TRACCE: Racconto Globale della mia vita “8 dicembre 1969”
“Accetterò di essere povero, perché voglio avere tanta fede”
L’8 dicembre ’69. “Sto ancora continuando nella mia lotta, ho ripreso la riforma di me stesso per portare a compimento un ennesimo lavoro di cambiamento dei miei limiti”.
Questo vale un po’ in genere per la vita, ma soprattutto in una fase della propria vita in cui ci sono debiti da pagare che si sono ricevuti, il lavoro da fare è un po’ continuativo: “sto continuando nella mia lotta”; non puoi dire: “mo’ basta, già sono stato male ieri!”. Purtroppo fin quando non approdi, lottare significa che ti devi dare da fare attivamente. Dice: “ma è un anno che sto male!”; va beh, ma in questo anno che hai fatto? Cioè è un impegno continuativo riformare se stessi, perché ognuno di noi si porta dietro i pesi delle cose che ha ricevuto, a cominciare dalla famiglia, dal proprio ambiente; queste non sono cose che si pagano da un giorno all’altro, bisogna lavorarci.
Se è così, ognuno di noi si porta dentro limiti, ma è inutile banalizzarlo dicendo: “questo è il mio carattere”; non è vero. Io avevo tutti i limiti che voi potete elencare; i pregi che adesso qualcuno vede li posso spiegare che sono partito con dei limiti. Qual è la diversità? “Portare a compimento un ennesimo lavoro di cambiamento dei miei limiti”, portare a compimento, compiere, quindi anche uno ricade, non ce la fa, riparte. Quando è a compimento lo senti, perché quella parte ce l’hai dentro, ma fin quando non arrivi lavori e lavori e pare che non hai concluso niente, però invece non è vero, perché se il livello che tu percepisci è il livello dieci, fino a quando stai anche a nove e mezzo ti pare che non hai fatto niente. Ecco perché ci vuole un accompagnamento da parte di chi dice: “non ti preoccupare, stai andando bene”, perché uno non riesce a cogliere ciò che avviene da uno, da zero o da meno zero a nove, nove e mezzo, non si rende conto. Questo è l’accompagnamento; non che uno si deve sostituire, perché spesso non si vede, in positivo o in negativo, alcune cose e uno rischia di perdere tempo. Io continuo ancora così, perché mi trovo che alcune parti della mia vita le ho sistemate, ma le altre no, e sto continuando, per cui questo lavoro mi aiuta anche a fare un lavoro su di me. Io continuo ancora, perché poi una volta che uno si sposa si aprono altri aspetti, diventi padre e si aprono altri aspetti.
Vorrei invitarvi a sottolineare questa parola: “a compimento”, continuare la lotta, perché uno in genere si ferma ad abbozzare e gli sembra di aver fatto tanto, per cui molto spesso uno arriva a nove e mezzo e si scoraggia. E’ certo che, se uno procede e lavora, si arriva a compimento per quell’aspetto, però la vita è così tanto ampia e molteplice che non basta portare a compimento quella parte, poi se ne presentano altre.
“Accetterò di essere Povero, perché voglio avere tanta fede”.
Adesso penso che andando avanti lo capirete meglio. Quando uno deve cambiare e deve abbandonare un modo di fare, uno stile di vita, un modo di pensare, l’uso di alcune situazioni, di ogni cosa, l’aspetto più difficile in quel momento è che si viene presi da tutta una serie di immagini mentali, di spinte, di desideri a tornare indietro, preoccupazioni, prospettive, cioè ci arricchiamo di aspetti che non ci servono. “Povero” significa che in quel momento tu non segui queste cose; quella è una ricchezza inutile, è una ricchezza di fantasie, di prospettive che ci complica la vita. Anche giudicarsi troppo, quello che si sta facendo, il senso, avere paura che non si riesce, aver voglia di interrompere, pensare a quello che avviene agli altri che dipendono da me, questa è una ricchezza inutile, è una ricchezza di zavorra che non ci fa procedere. “Povero” significa che in quel momento, nonostante stiamo in angoscia per queste cose – perché nel perdere delle cose a cui siamo abituati, le paure poi si rivelano con tutti questi pensieri che abbiamo -, rinunciare a questi pensieri significa poi affrontare il dolore di una separazione, di uno star male, che non è sono l’astinenza di chi si fa. Noi pensiamo che i meccanismi della astinenza siano solo per chi si fa di sostanze; i meccanismi della astinenza sono meccanismi universali; nel lasciare una cosa a cui siamo abituati succede questo: in quel momento abbiamo una ricchezza di paure, di fantasie, di voglia di tornare indietro; quelle sono le modalità per rimanere lì, per non fare niente e per tornare indietro.
Allora io dicevo: in quel momento che cosa ti serve? Che cosa ti può aiutare? Non certo il fatto di dire: “non fa niente, sopporta!”; non ce la fai, perché perdi dei pezzi di vita tua e pensi di non poterli recuperare più. Invece che significa “fede”? Può essere anche una fede religiosa, ma può anche non essere; la religiosità è una fede confessionale, se uno ce l’ha gli serve, la utilizza, ma fede anche nella vita, significa in tutte le premesse che già ci stanno nella vita, dalla sua origine; noi diciamo: il livello metastorico, cioè qualcosa che va al di là della storia da cui noi siamo provenuti. In quei momenti non ti può aiutare nessuno, se non il fatto che quelle mancanze le tolleri perché ti affidi. Una persona che fa difficoltà a fidarsi o affidarsi viene presa dalle paure e può anche far scoppiare un progetto mentre sta partendo.
Vediamo di leggere anche la frase cosa dice. Dice: “accetto di essere povero perché voglio avere tanta fede”. La prima versione ve l’ho detta: non si diventa poveri se non ci affidiamo a qualcosa che non è quello che siamo oggi, ma quello che sta per venire, che non sappiamo se viene, né quando, né come, né perché, perché “fede” significa una cordicella a cui mi lego, che non sa dove va, quindi non è facile. Ecco perché le religioni per aiutarci ad avere fede hanno costruito tutta una organizzazione, che è Dio che lo vuole, tutta una serie di cose che sono anche rispettevoli, però è una modalità per me infantile; la vera fede è quella che tu in quel momento ti appoggi a essa stessa, altrimenti se uno non crede non può avere fede? Se uno non crede, ha fede in maniera diversa, non in quella maniera proposta dalla religione. Però volevo dire anche questo: che cosa nella vita mi preserva che, anche se mi succederà un cataclisma, io non torno indietro? Il fatto che so avere fede, quindi accetto di essere povero, si inverte. Nella versione di prima la fede mi aiuta a essere povero, ma voglio essere povero perché così mi rinforza la fede, nel senso che diventa uno strumento che poi lo posso utilizzare ancora meglio in un’altra opportunità. Per me adesso i tempi di accogliere il negativo, di avere fede si sono molto accorciati; non è che io sono più fortunato di voi, ma perché, man mano che questo funziona, la realtà funziona così, per tutti, non è che per me sì e per gli altri no.
E allora mentre noi abbiamo difficoltà a diventare poveri, e quindi a stare in quello che sto facendo, lo voglio fare anche perché così rinforza la mia fede, perché la fede non è una cosa statica. Si dice: nel momento in cui tu vieni a fare il battesimo hai acquisito la fede per conto dei padrini; sono riti. La fede è uno strumento, un mezzo che tu devi far crescere. Lì si dice: la fede cresce fino a quando tu vai ai sacramenti; anche, ma la fede di attraversare tutto ciò che la vita di difficile ti propone e credere nella crescita, nel cambiamento, quella è la cosa più difficile, lì più la rinforzi più man mano che vai avanti è più semplice. Quando uno attraversa una crisi, la prima volta è più dura, ma se viene accompagnato o tu ti fai accompagnare e ce la fai, la volta successiva è più semplice, fin quando non arrivi a saperla gestire da te, non hai neanche più bisogno dell’esterno e neanche hai più bisogno di lunghi tempi.
Adesso c’è un tentativo di andare avanti nell’analisi dei meccanismi. Dico: “Il punto debole di ogni mio proponimento…”.
Per esempio mi propongo di cambiare, di lasciare una sostanza, di lasciare una persona, di crescere in una cosa, qualsiasi proponimento.
“…è la mancanza di una forte inibizione iniziale. Infatti dopo poco tempo mi propongo una cosa, accumulo immagini eccitanti, immagini di noia e di voler sostare. Così è chiaro che, in questa situazione, è chiaro che debba cedere perché l’emozione contraria si è resa talmente forte che risulta impossibile superarla. Il segreto per riuscire è una chiara inibizione iniziale”.
Qual è il punto debole? Se io per es. mi sono proposto di lasciare una sostanza, lasciare una persona, non fare più una cosa o fare una cosa che non mi piace fare però sento che è buono che la faccia, allora come fase iniziale che significa “inibizione”? Significa che in quel momento – ecco la povertà – taglio con tutte le altre possibilità, ma devo tagliare, perché se io dico: “un po’ ci provo, però adesso se mentre esco per strada trovo quella persona, ci vado”, quello non è tagliare. Inibizione significa che, se lo voglio fare, in una fase iniziale bisogna bloccare, almeno provarci a bloccare, a inibire che quella cosa emerga. Non si può cambiare convivendo con quella realtà, non è possibile, quindi questo ci fa star male, perché decidere, tagliare non è facile. Se io devo tagliare una cosa che mi piace, che mi sembra che sia essenziale, importante per me, anche se ne ho visto il senso di farlo, all’inizio bisogna inibire l’ingresso di cose collegate a quello che io non voglio fare. Molti dicevano: “io ho lasciato la sostanza, però mi sento abbastanza forte. Anzi, sai che faccio? Adesso vado un po’ a stare con i miei amici, vado al bar, tanto a me non succede niente perché ormai sono forte”; sono cazzate, sono modi per imbrogliarsi, ma è sicuro che, mancando una inibizione, si ritorna indietro. Una delle prime modalità con cui torniamo indietro è non valutare la gravità e la difficoltà di quello che dobbiamo fare, banalizzarlo e pensare che basta che io oggi non ho fatto uso di niente… anzi addirittura posso dire a mia moglie: “metti l’alcol a tavola, tanto a me non fa più effetto!”, non è vero, perché prima di cambiare veramente stile di vita, starci bene con piacere, c’è una fase in cui deve inibire il suo attivarsi, se no giri sempre attorno a quella cosa.
Questo vale se mi devo separare da una persona, da una sostanza, da una esperienza, come sta facendo anche Nicola; lui dice: io dentro di me sono portato ad altro, però mi butto nelle cose. Che significa? Questo è più forte di me e non la posso eliminare, però almeno cerco di inibirla, di entrare dentro di me e di farmi controllare da questa emozione e cerco di stare nella realtà. Questa è la cosa più difficile da fare, però è la premessa, perché se non si fa questo si fanno cose confuse; per esempio dire: “mi sono ricordato che dovevo avvisare quella persona perché domani c’è un incontro”, e mando un messaggio, la telefono: sono tutte modalità per tornare indietro. In questo vi ho sempre ricordato il mito di Orfeo ed Euridice, per cui se ti volti indietro torni indietro, perdi; in quel momento bisogna andare avanti. E se io ho paura di una persona, di uno psicotico, di mio figlio? Lo stesso: se non inibisci la paura non vai da nessuna parte. Che significa “inibire”? Che non ti fai condizionare dalla paura anche se ce l’hai, perché non è che puoi passare dall’aver paura e non avere paura così! Ci passi inibendo la paura pur sentendola e impedendole di diventare quella che ti orienta nel comportamento. Io per esempio mi trovavo molto spesso che dovevo studiare; in quel momento non arrivava la lettera di Giovanna, io stavo a Roma, il primo anno, allora volevo stare lì un po’ a immaginare: “se Giovanna sta qua si fa questo…”, tutte immagini eccitanti con la fantasia, oppure mi metto a vedere delle immagini o vado all’interno di relazioni che mi portano a questo, è ovvio che io non studio più. Non sto difendendo lo studio, ma sto dicendo che se io ho deciso che quello è un obiettivo importante… Io dovevo costruire questa mia liberazione anche dalla mia famiglia e anche procedere, anche perché io ho studiato col presalario, dovevo fare gli esami tutti entro febbraio; se non facevo gli esami perdevo il presalario e me ne tornavo a casa. Dire per esempio: “adesso voglio andare a vedere la partita, voglio uscire”, ecc., cioè ognuno viene preso dalle cose più inerziali che è abituato a fare; in quel momento se io ascolto queste cose, non costruisco sull’altra parte. Dico una cosa ovvia.
Quello che io volevo fare e non volevo fare, desideravo, in realtà diventa più forte e quindi, anche se mi sono proposto di studiare, non studio, anche se non mi sono proposto di andare al bar ci vado, anche se mi sono proposto di non telefonare a quella persona, di non sentirne l’attrazione, lo faccio, quindi vince l’emozione che sto nutrendo proprio col fatto che non sono determinato, non sono deciso; “cedo” significa “tagliare”, e questo non è facile. Se si vuole riuscire a cambiare bisogna partire dalle cose che io ho deciso, non perché me l’ha detto la religione o un altro, ma è una cosa che io ci sono arrivato e ci credo, se no si perde tempo; fare le cose perché me l’ha detto quella persona, me lo dice, però poi deve diventare una mia decisione. Per fare questo, nella parte iniziale devo diventare povero, significa che in quel momento tutta questa ricchezza di fantasie, di stimoli da devo mettere da parte, se no vince quella emozione. Per fare questo serve questa inibizione nel senso che ho detto.
“Se riesco a farne una abitudine…”.
L’inibizione può diventare una competenza, non è una cosa che io ce l’ho e tu non ce l’hai! L’inibizione nel senso di essere bloccato è un altro significato, ma il fatto di dire: “io oggi decido qualcosa su cui mi voglio concentrare” è una competenza che si può acquisire e può crescere.
“…sono sicuro che saprò meglio concentrarmi e saprò continuare più a lungo in uno sforzo“.
E’ quello che faccio. Molti di voi si meravigliano che per esempio, durante le settimane intensive, sto otto ore piantato qui per fare il bilancio; l’altra volta sono stato dalle tre fino all’una e mezza, non mi sono mosso; sono abitudini che ho acquisito. Dice: “come fai a non alzarti per la vescica?”; perchè se io in quello che faccio ci sto, l’organismo si armonizza su questa scelta, anche la vescica riesce a trattenere di più, il rene aspetta. Vi sembra strano, ma l’organismo è intelligente, solo che se non sa a cosa deve obbedire, va per conto suo. Quindi è ovvio che mi so concentrare meglio, mi concentro su quello che devo fare e quindi posso continuare più a lungo uno sforzo.
“La fatica infatti per lo più è di origine psichica“.
Dice: “tu non sai quella persona chi è!”; a parte che la vita è uguale per tutti, ma lì si sta rivelando la difficoltà che fai dentro di te. Ecco perché poi il buddismo insiste molto su questo. Le difficoltà che facciamo è perché dentro di noi ci sono dei nodi che si esprimono in quelle difficoltà, ma le difficoltà non stanno fuori, tant’è vero che quando poi noi sistemiamo alcune cose, ci rendiamo conto che è una cosa semplice e vogliamo che i figli o gli altri la facciano in maniera veloce, perché ci siamo scordati l’origine dentro di noi, che ci abbiamo messo abbastanza tempo. Le difficoltà non stanno prima di tutto nell’esterno, ma stanno dentro di noi. Io dicevo: “specie nella mia situazione”, perché mi riconoscevo di essere molto limitato.
“Se realizzo questo principio, diventerò la personalità più forte“.
Una delle cose che mi ha spinto è quella di superare i miei limiti. Dire “personalità più forte” è un po’ un delirio, ma nel senso di arrivare a essere uno che si possedeva, stavo dentro di me. Prima di rientrare dentro di noi, dobbiamo lavorare su difficoltà e su fatiche che sono dentro di noi, sono legate molto alle nostre relazione soprattutto infantili, simboliche, di esperienze che ci sono state trasmesse, valori trasmessi.
Adesso ho fatto la teoria: povertà, fede, inibizione, crescita; vedete come sono collegate? Tutti questi fattori sono un sistema integrato. Purtroppo la religione prende un pezzo, la psicologia prende un altro pezzo, gli altri altre cose, e noi perdiamo il fatto che sono parole che vogliono leggere un tutt’uno, perché le cose che vi ho detto sono collegate. Se togliete gli elementi che io vi ho detto, non avviene il cambiamento; qui stiamo parlando di come cambiare, e chi viene qua essenzialmente si dovrebbe porre il problema di come cambiare.
La prassi. Perché io nella mia vita non ho mai considerato la teoria come la contemplazione della teoria. La teoria vi serve per cambiare la vita, se no non serve: “Ora mi propongo come impegno di non masturbarmi finché parto”.
Dovevo tornare a casa per le vacanze natalizie, dieci giorni sono parecchi in una situazione in cui la masturbazione molto spesso serve a eliminare altri settori che non sono andati bene.
“Inoltre voglio far sì che prima di ogni azione specifichi ciò che voglio realizzare e inibisca tutto il resto“.
Noi invece spesso ci buttiamo in una dinamica per caso. Fin quando uno non arriva ad avere gli strumenti per definire velocemente le cose, farebbe bene a fermarsi, a dire: “in questo giorno, stamattina, in queste due ore cosa voglio?”, cioè specificare ciò che voglio realizzare e inibire tutto il resto. Lo posso fare anche per un’ora, che è più facile farlo che per un pomeriggio o per un’intera giornata, però è importante chiarire quello che voglio fare, lo devo scegliere; le cose che si fanno se capita sono confuse, nel senso che si mettono insieme molte altre esigenze. Se io ho chiarito quello che voglio fare, debbo essere in grado di inibire tutto il resto. Uno se lo può proporre anche per mezz’ora, all’inizio può fare anche piccoli periodi, però per acquisire la capacità di distinguere, altrimenti vive tutto e un po’ di tutto, ma poi non realizza niente.
“Poi più in là proverò a vincermi e tornare alla normalità, anche quando mi trovo già in preda a un determinato valore“.
Se io sto all’inizio non posso dire: “adesso l’ho fatto fino a mo’, adesso vado a trovare un amico che si fa, tanto io non mi faccio”; non è possibile, non avviene. Oppure: “io sono attratto da quella persona, ma tanto ormai ho capito che non ci devo stare, voglio andarla a trovare”, oppure una situazione che ti fa arrabbiare, è lo stesso; all’inizio dobbiamo essere umili, cioè possiamo solo accontentarci di non farlo, creando delle condizioni anche opportune. Man mano che uno poi è cresciuto, può anche vincersi, può anche controllare quelle cose, anche se già si è attivata una dinamica. Nel senso che man mano che io cresco, posso anche non essere preso dal fatto che uno si fa, ma lì devo aspettare, devo andare molto lentamente. Man mano che si cresce, uno può anche arrivare a stare a fianco a uno che beve e lui non beve, ma dovrebbe continuare a lavorare su di sé, altrimenti inerzialmente, quando uno ha fatto una forte esperienza, tende a tornare a quella esperienza. Rimanere nel nuovo implica impiegare lavoro su di sé; man mano che uno è cresciuto, il lavoro diminuisce, ma il lavoro non finisce, perché se io dico: “ormai”, quello è il tempo in cui si torna indietro, perché vanno alimentati, in quanto noi inerzialmente tendiamo a tornare nelle situazioni più inerziali, banali.
“Forse questa è la volta buona“.
Anche quando si è programmato, lo si è fatto bene, bisogna dubitare che si possa riuscire, perché banalizzare che uno possa riuscire ci predispone a non riuscire; non bisogna dare nientre per scontato. L’evento vivo è un evento da vivere in diretta, non lo posso pregiudicare solo perché ieri è andato bene e ho acquisito alcune caratteristiche. Bisogna credere che è la volta buona, però sempre dicendo “forse”; lo dobbiamo dire a conclusione: “questa volta è stata la volta buona”, perché l’ho verificato, ma dall’inizio vendere la pelle dell’orso prima che l’hai ucciso non conviene, perché dopo ti puoi trovare a prendere impegni o a vendere competenze che invece non sono.
“Oggi è stata una giornata difficile, comunque ho reagito con dignità e ora sto continuando in questo senso“.
Quando è difficile la situazione, ci dobbiamo accontentare di essere stati dignitosi; “dignitosi” significa: ho fatto del mio meglio, al meglio di me, senza ingannarci, e continuare. Proprio quando si decide che siamo in grado di fare, proprio lì si presentano le difficoltà, quindi già partiamo male; ma quando si presentano queste situazioni difficili bisogna reagire con dignità, significa che si può anche essere sconfitti, però si può essere sconfitti rimanendo con dignità, dignità di uno che ci ha provato, che ci crede e che è disponibile a continuare, non si scoraggia. Questa è la dignità maggiore, pur essendo sconfitti: di continuare.
“Aspettavo la risposta da Giovanna ma non è venuta“.
Perché allora non ci stavano gli sms, le mail; l’unica modalità che avevo di comunicare era un telefono a gettoni: c’era una tecnica che si entrava nella teleselezione, quindi con un gettone parlavi molto tempo, però lì c’erano tutti che volevano fare questo, perché ognuno voleva parlare, quindi bisognava trovare gli spazi liberi in cui gli altri non c’erano. Per una relazione iniziale, in una assenza di relazioni emotivamente positive per me, ricevere una lettera era importante.
“Fernando ha scritto una lettera un po’ scoraggiante. Gli ho subito risposto. Speriamo che presto tornerà normale“.
Nel senso che le persone che già stanno male per sé, che sono sensibili, si caricano troppo dei guai degli altri; normalmente chi sta bene invece dice: “sta bene panza mia e stanno bene tutti”, anzi c’è chi nello star male degli altri cerca di guadagnarci, è ancora peggio. Però in genere le persone che hanno attraversato sofferenza, normalmente sono sensibili anche alle sofferenze degli altri. In questo caso io potevo anche dire: “Fernando, tu te la sei fatta ‘sta cosa e te la tieni!”. Se vi ricordate l’altra volta addirittura avevo pensato di risparmiare dei soldi su quel presalario per poi aiutare mio fratello.
“Gli ho subito risposto. Speriamo che presto tornerà normale”. Quando noi vogliamo bene a una persona vogliamo subito intervenire e non è detto che è buono, e vogliamo che subito ritorni normale; “normale” significa che almeno non ci dà più fastidio. In realtà in questa situazione se io ero un bravo accompagnatore o avessi avuto delle capacità, avrei potuto approfittare del negativo per farlo crescere. Quando si crea una situazione che scoraggia, non serve subito dare antidoti, come fa la Psichiatria che dice: sei ansioso? ansiolitico! sei agitato? tranquillanti! sei depresso? antidepressivo! Questa modalità è una modalità per normalizzarci, per non affrontare il negativo. Il metodo alla salute rinuncia a queste soluzioni, non perché non sono comode, ma perché rispondendo subito la persona si normalizza, cioè pare che non abbia l’ansia o l’agitazione o la depressione, ma in realtà lui peggiorerà e non si sfrutta quell’evento negativo per far crescere la situazione.
“Sto sempre di più capendo che al di fuori del mio sistema non ci può essere salvezza né soluzione per il dolore e per una vita di felicità“.
Vediamo di contestualizzarlo. E’ chiaro che questa è una affermazione assoluta, in quel momento cosa stava a significare? Che vedevo che le cose che avevo ricevuto prima dalla cultura contadina, dalla religiosità e anche un po’ dalla psicologia, per quel poco che capivo, volevo dire: quelle cose non mi hanno aiutato; queste cose con cui mi sto aiutando sono una cosa buona. Certo, qui poi viene estremizzato, però la cosa positiva è che stavo cominciando a vedere che stavo costruendo una strada che secondo me funzionava.
“Sto portando avanti l’iniziativa presa ieri, mi appare straordinaria anche se per intanto solo negativa“.
Penso quella della inibizione, cominciavo a farla funzionare. All’inizio è più facile, anche se può essere una tecnica all’inizio, però può servire.
“Ora voglio formarmi una costanza e una capacità di concentrazione senza limiti. Sarà questa la chiave per la formazione di Amos, perché così saprò inibire ogni processo negativo e potenziare le mie capacità positive“.
La parola chiave è “formarmi”, perché le cose si formano, non è che si acquisiscono per eredità o per ruolo; bisogna in queste capacità essere costanti, perché anche io sono incostante; e capacità di concentrazione. Più avanti questo aspetto uscirà fuori meglio e la chiamerò “inibo-concentrazione”, inventando anche termini nuovi: se io inibisco tutta questa ricchezza di cose inutili, mi concentro su quello che oggi devo fare e, concentrandomi, posso acquisire competenze e posso anche crescere. In questo modo acquisisco una competenza per inibire i processi negativi, quelli che mi portano indietro, e potenziare le capacità positive; lo strumento che intravedevo era questo.
“Il controllo così attuato è davvero stupendo…“.
Per me era uno sballo riuscire a fare queste cose, mi sentivo una libertà e anche delle sensazioni molto belle.
“…perché permette di vivere nel vero paradiso, l’unico che possa esistere nella nostra esistenza“.
Il paradiso per chi crede verrà, però se il paradiso lo vivrò dopo, devo vedere come viverlo anche adesso, anche nel negativo. Per me questo fatto di riuscire per la prima volta con questa inibo-concentrazione, avere un controllo della mia vita e poterla spendere ed esprimere in una modalità produttiva, utile, per me era uno sballo molto importante.
Mariano
Lunedì, 12 settembre 2011