare… un meccanismo parecchio comune (specie nella mia famiglia d’origine). Quei pochi giorni sono così volati tra panificazioni, visite al forno dietro casa alle 4.00 del mattino, raccolte di erbe spontanee all’alba, organizzazione di una serata a Benevento da regalare ad Olivia e Veronica, presentazioni del corso guide AIGAE pugliese e tanto altro, dinamiche reali e rappresentazioni comprese.
All’alba di S. Lucia sono entrato nella chiesa madre del mio paese e dopo aver chiesto alla santa lì esposta la grazia di farmi vedere senza gli occhi, è successo qualcosa. Dei “bizochi” che chiacchieravano in fondo alla chiesa hanno iniziato a guardarmi strano, anche perché non entro mai in chiesa e non mi conoscono. A loro ho chiesto dove fosse il prete ed alla fine, non so neanche perché, sono entrato nel suo ufficio con un tono un po’ arrogante e mi sono lamentato con lui per le modalità diffidenti dei suoi fedeli. Lui era un po’ infastidito e allarmato e pure lui diffidente. Per fortuna è entrata poco dopo una persona che mi conosceva e l’ho tranquillizzato. Io sono andato via dicendo che era lontano dall’accoglienza che dovrebbe avere una casa di Dio e probabilmente ho detto qualcosa di negativo su Triggiano.
Con il senno e la teoria di oggi, sento che questo è stato un gesto d’amore, spero ultimo e risolutore, in difesa di mio padre che da quella chiesa era stato cacciato dall’arciprete politicante di quegli anni, perché frequentava un comunista e non poté più, lui figlio di un maestro di banda, strimpellare l’organo della chiesa.
A ben vedere, nel senso di “osservare, contemplare”, e pensando anche all’ultima dinamica a Triggiano, prima di andare a piedi a Bari il giorno 17, sento che in questi giorni ho chiuso anche delle dinamiche, che mi legavano alla mia famiglia d’origine, con il paese. Questo ha tanto più senso se penso alle dinamiche dei mesi passati a Rignano, prima da solo e in maniera quasi psicotica, poi per il mio lavoro con i tanti sopralluoghi sui sentieri tra Rignano e San Marco in Lamis ed infine all’aver organizzato, nell’anniversario della nascita di mio nonno paterno, un viaggio a Rignano per lui e i suoi fratelli.
Con Triggiano, invece, ho più “creato” dinamiche gonfie di rappresentazioni, ma liberatorie ed a cielo aperto per gridare l’amore verso mio padre soprattutto e per “sanare” i suoi tagli ed insieme “bombardarlo” per cercare di sanare e chiudere le ferite con lui. Questi sono per me i motivi profondi di tante mie dinamiche. Solo per citarne alcune: la candidatura con Rifondazione Comunista al comune come consigliere (presi ben 8 voti) costringendolo a votare un partito che aveva abbandonato e che odiava per la caduta del governo Prodi, e a replicare quanto lui aveva dovuto fare tanti anni addietro votando Democrazia Cristiana per non tradire suo padre. Ma anche il farmi querelare da una nota politica triggianese e dal suo marito condannato (e vecchio sodale di mio zio, il cui amico di infanzia era diventato avvocato e compagno di partito dei due di cui sopra) per frode, replicando a 40 anni di distanza circa la querela subita da mio padre, sempre per diffamazione di un altro potente locale, nonché “amico” di famiglia. Potrei dilungarmi ma cito soltanto, per chiudere con la terna “politica”, l’aver fatto il presidente di seggio, con lui segretario, quindi mio “sottoposto”, in una scuola di Triggiano facendo un po’ lo stupido e il “creativo”, vestendo un po’ da guru e con le margherite appena raccolte e offerte alle elettrici, sotto lo sguardo sdegnato di mio padre.
Ma torniamo agli ultimi eventi. La lunga giornata del 12 continuò con i preparativi del mercatino. Il giorno prima avevo sistemato cassetta degli attrezzi e impianto elettrico – con l’aiuto di Cristiano – per lo stand di Veronica. Anche quello è stato un giorno intenso, anche perché avevo pure “chiuso” con dei commercianti Triggianesi: la ferramenta che mi aveva servito, nello stesso giorno, 2 volte prodotti diversi e difformi da quelli che chiedevo e il fruttivendolo con cui Veronica aveva avuto una dinamica mesi prima. Ho sentito di prendere una parte dignitosa e cazzimmosa di Veronica e farla mia, usando un maschile determinato e tradire così mio padre che invece si è sempre fatto sopraffare dagli artigiani (i negozianti in genere neanche li frequenta e se lo fa, costretto, ci sta il meno possibile, non contratta e li subisce).
Inoltre, questa dinamica me la sono vissuta anche come prova d’amore nei confronti di Veronica. Tanto quanto l’aver accolto/sopportato il suo veemente negativo condito da sfiducia, disconoscimenti e parolacce mentre ci preparavamo ai mercatini.
Ho compreso che oltre alle parti legate al suo passato famigliare, c’era anche una parte legata alle nostre dinamiche di incomprensioni, alle mie spinte fuori luogo e fuori tempo, alle tante volte nelle quali lei si è dovuta includere nei mie globali, anche lavorativi e associativi che tra l’altro non hanno poi costruito granché. Stare in questo stretto ha fatto la sua parte di detonatore nel mio scoppio. Ho dovuto crearmi un mondo di rappresentazioni per non mostrare come mi addolorava, prima ancora che darmi rabbia, tale suo comportamento. Ad oggi, però, sono contento e soddisfatto di come sia andata perché anche io, pur nei miei vortici, mi sono saputo includere e ho incluso la parte arrabbiata e invorticata di Veronica.
Mentre scrivo questo pezzo è il 15 gennaio ed è la terza/quarta volta che lavoro a questo post… io che sono sempre stato uno Speedy Gonzalez nella scrittura.
Aggiungo, dopo una prima mattina passata a camminare tra i campi con Germana e dopo un disegno che spero di mettere nel mosaico stamattina o comunque in questi giorni, una riflessione che mi è venuta in cammino con lei: la mia soluzione è da molto tempo stata quella di creare un mondo prima fisico, poi virtuale, nel quale rappresentarmi in maniera più vicina a me, i miei bisogni, desideri e per fuggire a delusioni e dolori e sublimare la rabbia. Da bambino lo facevo trovando ogni scusa utile per andare a dormire o mangiare da uno zio, una nonna, un amico. Solo sino allo scoppio di Maria esplicitavo la mia rabbia almeno facendo a botte con i cuginetti e reagendo alle provocazioni dei fratelli di mio padre che, per gioco, mi contenevano o provavano a darmi qualche bonaria mazzatina. Poi il negativo l’ho eliminato per lungo tempo dalle mie parti e mi sono ancora di più chiuso nel meccanismo di fuga e allontanamento dalla prigione di via Monti (casa dei miei) sia in adolescenza (ero uno dei pochi che neanche chiamava a casa durante i 15 giorni di campo scout e non aveva nessuna nostalgia) che raggiunta la maggiore età grazie all’andare a studiare a Rimini.
Rinunciando a questa soluzione, radicandomi a Triggiano, con una compagna ed una figlia, il meccanismo di fuga si è chiuso più nel virtuale, favorito prima dalla marijuana, in altre occasioni con il virtuale digitale nelle sue svariate forme e in assenza di queste due soluzioni già abbastanza forti, con dei veri e propri scoppi psicotici, nei quali mi creo un enorme quadrato aureo, che deve essere tanto più grande quanta più è la necessità di fuga dalla realtà.
Così leggo gli scoppi di questi anni, gli unici tre (uno 5 anni fa, uno l’anno scorso e quello di 2 settimane fa) nei quali ho sentito di andare completamente fuori dal Graal e di vivere un elaborato e sempre più forte sogno ad occhi aperti, di una concretezza spaventosa.
Forse neanche ha tanto senso entrare nella descrizione di quello che ho visto, udito e sentito durante i giorni più forti dello scoppio. Anche perché, ricordando tutto con molta lucidità, gli elementi sono tantissimi. Mi limiterò soltanto a riportare una pagina di diario scritta in ospedale durante il ricovero.
Tornando al racconto dei giorni precedenti, invece, mi va di sottolineare alcune cose, per riconoscermi. Ho ancora molto bisogno di tanto riconoscimento. Che fa! Sento che Veronica meritava il mio aiuto, anche se io non ero proprio in condizione, e l’ho fatto in circostanze di stress e con tante, forse troppe energie. Mi spiace essere caduto prima della festa (nei mercatini, sino allo smontaggio di quello del 16 ed al rientro a casa ci sono stato) nella quale mi sarei dovuto celebrare qui a Troia.
L’importante però è rialzarsi e continuare il viaggio.
Sento pure un abbozzo di crossing-over, tornando alle dinamiche di cui parlavo prima: l’essere passato dal vergognarmi e reagire di fronte agli scazzi di Veronica con baristi e commesse varie, al segnare il territorio con le sue stesse modalità che ora usa molto meno.
La controprova sarà saper armoniosamente usare queste parti nell’ordinario e non nei periodi cosiddetti maniacali… anche se, nonostante il poco sonno, ancora non mi rendevo conto di come stessi.
Il sonno, grosso problema. Già durante il cammino Francescano era stato poco e di scarsa qualità, ma non avendo nessuno che mi giudicasse per questo né si arrabbiasse, l’avevo gestito bene. Di sicuro la privazione di sonno ha contribuito a farmi vivere delle rappresentazioni a carattere mistico che mi sono goduto sino in fondo e sentendo la fusionalità con la natura e con lo spirito di Francesco d’Assisi.
Svegliarsi nel letto con a fianco Veronica, ogni notte tra le 2.30 e le 4.00, invece, mi ha messo in un altro mood. Innanzitutto, le volte che lei se ne è accorta, si è arrabbiata (e io non ho reagito) ma ci sono rimasto male perché non dipendeva dalla mia volontà. In quei momenti sento che più che un Tavor, avrei bisogno di qualcuno che mi accolga e mi accompagni a dormire (io che sin da bambino mi sono addormentato da solo… favole non ne ricordo, se non quelle in delle cassettine gialle da mettere nel mangiacassette, raccontate da una vocina fastidiosa e un po’ da femminiello – con tutto il rispetto per gli omosessuali). Sento anche che è un modo di sentirmi vicino a mia madre, purtroppo, che delle notti in bianco ne ha fatto un’abitudine, specie durante le sue crisi, e che quando ero adolescente e forse anche prima, veniva a cercarmi nella “mia” stanza quando non dormiva. Il taglio con lei, non è semplice, ma sento che queste dinamiche di questi ultimi due anni, in parte stanno avendo effetto, ed ancora di più la distinzione, visto che noi non andiamo a casa loro se non per accompagnare, ogni tanto, Olivia.
Nelle mie ultime notti insonni, grande compagnia in quel “madrugare” me l’ha fatta il fuoco. E’ diventato un rito e si è creato un legame. Anche questo l’ho sentito un passo avanti rispetto alle passate fumate di marijuana e tabacco che allungavano e tenevano in superficie le mie “psicosi” e “deliri”. Penso che in fondo si fumi proprio per sentirsi di “possedere” e interagire con messer lo frate Foco.
Triggiano, 20 gennaio 2019 – ore 6:21
Ed eccomi a continuare questo lungo post qui da casa nostra, quella di Triggiano, non la cosiddetta foresteria di Troia. Sono rientrato da 3 giorni e sento che sono già una persona diversa. Un’altra rinascita, forse più importante delle precedenti è qui che mi aspetta. Se ne sta accorgendo anche Veronica e non solo lei. Al rientro tra le prime cose sono stato a casa di Maria e Pinuccio a salutarli, regalarli un Pillolendario e a raccontare loro del ricovero e di alcune suggestioni e teorie che da questo ho tratto. Maria ancora non sapeva nulla di questo episodio ed è rimasta molto sorpresa. Io sono stato asciutto e leggero nel racconto, limitandomi a dire che il giorno dopo il mercatino del 16 (evitando per motivi di tempo ulteriori descrizioni delle rappresentazioni di quel pomeriggio) e dopo tante notti insonni avevo deciso di andare a Troia, zaino in spalla, prendendo il treno da Bari che avrei voluto raggiungere a piedi. Li ho detto solo che passeggiando per Bari mi sono sentito dentro un sogno ad occhi aperti nel quale Renato [il mio amico regista con il quale avremmo dovuto fare un documentario sulla Fondazione che Apulia Film Commission non ha valutato tra i primi 10 ammissibili a finanziamento – piccola delusione dell’anno passato dopo tanto lavoro] e la Fondazione erano d’accordo nel recuperare tutte le immagini delle telecamere di sorveglianza dei posti dove passavo per girare un film sulla mia vita. Per questo mi sentivo libero di fare qualunque cosa e di osare molto… tipo, per dirne una, anche fermare dei treni sui binari, affacciarmi dal ponte di S. Antonio, restare attaccato ad un cancello e strisciare su via Sparano a torso nudo…
Per questi motivi sono stato fermato dai carabinieri sollecitati da molti passanti e portato in psichiatria dove sono rimasto 6 giorni.
Prima di chiudere però ci tengo a riportare, come promesso, una pagina di diario scritta nei primissimi giorni di ricovero.
Il mio diario continua con altri dettagli ma sento che non è importante questo, quanto riportare questa ultima frase prima di andare verso le conclusioni.
3 indizi fanno una prova? E 10 segni? Io preferisco crederci. Sentire che le nostre energie e connessioni stanno davvero dando fiato alle “macchine” del film della mia vita. Una versione integrale che non finisce qui e che abbia senso continuare assieme. Che mitico delirio!
Oggi, 20 gennaio 2019 mi sento lucido e fuori da qualunque sogno ad occhi aperti. Sento piuttosto un minimo di stretto per dover affrontare la storia, con i suoi passaggi più angusti e mi godo l’ospitare a casa Annarita nel suo peregrinare. Rispetto al ricovero ho colto che è stata la chiusura di una dinamica, l’occasione per avvicinarmi ad un mostro e riconoscerlo non pericoloso, non pauroso. Quando avevo 9 anni mia madre era finita ricoverata, a nostra insaputa, presso lo stesso reparto. Lì aveva subito trattamenti disumani, quali le cinghie a letto, varie iniezioni depot e persino un elettroshock. Uscita dall’ospedale, nei primi mesi ed anni ci ha distillato memorie e flashback delle sue esperienze negative in reparto e tutto ciò divenne un grosso peso per me, una vera e propria scena madre. Mi chiudevo a piangere da solo in stanza al pensiero di quanto avesse subìto Maria e mi spaventavo quando lei, all’improvviso, si riconnetteva, durante le sue crisi, a quei momenti e raccontava fuori di senno.
Finire nello stesso posto e saper difendermi, con il controllo delle mie reazioni che mi hanno evitato contenzioni che non fossero qualche pilloletta giornaliera, mi ha permesso di affrontare il mostro psichiatrico e attraversarlo. Anche per questo ancora non scalo del tutto il litio ed l’abilify. Non perché sento di averne bisogno ma perché sento che fa parte di questa dinamica di attraversamento e conoscenza del mostro.
Io non mi porterò un’esperienza negativa di questo ricovero, né ho nascosto nulla ad Olivia, anzi da quella fortezza bianca inviavo pure messaggi e fotografie attraverso Veronica che con grande adultità e fiducia mi ha accompagnato in quei giorni e si è difesa da sirene varie. Io nel reparto ho fatto anche da spirito tra i pazienti: ho ascoltato, ho raccontato, ho danzato, ascoltato musica, spinto per farci stare all’aperto nel giardino da poco ristrutturato, incentivato i pranzi in comune e creato relazioni, anche con gli infermieri.
Tra qualche giorno andrò in Cilento a fare una lezione di fiscalità con Giusi ad un corso nazionale per guide ambientali escursionistiche, poi partiremo per l’Irlanda con Veronica. Sento che affronterò queste esperienze con fiducia, speranza e carità, nel senso etimologico. Mi sento pronto a lasciar andare ed anche a farmi festeggiare, adesso si, questi 40 anni e 10 di percorso all’interno del Progetto Nuova Specie.
Andiamo avanti!
Triggiano, 22 gennaio 2019 – ore 6.00
Tanti sintomi tutti assieme. Influenza? Probabile… ma anche qualcosa di più profondo secondo me. Io lo voglio leggere come un ritorno alla mia parte bambina precedente lo scoppio di Maria… quando mi ammalavo. Poi ho molto diminuito, forse per non farla preoccupare (come mio padre mi diceva in quelle rare volte in cui si rivolgeva a me), forse perché già c’era lei che faceva risaltare il disagio in famiglia, forse perché costretto a crescere e a diventare “autonomo-autarchico” troppo in fretta senza più poter trovare le coccole e le attenzioni di una mamma (almeno durante le sue crisi).
Sono felice che sto chiedendo aiuto a Veronica un po’, e poi a Giusi con le sue medicine (io che non ne prendevo proprio e che in questi giorni ho preso un paio di tachipirine, vari integratori e pure litio e abiliy).
Inoltre mi curo, da solo, con rimedi naturali ed un minimo di meditazione e rallento il ritmo. E’ allora va bene così, imparando ad ascoltare sintomi e segnali per non dover più ricorrere a realtà parallele e rischiosi quadrati aurei.
Gaetano