ANNO 1981 Un rito di iniziazione (dai Diari di Mariano)
Buon compleanno MARIANO, Buon compleanno FONDAZIONE
E quel primo giorno di andata alla USL, per sbrigare la faccenda C.M.A.S., dovetti proprio salire al famigerato quarto piano perché il Presidente, i Coordinatori e gli altri Capi Servizio stavano proprio lì. Anzi la stanza dell’ex Direttore Sanitario era diventata proprio quella del Presidente. Con mia somma meraviglia, attraversare quei corridoi ed entrare nelle stanze dei funzionari era cosa più che semplice, come se fosse una masseria senza padrone; infatti, facendomi guidare da qualche informazione arrivai in fretta nella camera dove c’era il Coordinatore Amministrativo, assieme ad altri tre impiegati.
Anche qui, con persistente meraviglia, mi presentai da solo, mi potetti sedere davanti alla scrivania e riuscii perfino ad attirare l’attenzione del Coordinatore quando parlai di droga, di emergenza dei giovani, di possibile rischio anche per i propri figli. Quest’ultima battuta fu certo fuori posto perché il Coordinatore butto fuori un bel “cazzo, questo no!” e si grattò le palle per evidente scaramanzia. Ma, a parte questo errore di poca opportunità (non si finisce mai di imparare quante sono le opportunità, di cui tener conto, quando per bisogno si ha a che fare coi potenti), sentivo di aver superato quasi un rito di iniziazione e di aver aperto un piccolo buchino per il movimento che avevamo iniziato.
Com’era da prevedere, il Primario restava incredulo e scettico; lui disdegnava questi nuovi usurpatori raccattati alla rinfusa, che di sanità non capivano niente, che non portavano alcun rispetto ad un Primario di tanti lustri, né si erano presi la briga di fare visita al suo reparto-lazzaretto, né gli avevano fissato un appuntamento dove ad attenderlo sulla porta ci sarebbe dovuto essere lo stesso Presidente. Ma a me le cose stavano strette e volevo crescere assolutamente, per uscire dalle asfissianti emergenze. Come si dice “chi tiene le noci se le batte”; rientrò così nelle mie ordinarietà di direttore del Centro il fatto di recarmi spesso alla USL, formarmi un’idea sempre più precisa di chi realmente comandava, di come arrivarci, di come sapere informazioni. Come al solito, i più utili informatori e consiglieri, e quelli per prima avvicinabili a poco prezzo, erano proprio le ultime ruote del carro. (L’usciere in genere è la CIA di ogni istituzione e conosce punto e virgola di chi comanda e gli sta sopra; sa perfino con chi e su quale lato ha dormito di notte il suo capo il giorno in cui il padrone è inavvicinabile e sta su tutte le furie). Invero, a parte gli uscieri, di alleati ne trovai ben presto al palazzo della USL: un po’perché era insolito che un medico, e per di più drogologo, gironzolasse per gli uffici; un po’perché alcuni impiegati della USL erano ex funzionari di alto rango, trombati dai vincitori imposti dai partiti; molti di loro infatti erano stati validi e competenti funzionari direttivi nell’INAM, la mutua più popolosa che doveva reggere vari piani di assistenza; nell’INAM il rapporto gerarchico funzionava, forse anche troppo, e molti di loro erano arrivati lì per concorso vinto e per reale competenza. Ma, come s’è detto, il passaggio alla Usl era stato come un terremoto: e al tremare della terra c’è sempre chi perde tetto e averi e c’è chi invece se li fa in fretta, approfittando proprio delle disgrazie altrui, a favore dei nuovi vincenti e potenti.
La comunità “Emmaus” di don Michele Mongiello
Specie uno di questi funzionari terremotati si compenetrò bene nel primo problema che volevo risolvere, riguardante la Comunità Emmaus. Era successo infatti qualche mese prima che quel Segretario Generale, a cui si è accennato in precedenza, stando in procinto di passare ad altra sistemazione, aveva finalmente acconsentito alla mia richiesta di concedere alla Cooperativa di don Michele Mongiello trenta ettari di terra, di quei mille e cinquecento in dotazione della Azienda Agricola “Siniscalco Ceci” degli OO. RR., per mettere su una Comunità di accoglienza per tossicodipendenti. L’aggancio c’era e riguardava un’altra Comunità agricola che il Primario aveva fatto deliberare in precedenza per ragazzi handicappati. Come s’è detto, il passaggio dell’Ospedale alla Usl e quindi ad altri padroni favorì il buon cuore del segretario generale che, come l’amministratore della parabola evangelica, pensò di farsi amici a lui riconoscenti coi beni che non gli appartenevano e che in ogni caso avrebbe dovuto lasciare. Solo che il primo Presidente della Usl, non molto favorevole ai Salesiani, nel ratificare quella delibera dell’Ospedale aveva limitato il fitto gratuito ad appena un anno; come a dire “l’occasione te la do, tanto non la puoi sfruttare”.
Per fortuna il Presidente cambiò dopo qualche mese per incarichi più importanti e gli successe un Presidente filosofo che aveva fama di iattura potente verso i suoi nemici o verso chi non se le grattava al suo passaggio. Con me, a dire il vero, fu assai cordiale e un giorno addirittura mi mandò a prendere con la sua macchina personale perché nella sua stanza al quarto piano gli facessi, in tre battute, il resoconto sul problema droga e possibilmente consigliargli le soluzioni: situazione incresciosa da parte mia perché non avevo né modo né tempo di fare un’analisi graduale e seria, ma contemporaneamente dovevo approfittare di quei pochi momenti di ascolto assoluto per dare una buona impressione e crescere nella hit parade del capo fino a divenire, eventualmente, suo consigliere e pianificatore. E, come avviene nella mente di chi sta lontano dai meccanismi ordinari di gestione e di potere, dall’uovo di quel giorno andavo già pregustando il castello che a breve avrei potuto comprare vendendo quell’uovo, comprando una gallina ecc. Fantasticherie a parte, riuscii a strappargli la riapertura dei termini del fitto e fui inviato da lui in persona direttamente agli Affari Generali, dove appunto potei beneficiare della preparazione e disponibilità di quel funzionario, ex INAM, trombato dal nuovo corso.
L’iter di revisione deliberativo era impervio. Per procedere gradualmente, ma con chiarezza, prima preparai una mia relazione sul senso e sulla organizzazione della futura Comunità; poi gliela portai di persona offrendomi a domande di cortesia e mostrando interesse a problemi personali (…chissà perché lo psichiatra fa pensare subito ad un possibile confessore e per di più stregone esperto di meccanismi del profondo e di efficaci rimedi). Le cose insomma procedevano, anche se spesso c’era da attendere una intera mattinata inutilmente e mi toccava aspettare seduto in un cantuccio, sentendomi quasi di peso o giudicato come uno che non aveva molto da fare e si poteva permettere di abbandonare tranquillamente il posto di lavoro. Ma più di quello non potevo ottenere: le armi della disponibilità, cortesia, simpatia e impegno civico hanno senz’altro un’efficacia, ma solo con alcuni, per poco tempo e per richieste di piccolo calibro che, in fin dei conti, non fanno il torto a nessuno o non scomodano più del bisbigliare di una mosca chiusa tra due vetri. Ma prima o dopo, corre più veloce e arriva prima a destinazione chi percorre la via brevis dell’appartenenza alla stessa squadra di partito o, presentandosi, può dire “mi manda Picone”. Tuttavia avevo imparato a pazientare, tornare e ritornare e, goccia goccia, formare la mia stalattite.
Sta di fatto che approntammo un contratto di fitto che il Comitato di gestione approvò integralmente: il Centro aveva il compito di filtrare i ragazzi, fornire le linee direttive nell’accoglienza, verificare la bontà delle prestazioni avvenute e, anno per anno, relazionare al Comitato di Gestione con la possibilità di poter rescindere il contratto. A dire il vero mi ero alquanto battuto per non rendere troppo ingombrante la presenza di burocrati e di politici della Usl, ma realizzare un’iniziativa che fosse il più possibile dinamica, aperta alla collaborazione col dipartimento e alla ricerca di risposte positive per i tossicodipendenti.
Verso la fine dell’81, dunque, riuscimmo a spuntare un contratto di fitto per 9 anni. E così questa tessera poteva partire; presto si sarebbe realizzata una vera Comunità di accoglienza e a metterla su ci avrebbe pensato sicuramente quell’infaticabile bulldozer di don Michele Mongiello che riusciva a fare contemporaneamente il salesiano, il muratore, il tubista, il falegname, l’elettricista, l’agricoltore, il responsabile della comunità Emmaus e un verace innamorato di chi stava nel bisogno.