DAI DIARI DEI TRANSUMANTI: “ciò che conta non è la grandezza di uno spazio, ma la voglia di condividerlo”

21 Marzo 2018. Fa il suo avvento l’Equinozio di Primavera, “Equus nox”, l’equa notte, ovvero un periodo del ciclo vitale in cui tutte le forze universali opposte e complementari tra loro raggiungono un perfetto equilibrio, a partire dagli antenati più importanti, il Sole e la Luna, che alternano equamente buio e luce. È un tempo in cui l’Equinozio nella metà del nostro Cielo si manifesta col sorgere della Primavera, ma qui sembra essere spuntato l’inverno.

                                 

                                               

 E così, causa maltempo, l’Alsa Cerignola che in questo giorno aveva programmato di ospitare gli ambasciatori del Transu.Mas, riorganizza le sue attività in linea con le infinite, dinamiche e complesse manifestazioni della natura, mostrando così una ammirevole flessibilità rispetto alle circostanze: questo sarà il primo modo di una lunga giornata in cui sperimentare teoria/prassi. Nel cambio di programma, Saba, Eugenia e Paola accolgono i transumanti Gabriella, Filippo, Maurizio, Antonietta, Marcello, Silvana, Giovanna, Rocchina e Luigi e insieme sfilano in una processione di auto sotto la pioggia attraversando il corso principale della città.

Dopo una prima veloce conoscenza del centro cittadino, Paola apre la porta di casa agli ospiti in attesa di un pranzo variegato ed eccellente reso possibile dalla cooperazione di ogni componente dell’Alsa Cerignola; ognuno di loro infatti ha contribuito nella preparazione di piatti tipici della tradizione culinaria cerignolana con l’intento di far conoscere ai transumanti i sapori specifici del territorio. Attorno alla tavola si riuniscono ben diciotto persone tra le quali si aggiungono Rita, Mino, Simona, Fabio, Michele e Ottavio. Quest’ultimo, da degno padrone di casa, apre il pranzo con un discorso d’accoglienza. È proprio questo spirito aperto e sincero che permette a Filippo, dopo un primo impatto all’insegna della tensione, di testare coi suoi codici profondi la genuinità dell’accoglienza che lo abbraccia: il pranzo non è stato organizzato sul piano simbolico del dovere come funzione/ruolo, ma sul piano biorganico del piacere.

                                                  

 Per queste ragioni gli embrioni abbandonano le prime legittime difese-resistenze rispetto ad una situazione inedita e si dimostrano subito collaborativi nell’imbandire tavola. Convivialità, brio, armonia e leggerezza contraddistinguono questa prima parte della giornata. Il relax che ne scaturisce è evidente attraverso il garbo dei gesti con cui Marcello e Luigi mangiano diligentemente senza essere egoisti, invadenti o prevaricatori: al contrario approcciano al cibo condividendolo con gli altri, chiedendo sempre prima di prenderlo. È questa un’importante dinamica durante la quale avviene spontaneamente il riconoscimento “Dell’altro da me”, ovvero la consapevolezza dei confini analogici tra la propria specificità e quella altrui: ciò richiede necessariamente la presa di coscienza che i bisogni degli altri sono importanti quanto quelli propri e che il cibo è nutrimento per tutti.                                                                                            

Dopo pranzo, nel pomeriggio ci si dirige verso un luogo simbolo di Cerignola. Alle ore 16 infatti, lo spirito d’accoglienza vede il suo passaggio del testimone nella persona del professor Galli, che si rende prontamente disponibile ad aprire, in via del tutto eccezionale, le porte del Polo Museale Civico. Questo si articola in tre sezioni, ovvero Museo del grano, Museo multimediale del Piano delle Fosse Granarie e la Galleria dei cerignolani illustri. In un primo momento, il professore mostra il suo orgoglio patriottico nel raccontare la storia di alcuni cittadini come Zingarelli e Di Vittorio, suscitando l’interesse dei transumanti che ascoltano attenti. Poi è la volta del Museo del grano, sezione in cui la capacità di Galli di esporre la storia e le tradizioni del territorio cerignolano è straordinaria.

                                                    

 Lo dimostra l’interazione partecipe tra lui e i ragazzi che attraversando il fiume delle varie sale, scoprono il valore della cultura contadina, le tecniche in agricoltura e la lenta ciclicità delle stagioni. Il Museo del Grano è dedicato principalmente alla conoscenza del ciclo di coltivazione di questo cereale fortemente legato alla tradizione agricola cerignolana, non a caso storicamente, i ragazzi scoprono che il grano è stato il cardine dell’economia della città che li ospita: attraverso questo modo didattico ma anche ludico, ognuno di loro torna ad aver presente l’importanza del contattare l’umiltà feconda delle proprie radici, non solo fisiche ma anche e soprattutto biorganiche. In particolar modo Filippo riesce a far danzare il simbolico derivante dai suoi pregressi studi di Ingegneria con la curiosità più profonda nel momento in cui gli vengono mostrati gli utensili usati dagli avi: rimane più di tutti affascinato dall’uso specifico di ogni attrezzo e strumento utilizzato per la campagna. Una volta entrati nella sala del Museo Multimediale, ultima tappa di questo avvincente viaggio alla scoperta delle origini, di fronte allo scorrere sugli schermi delle diverse immagini del grano e delle tecniche adottate in agricoltura, Galli parla proprio del fenomeno della transumanza nel meridione. Da qui, all’interno di questa sala buia e avvolgente che sembra scenicamente rispecchiare la Profondità oscura e misteriosa, i nostri ospiti hanno modo di ricollegarsi all’importanza d’essere Vitonauti dell’Esistenza e che per rimanere protagonisti attivi del C.E.U., ovvero del ciclo esistenziale universale, è necessaria la transumanza: mettere se stessi e i propri codici in movimento, talvolta spostandoci anche fisicamente laddove sentiamo che c’è nutrimento a cui attingere.

E fu mattina e fu sera…

Il passaggio del testimone è ora nelle mani di Rita. Il sole va a nascondersi all’orizzonte, cala la sera e fuori è ormai buio, come buie sono le stanze della casa di Emanuela da quando lei non c’è più, ma si muove e bisbiglia in una dimensione altra. È per questo che Rita, attraverso l’accompagnamento devoto di Paola e Saba, si affida a loro e abbandona il timore che la casa sia troppo piccola per accogliere tante persone e che ciò che conta non è la grandezza di uno spazio, ma la voglia di condividerlo. Con un amorevole gesto simbolico decide di aprire le porte dell’abitazione di sua madre. Si accende una luce che rischiara le sue stanze e ridà così vita alla casa, ora gravida di nuovo spirito, quello dei transumanti, anime migranti che impregnano i muri col cuore pulsante delle loro storie. Sono persone venute dai più disparati luoghi d’Italia, stormo di rondini venute a fare Primavera nonostante la pioggia battente della vita. La loro bellezza però è rimasta preservata perché i singoli vissuti sono testimonianza di quanto lo spirito di ricerca abbia loro donato la forza per scalare le montagne anziché arrestarsi di fronte agli ostacoli che ogni cammino ha posto avanti. Grazie a questa potente sinergia di spirito, Rita nel raccontare a Maurizio gli ultimi mesi di vita di Emanuela, si scioglie in un pianto.

                                                     

 Poi nel mostrare la casa, racconta a Luigi chi l’ha abitata, colei che è l’antenata di quello spazio e così facendo gli mostra la foto di sua madre, dietro la quale vi è una dedica: Luigi comincia a leggerla ad alta voce ma si coglie l’occasione per renderla nota anche agli altri. Rita incarna lo spirito conviviale e generoso di Emanuela, abbraccia Luigi e quella che ne consegue è una magica empatia tra i due. Infatti Lugi si presta a recitare la dedica con voce penetrante, profonda e viscerale, in una regale compostezza che spiazza e commuove tutti. Si avverte quanto sia sensibile al tema della morte del materno.

                                                    

 Dopo averlo ringraziato di cuore, Saba apre il rito del tè con una ricca merenda a base di ciambelle e ottimi dolci preparati da lei stessa. Nel frattempo, si uniscono al resto del gruppo Franco e Silvia. Intanto, Eugenia e Paola captano il bisogno di Gabriella, mamma di Filippo, di autorizzarsi a raccontare la sua storia. Infatti, si comprende quanto sia fondamentale il valore di questo progetto, perché spesso gli accompagnatori e i genitori degli embrioni si distendono nell’abbraccio della rete e si aprono coi loro vissuti. Nel calore di questa atmosfera, tra chiacchiere e risate, la giornata si conclude con un reciproco ascolto dello stato-quiete e il bilancio finale di queste belle ore trascorse in compagnia. 

Scritto da Silvia su testimonianza di Rita, Paola, Eugenia e Saba

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