Aula didattica globale “Gianna Stellabotte” (FG), mercoledì 24 dicembre 2014. NATALE AUREO. SALOTTO LETTERARIO GLOBALE SUI “LIBRI DELL’ODISSEA”.

FONDAZIONE NUOVA SPECIE ONLUS



Registro Persone giuridiche n. 429
Prefettura di Foggia
 







NATALE AUREO 2014.
PRIMO POMERIGGIO:
SALOTTO LETTERARIO GLOBALE.
I Libri dell’Odissea.







Il tempo di festeggiare il Natale Aureo inizia il pomeriggio della vigilia con un grande e-vento: il Commento globale all’Odissea. Un momento atteso in cui Mariano ha saputo regalarci un concreto e meraviglioso esempio di quello che significa effettuare la Ricerca dei Me.Me. (Mediatori Metastorici). Tale ricerca implica sondare profondamente aree di conoscenza e memoria storica per trovare il fondo comune che esprime il viaggio della vita, le strutture di trasmissione del sapere che appartengono ad una cultura, un gruppo, un periodo, un ecosistema…
I Me.Me. sono ovunque. Credo che la loro ricerca sia importante per aiutarci a riconoscere un fondo comune dell’esistenza che le divisioni prodotte dalla Storia e dalle sue versioni più maschili hanno cancellato o escluso. 

Un terreno di ricerca che in parte è stato già sondato in questi anni è sicuramente quello della letteratura e della mitologia. La teoria sulla vita che scaturisce dalle fiabe e dai miti, come abbiamo già riscontrato nel corso di numerosi Pomeriggi Letterari Globali, risponde infatti al tentativo di portare alla luce e decodificare i nuclei profondi che sono qui espressi in modo metaforico. Nuclei che ritornano a noi e che possono illuminare poi la nostra prassi e il nostro cammino.
In questo senso, l’Odissea di Omero è una vera e propria biblioteca di Me.Me. Il viaggio di Ulisse ha affascinato per secoli gli esseri umani proprio perché consente ad ognuno di noi di riconoscersi e ritrovarsi nelle sue varie tappe. Il commento di Mariano che cercherò di riportare in sintesi, è stato così l’occasione per rendere omaggio ad un grande antenato della nostra cultura e soprattutto un modo per aggiungere un nuovo tassello alla teoria globale che coltiviamo.   
Cos’è la mitologia? Non è solo una spiegazione sull’origine delle cose ma anche il racconto di come la Storia s’incarni nella Metastoria. Di come, l’In.Di.Co., rappresentato dagli Dei, intervenga con le sue varie sfaccettature e sfumature nella Storia degli uomini modificandola e facendola procedere. E’ un’ipotesi di creazione che nasce proprio dalla relazione tra due entità: gli uomini (storia – maschile – neonato) e gli dei (Metastoria – femminile – madre).
Nella mitologia greca ed in particolare in quella omerica ci sono due importanti concetti che fanno da sfondo e offrono un’importante chiave interpretativa. Il concetto di Hybris e quello di Nemesis.
Il primo significa “esagerazione” e si riferisce al senso di rabbia, prevaricazione, furore. Il secondo è il nome della dea della vendetta e della giustizia. Implica la perdita ed il doloroso tornare in equilibro dopo un episodio disarmonico. 
 
Hybris [ὕβϱις] e Nemesis [νέμεσις] sono strettamente collegate. Vivere di Hybris significa focalizzarsi  su una parte sola e perdere il senso del tutto. Ogni esperienza psicotica crea una disarmonia che poi va corretta. Più si vive di Hybris e più quindi la Nemesis sarà lunga e travagliata. Più ci siamo allontanati dall’intero e più per tornarci dovremo spogliarci delle soluzioni e le pesanti strutture che ci siamo creati.
 
In questo senso, l’Iliade rappresenta l’Hybris e l’Odissea la Nemesis.
Nel primo poema epico di Omero a prevalere è infatti l’aspetto bellico, centrale in tutta l’opera e capace di condizionare univocamente la vita dei protagonisti.
Nel secondo, Ulisse affronta il viaggio di ritorno ad Itaca perdendo pezzo dopo pezzo tutto quello che lo aveva accompagnato sino a quel momento per giungere infine ad una rinnovata e più autentica armonia.
Vent’anni dura il viaggio di Odisseo. Dieci anni di guerra sotto le mura di Troia e dieci anni per mare affrontando una prova dopo l’altra. E’ la storia della sua trasformazione dall’essere il Re astuto e guerriero che tutti ricordiamo per lo stratagemma del cavallo all’essere un Regnante pacifico che si è ricongiunto con la propria terra. 

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E’ molto bello il parallelismo tra Mosè e Ulisse che Mariano propone. Il primo arriva a chiamare il suo popolo dopo aver lavorato su se stesso e aver scoperto in qualche modo le proprie radici. Il secondo parte già da un popolo, una famiglia e una patria ma perde tutto proprio perché prima deve lavorare su se stesso e solo successivamente li ritrova.
La guerra, in questa caso rappresentata dall’Iliade, potrebbe anche essere un modo per allontanarsi da uno stato quiete buono ma statico che ci siamo ritrovati ad avere ma che non sentiamo profondamente come nostro.
Il mare è la meiosi che ci riduce per poter ritornare rinnovati al nostro ontologico.  
L’Odissea si presta dunque a molteplici interpretazioni e può essere messa a fuoco con diverse lenti. Secondo il Quadrangolare, la Guerra di Troia è l’angolo  α, la nostalgia di casa è l’angolo β, il viaggio di ritorno è il percorso β – γ mentre l’arrivo è a Itaca è l’angolo π. Allo stesso modo, la Guerra di Troia può essere vista come l’apice del viaggio disagico, punto di distanza e distinzione massima da Itaca (prima fase del crossingover). Per tornarvi è necessario dunque invertire il flusso e partire per un viaggio nostalgico che implica il riattraversare tutti i codici.
 
 
Mariano, infatti, associa le prime due tappe al codice simbolico. Questo può essere inteso come gli schemi e i valori da cui proveniamo che condizionano la nostra azione. Nella terra dei Ciconi, Ulisse e  i suoi, appena salpati da Troia, replicano il comportamento che hanno acquisito nei lunghi dieci anni di guerra. Si danno quindi al saccheggio e alla rapina e riproducono mitoticamente lo schema a cui erano abituati. Un inizio di angolo β e femminile è tuttavia riscontrabile nell’incontro e scambio pacifico e proficuo che Ulisse fa con Marone, un sacerdote di Apollo, che dona all’eroe dodici anfore di vino che si riveleranno poi fondamentali per superare il ciclope Polifemo.
 
La seconda prova da affrontare nell’ambito del codice simbolico è quella del virtuale rappresentato dall’isola dei Lotofagi, mangiatori del loto che fa perdere la memoria e quindi il senso del viaggio. Qui il rischio è di addormentarsi e sentirsi virtualmente ad Itaca quando in realtà si è altrove. Proprio Ulisse saprà richiamare i compagni alla realtà e riprendere il viaggio.
L’attraversamento del codice analogico inizia nella terra di Polifemo. Ulisse, come ricorderete, riesce a spuntarla con la sua proverbiale astuzia in casa d’altri ovvero nella caverna del celebre Ciclope ma è ancora troppo pieno di sé e poco umile. Invece che sfruttare l’assenza del pericoloso inquilino per fare rifornimento e ripartire alla svelta, Ulisse si perde in ragionamenti frutto più del suo senso di onnipotenza che del globale massimo del viaggio. Il tempo perso fa sì che avvenga l’incontro con Polifemo e che questi, per quanto sconfitto e accecato, riesca comunque a mangiare alcuni uomini dell’equipaggio e soprattutto a indurre il padre Poseidone a rendere un inferno il viaggio di ritorno di Ulisse.
 
Nella terra dei Lestrigoni il fallimento dell’eroe è evidente. Qui viene umiliato e ridimensionato dai Giganti cannibali che fanno a pezzi e divorano numerosi compagni di Ulisse. Da questo territorio, in cui ha subito pesantemente l’analogico altrui, riesce a scappare conservando una sola nave.
Il viaggio, sempre più meiotico, lo porta ad attraversare anche il codice bio-organico prima passando da Circe dove vive l’innamoramento e la beata staticità che può trasformarci in maiali e poi nell’Ade dove ha la possibilità di chiudere cerchi che erano rimasti aperti. Proprio affrontare i fantasmi e la morte rappresentati dalla madre e i suoi vecchi compagni, fa ricontattare ad Ulisse una parte profonda di sé e lo spinge a ripartire con più determinazione.
Le successive prove che lo attendo servono infine a verificare il proprio codice ontologico dopo aver attraversato gli altri tre. Affrontare un esterno serve in questo caso per valutare le proprie competenze. Ulisse supera quindi il canto ammaliante delle Sirene grazie alle funi che lo tengono legato all’albero maestro e alla cera che i compagni hanno messo nelle orecchie. Le Sirene ci colpiscono proprio nei nostri punti più deboli e senza l’umiltà di affidarsi a degli accompagnatori è impossibile resistervi. 
Il passaggio tra Scilla e Cariddi costringe il nostro eroe ad affrontare la paura della scelta. Il vortice che risucchia le navi o il mostro che divora tanti naviganti quante sono le sue teste (sei)? In ogni caso, tale transizione implica la perdita. Perdita che ancora una volta si rivela necessaria per mantenere la rotta verso Itaca.

L’ultima prova è quella di saper resistere alla soddisfazione immediata dei bisogni per tutelare un globale massimo più ampio. In questo caso, i compagni di Ulisse, nonostante le raccomandazioni del loro capitano, uccidono e mangiano le vacche sacre del Dio Sole. Metafora di un maschile che vuole tutto e subito senza aspettare, saranno puniti da una forte Nemesis rappresentata da una violenta tempesta che vedrà come unico naufrago superstite proprio Ulisse.
 
L’eroe giunge infine da Calipso. Ormai ha perso tutti e tutto. Esausto e rimasto solo, rimane nell’isola di Ogigia tra le braccia di Calipso per ben sette anni. Qui Ulisse vive probabilmente il senso di fallimento e pensa di non tornare più a Itaca. La vita, prima di darci nuove opportunità, ci umilia e ci toglie tutto.
Tuttavia, è proprio ad Ogigia che inizia a emergere in lui la vera nostalgia. Ulisse scopre che nonostante l’amore di Calipso c’è qualcosa che ancora non lo soddisfa e nasce il progetto di tornare ad Itaca che l’eroe riconosce questa volta in modo più autentico, liberato dalle vecchie scorie che l’avevano spinto in mare per anni per espiare la sua Hybris. 
L’intervento degli dei ed in particolare di Atena, che rappresenta la vera regista metastorica, è provvidenziale. Ulisse riparte, affronta ancora vento e tempeste e prima di giungere ad Itaca passa per l’Isola dei Feaci dove viene accolto e nutrito.   
La tappa nella terra dei Feaci è l’opportunità di raccontare il vissuto del proprio viaggio e quindi di fare l’albero della conoscenza. L’eroe può quindi fare teoria su quello che gli è successo e prepararsi al ritorno in patria accompagnato dai Feaci che si rivelano una vera e propria IV^ dimensione.     
Nel frattempo, mentre Ulisse era alle prese con le sue peripezie, anche il figlio Telemaco, accompagnato da Atena, era partito alla ricerca del padre stanco della presenza invasiva dei Proci che insidiavano sua madre e il suo regno. Il giovane ha così l’occasione di avvicinarsi alla figura del padre ricostruendone la memoria Storica e innamorandosene gradualmente. 
I due si ritrovano proprio ad Itaca dove Ulisse giunge travestito da mendicante. Qui inizia finalmente la fase del “cross” e dell’“over”, dove Ulisse progressivamente si rivela a coloro che gli erano rimasti fedeli. Il primo a riconoscerlo è infatti il vecchio cane Argo, quindi Telemaco, il servitore Eumeo e la nutrice Euriclea. Ulisse non può rivelarsi subito a Penelope ma deve prima trovare degli alleati e creare degli antefatti. 
Quando ci allontaniamo a lungo da parti nostre, ci vuole tempo per riprendercele ed estirpare l’erbaccia che è cresciuta nel nostro territorio abbandonato in questo caso incarnata nei Proci.   

Per riconquistare il nostro territorio ad essere determinante non è il ruolo ma la nostra specificità. E’ così che Ulisse può finalmente uscire allo scoperto imbracciando e tendendo l’arco che nessuno riusciva a tendere nella gara indetta per assegnare un marito a Penelope. Ulisse, Telemaco e gli altri riescono così a vendicarsi dei Proci e ne fanno una carneficina.

Gli ultimi a riconoscere Ulisse sono proprio, in ordine, sua moglie Penelope, suo padre Laerte e la sua isola Itaca. Penelope e Laerte chiedono addirittura una prova, un ricordo che solo Ulisse aveva condiviso con loro e che dimostrasse quindi la sua identità. Itaca, prima di riconoscerlo come Re portatore di pace, rischia di essere dilaniata da una guerra civile scatenata dai familiari dei Proci e dei compagni di Ulisse che non sono più tornati. Anche in questo caso è determinante l’intervento di Atena, metafora dell’In.Di.Co. (Infinito Dinamico Complesso) che interviene a completare l’opera dell’Eroe là dove questo non può arrivare. 
 
Proprio il finale rivela come i rapporti più forti e profondi che noi vorremmo come più semplici e da cui ci aspettiamo in primis di essere riconosciuti sono in realtà gli ultimi a cui approdiamo. 
Così si conclude un viaggio meraviglioso che anche mentre scrivevo rievocava tanti parti mie e mi faceva immaginare Ulisse con il mio volto. Il suo viaggio è durato venti anni e nella versione omerica è presentato secondo una scansione rigidamente embriogenetica: 10 anni per allontanarsi e 10 anni per tornare. Non sarebbe possibile immaginare per le nostre vite un ciclo più armonico, breve e continuo? Una Ilissea??
Grazie Mariano anche per questa ennesima e profonda intuizione.
Grazie anche per aver proposto Cindy e il sottoscritto come coordinamento per la Ricerca dei Me.Me. Per chi ha vissuto i miti e le fiabe come ancora di salvezza e surrogati di un viaggio che non avveniva nella vita ma solo nella fantasia, sentire che oggi proprio loro possono accompagnarci e aiutarci a riconoscere le tappe del nostro viaggio reale, è liberatorio e risanante.  

Martino

2 Commenti

  1. betta fenu

    Un post chiaro, forte che arriva e ti fa rivivere emozioni, e stimola teoria. grazie Martino per questa traccia globale. Con stima Betta
    Betta

  2. Sandrasa V.

    bellissimo e profondo questo post….si intravede leggendo la condivisione passo passo delle varie tappe sia nel vissuto di chi lo scrive….ma anche di chi lo legge…Grazie Martino… per l'aver incarnato… e tanto.. grazie Mariano per averci permesso di comprendere ed incarnare…
    Un abbraccio
    Sandra V.

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