Settimana Intensiva di settembre 2018: “una sorta di tornado emotivo che scende sempre più in profondità”.

Siamo Giulia e Patrizia, figlia e mamma, e dal 17 al 22 settembre abbiamo partecipato alla settimana intensiva al Villaggio Quadrimensionale a Troia. Volevamo lasciarvi un nostro contributo rispetto a questa ricca esperienza, che per noi è stata la prima all’interno del Metodo alla Salute.

Io, Giulia, ho proposto a mia mamma di condividere questa settimana perché partivo da un mio bisogno di rinsaldare ulteriormente il mio legame con lei, e io, Patrizia, ho accettato senza troppe difficoltà la proposta di Giulia perché tengo fortemente alla nostra relazione. 

Sentiamo a tutt’oggi gli influssi positivi dell’esperienza: io, Giulia, sto continuando a leggere il Pillolendarioogni mattina e mi dà buoni spunti per le intense giornate lavorative. Al lavoro infatti mi sento più presente e protagonista, grazie a ciò, con una maggiore capacità di leggere ed intervenire su certe dinamiche; io, Patrizia, sto sentendo tutta la ricchezza dell’esperienza vissuta attraverso i collegamenti tuttora presenti con alcune persone del gruppo e anche parlando del Metodo alla Salute e di Mariano con alcuni pazienti in studio, e suggerendo anche l’utilità per loro della settimana intensiva di novembre.

La settimana si è aperta per noi con la prima visita del lunedì: davanti ad un caffè e ad un pezzo di torta, abbiamo raccontato parte della nostra storia a due signore che, con il loro ascolto attento e accogliente, ci hanno fatto sentire subito a casa. Quindi il gruppo si è radunato per l’accoglienza condotta da Mariano. Il calore e la vicinanza avvertite durante il colloquio mattutino si sono qui ripetute nelle dinamiche di gruppo: ci ha infatti colpito il fatto di stare tutti molto vicini, di ascoltare le persone mantenendo un contatto continuo con loro, vuoi tramite un braccio o proprio essendo presi in braccio (sedia umana), e la “professionalità atipica” di Mariano che riusciva, con un linguaggio semplice e diretto, ad entrare nel vivo delle dinamiche di ogni partecipante. 

Nelle due giornate successive abbiamo esplorato la tecnica base del Metodo consistente in un viaggio in quattro fasi: pensieri antenati, comunicazione, immersione e fondo comune. Da un pensiero che ci portiamo dentro (anche musicale, nostro o meno), si scende ad un livello dove si comunica come si sta e su cosa si vuole lavorare. In seguito si approda al momento più intenso, l’immersione, durante la quale si rivive, raccontandola anche con l’aiuto dei conduttori, un’esperienza che ci ha segnato e si entra quindi in contatto con una propria verità profonda. Infine, tutte le verità ascoltate vengono raccolte in una teoria – fondo comune. 

Un momento per noi particolarmente intenso è stata l’immersione del mercoledì mattina, anche perché è stata una specie di “reazione a catena” emotiva. T. stava raccontando un suo vissuto personale e a me, Giulia, sembrava che lei non riuscisse ad esplorare fino in fondo questa dinamica e si bloccasse nel pianto, quando magari aveva più bisogno di tirare fuori tramite un urlo. Ho comunicato questa cosa a N. e lei mi ha invitato a riportare questo a T. e ad accompagnarla nell’urlo. Quindi le sono andata vicino ed ho provato ad urlare con lei, ma senza grossi risultati. La dinamica si è poi spostata su di me e sul perché io avessi bisogno di urlare. Quindi è entrata in campo anche mia madre e ho provato ad esprimere la mia aggressività verso di lei e verso le sue assenze in epoca adolescenziale. Dopo averle detto un paio di cose e urlato contro “stronza”, i conduttori mi esortavano a continuare ma io ho sentito che quella dinamica era ormai esaurita e che c’era qualcosa di più profondo che stava emergendo: il lutto ancora irrisolto della nonna, avvenuto oramai 17 anni fa. Quindi mi sono sciolta in un pianto e sono stata accolta dalla nonna vicaria A., in un intenso abbraccio accompagnato da una ninna nanna. Io, Patrizia, ho vissuto un’esperienza emotivamente molto intensa, non tanto per i contenuti, che già sapevo, ma per il fatto di trovarmi in quel contesto, di sentire che il dolore e tutta la rabbia che in precedenza mia figlia ha vissuto si presentava in quel momento. Mi ha colpito anche il fatto che la conduttrice ci abbia invitato a “togliere il sorrisino” che poteva avere la funzione di smorzare l’intensità del dolore o di fare “buon viso a cattiva sorte” come a volte io faccio. Sono stati minuti intensissimi, laceranti, che mi hanno fatto provare un dolore immenso, ma allo stesso tempo una forza immensa: la capacità di stare ferma e zitta di fronte a una verità e di sentire che tutto questo aveva un senso. In quel momento ho inoltre iniziato a capire l’importanza di non scappare davanti al dolore, bensì di accoglierlo per poter poi sperimentare una gioia più piena e consapevole. 

Successivamente a questo momento mattutino io, Giulia, ho sentito il bisogno di fare vuoto e silenzio, di iniziare a rielaborare questo lutto stando per esempio in giardino e abbracciando un albero. Poi, nel pomeriggio, sentivo che il cordone ombelicale che mi lega a Patrizia, nonostante gli insulti che le avevo rivolto, si era come rinsaldato, sentivo la vicinanza nonostante fossimo lontane nella stanza, e il bisogno di cercarla ogni tanto pure con lo sguardo. 

Un’altra cosa che mi ha colpito di questa immersione è stata la reazione a catena, io mi sono attaccata ad un vissuto di T., poi L. si è attaccato, e rispecchiato, in un mio vissuto… un po’ come una sorta di tornado emotivo che scende sempre più in profondità.

Rispetto al fondo comune è stata per noi molto interessante la scelta del titolo per opposti di martedì su cui fare teoria: “Mi devo lavare i denti, ti puzza l’alito”. Questo titolo è stato proposto da F. e scelto da V. e, nonostante la sua apparente assurdità, ci ha guidato in uno sforzo intellettivo e teorico che un titolo più descrittivo non ci avrebbe fatto fare, facendo emergere varie teorie anche molto personali. E’ stato bello inoltre poter accogliere la sfida così lanciataci dall’adolescente V. e dimostrarle che stavamo al suo gioco, perché questo era poi anche il nostro gioco. 

Giovedì è stato il giorno segnato dal rito mattutino e dall’unità didattica, mentre venerdì e sabato si sono svolti i bilanci, introdotti dalla pillola nel tiglieto. 

Le due giornate finali iniziavano quindi un’ora prima, alle 8.30, orario per me, Giulia, difficile, dato che amo poltrire a letto la mattina. Nonostante ciò la ricchezza di questa esperienza mi ha fatto rinunciare molto volentieri all’ora di sonno in più, poiché il nutrimento del sonno era ampiamente compensato dal nutrimento che ci davano le parole e la presenza di Mariano. 

Siamo state entrambe molto colpite dall’eterogeneità del gruppo e dalla ricchezza che questa stessa portava. Io, Patrizia, pensavo che sarebbe stato difficile scambiare con persone con un disagio diverso o maggiore rispetto a quello portato da Giulia e mi chiedevo anche che utilità avrebbe potuto avere un’esperienza del genere per mia figlia. Ho constatato invece che ho abbattuto gradualmente questo pregiudizio attraverso l’esperienza quotidiana con i vari componenti del gruppo.

Anche accettare di dormire insieme a due persone sconosciute è stata per me una piacevole scoperta di condivisione, di conoscenza e di arricchimento. 

Io, Giulia, ho fatto mio il principio di “epochè” (sospensione del giudizio) a cui ci ha invitato Mariano il primo giorno, in primis verso me stessa, e ho cercato di vivere la settimana partendo in primis da me. 

Del gruppo mi ha colpito il fatto che gradualmente, nonostante la nostra diversità, riuscivo pian piano a trovare una buona chiave per entrare in contatto con tutti i vari componenti, sempre però partendo da una mia curiosità verso di loro e non da un “senso di accudimento o di aiuto forzato”.  

Un’altra cosa che ci ha colpito è stato il gruppo di conduzione. Il fatto che fossero tutti ancora persone in crescita e in cammino, e che quindi si mettessero sulla nostra stessa barca. La loro numerosità ed eterogeneità che permetteva una conduzione a 360°. La buona fetta di percorso e di cambiamento personale che tramite questo Metodo avevano già realizzato. 

Infine ci è piaciuta la centralità che è stata data all’importanza sia del gruppo come strumento di crescita che di ognuno di noi, che poteva in ogni momento diventare “enzima” per l’altro e per se stesso. 

Grazie di cuore a tutti per questa bella esperienza e a presto rincontrarci. 

Un abbraccio (di almeno 30 secondi 😊) 

Giulia e Patrizia

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