Ca’ Marco – Urbania (PU), martedì 24 dicembre 2013. UNA VIGILIA CON I PRODROMI.

UNA VIGILIA CON I PRODROMI:
DALLA “FINE DEL NULLA”
AL “RACCONTO DEI NATALI”
VISSUTI DA MARIANO.

Questa vigilia è stata una vigilia speciale… perché è iniziata prima di quello che avevamo programmato… perché è uscita un po’ dai soliti schemi… perché si è annunciata profonda e travagliata già dai giorni precedenti.


Tutto doveva iniziare alle 17.00, orario che avevamo deciso per l’inizio del racconto globale di Mariano rispetto ai “Natali” da lui vissuti a partire dalla cultura contadina. 
Invece no, l’immersione nei codici più profondi inizia prima: a mezzogiorno Cristian ed io ci ritroviamo con Mariano al “giardino d’oriente “ a travaglio iniziato: è solo la prima fase, quella appunto dei prodromi, ma è un momento molto importante in cui Mariano inizia a dare voce alla sua tristezza  rispetto a quel diciottenne incompreso che lui è stato 47 anni fa, la delusione profonda rispetto agli accompagnatori di allora, dolore rispetto a questi 47 anni passati ad affannarsi senza sosta, senza un momento di tregua e di respiro.

Il sole è già alto e splende, non sembra nemmeno inverno, è sorto poche ore prima proprio affacciato al “giardino d’oriente”, che, come si capisce dal nome, è un luogo di molti inizi, di diversi travagli importanti dei “P.I.P.” (Percorsi Interiori Profondi) accompagnati proprio dall’ ostetrica Mariano
Sento una cosa buona il fatto che invece questa volta sia stato il suo momento favorevole, il suo inizio di travaglio.

I prodromi non sono ancora il travaglio attivo, diciamo che sono una fase preparatoria dell’utero, una specie di avvertimento che inizia piano piano per l’utero, per il canale da parto, per la partoriente, ma anche per il feto che dovrà apprestarsi a compiere l’ultimo  viaggio per diventare neonato. 

E’ una fase in cui la partoriente, in questo caso il partoriente, è ancora inserita negli accadimenti esterni ma in cui inizia la fine dell’attività verso l’esterno, inizia una fase di introspezione, ci si affaccia all’universo interno, al fare vuoto ed espellere tutto quello che non serve al parto, tutto quello che appesantisce.

Il titolo scelto da Mariano, del racconto del pomeriggio è “LA FINE DEL NULLA”, perché applica questa teoria proprio al Natale per come è vissuto nella nostra etno-cultura.

“Perché la fine stava già nell’inizio. Ognuno vede l’inizio  delle cose ma non vede la fine che già c’è, che è già compresa nell’inizio.”

Propriamente, nel caso del Natale festeggiato come la nascita di Gesù, la fine è già compresa , trattandosi di un’invenzione, perché Gesù non è nato il 25 dicembre ma è il sole che rinasce e ricomincia ad allungare le giornate proprio alla fine delle giornate del SOLSTIZIO d’inverno, comprese dal 21 al 24 dicembre, durante le quali il sole sembra che “sta fermo”.


In molte culture è stato, quindi, abbinato la rinascita del sole alla nascita delle divinità fra le quali Gesù, Budda e altre divinità egizie, assire e babilonesi.

Rimane comunque un falso storico.

Facendo invece una teoria più profonda proprio sul Natale cristiano, Mariano ci accompagna a riconoscere la metafora della storia della nascita di Gesù bambino, applicato alle nostre storie, alle storie dell’umanità intera dove, come nell’arrivo del Messia, l’arrivo di un nuovo  nato in una qualsiasi famiglia porta scompiglio, cambiamento sia in positivo che in negativo.

Pensando proprio alle persecuzioni di Erode che, secondo la bibbia, fece uccidere tutti i bambini nati in quel periodo, possiamo rivedere la rabbia generata dalla paura di una madre o un padre rispetto alla nascita di una nuova vita che potenzialmente porta morte e pericoli per le situazioni “stato quiete” esistenti.

Come è stato per Dina dopo il parto di Ombretta, trovandosi lei sola senza la sua famiglia d’origine e con un marito della cultura di allora che non è riuscito ad accogliere le sue paure. Dina si sente invasa da quella nascita che ambivalentemente porta sia novità e vita ma anche morte e pericolo.
Ombretta che, come molti di noi, come Gesù, si è trovata già da neonata a dover affrontare una situazione in cui non è stata accolta “per quello che solo lei è” ma come generatrice di pericolo, morte e cambiamento. Come Gesù che è dovuto nascere in povertà, in una stalla al freddo e perseguitato.


Questo è quello che purtroppo è stato e viene vissuto spesso rispetto alle nascite, ai natali ed è, quindi, un po’ il significato storico delle catene e dei nodi che ci imprigionano. In realtà il Natale, il solstizio d’inverno non è altro che un evento astronomico che ci fa vivere la relazione fra terra e sole, fra luce e tenebre.

Che cos’è allora il solstizio d’inverno in realtà o cosa dovrebbe essere per noi? Dovrebbe essere un momento in cui il bambino nato, che non è stato riconosciuto dai genitori, possa far svanire sempre di più le “ombrette” di questo nodo storico e fare più luce, più teoria, iniziando a sentire più caldo attraverso la prassi e la messa in opera di questa teoria, come fa la terra  che gradualmente acquista giorno per giorno più luce e più calore con il movimento di rivoluzione intorno al sole e rotatorio attorno a se stessa.


In conclusione il Natale e anche le nostre famiglie d’origine rappresentano la “fine del nulla”, la fine di una storia falsa, vuota di “quello che solo noi siamo”, di quello che il sole è, proiettata ancora in schemi infantili che ci incatenano.

Invece il solstizio ci dà la possibilità metastorica di partire da “ciò che siamo” e andare oltre la storia.
Ma anche di tante nascite di parti nostre in vari periodi della nostra vita, come è stato per Mariano che, nella sua adolescenza a 18 anni, ha partorito il “Progetto Nuova Specie”, che è stata la nascita di parti nuove e inedite che avrebbero (e adesso possiamo dire hanno) portato cambiamento, morte di vecchi schemi e filosofie, pericolo per gli equilibri esistenti.

Per un Mariano diciottenne che si è dovuto vivere le parti Erode dei suoi accompagnatori di allora, vivendosi il loro rifiuto, la loro incomprensione di questo suo parto di un’intuizione grandiosa, che ha dovuto subire la loro paura e il loro allontanamento.

Visto alla luce della teoria globale del solstinizio, possiamo dire che quello è stato la “fine del nulla”, la fine di una relazione di accompagnamento basata già dall’ inizio su fondamenta fragili come il punto di vista religioso che, quindi, già dall’inizio portava la fine dentro di sé. 

La storia è stata questa e ormai è successa. Ha partorito delle cose storiche ma non “quello che noi siamo”. Il solstizio d’inverno (cosiddetto Natale) ci fa vedere che possiamo continuamente generare, che possiamo ciclicamente generare nascite di parti nostre a partire da noi stessi, che possiamo andare oltre ai tanti Erode di paura e rabbia creando una metastoria che diventa la nostra storia… un po’ come ha fatto Mariano in questi 47 anni e che tutti potremo continuare a fare negli anni a seguire.

La fine della serata (dopo cena) è stato un rendere omaggio ai me.me. (mediatori metastorici) della cultura contadina, celebrando il “CHRISTUS”: ovvero, una processione di tutti i presenti in tutte le stanze della casa ospitante, con in mano delle candele che simboleggiano la luce, per benedire e visitare ogni stanza cantando il CHRISTUS e altre canzoni natalizie tradizionali:

Christus natus est,  nobis,
venite adoermus, venite adoremus.
(Cristo è nato oggi a noi, venite adoriamo.)

In prima fila ci stanno i più piccoli della famiglia, nel nostro caso Ester e Nicola, che indossano un asciugamano ricamato sulle spalle e portano tra le mani  un Gesù bambino, per simboleggiare il valore di queste nuove vite-nascite che stanno al primo posto nella processione della vita.

Valentina

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