Rimini, sabato 26 e domenica 27 ottobre 2013. SEMINARIO “AUTISMO O AUTARCHIA”? Duegiorni condotta dal Dr. Mariano Loiacono.

FONDAZIONE NUOVA SPECIE ONLUS



Registro Persone giuridiche n. 429 
Prefettura di Foggia
  
 
 






SEMINARIO
“AUTISMO O AUTARCHIA”,
CONDOTTO
DAL DR. MARIANO LOIACONO.






Sabato 26 e domenica 27 ottobre sono stati due giorni importanti per l’Associazione alla Salute Romagna, il Metodo alla Salute, la Fondazione Nuova Specie e la diffusione di un nuovo punto di vista sulla vita. 
In particolare, ritengo che come Associazione abbiamo dimostrato di essere cresciuti nella capacità di organizzare eventi importanti e nella risoluzione degli imprevisti. Dopo alcune peripezie dell’ultima ora, il seminario sull’autismo si è infatti svolto nella bellissima Sala dell’Arengo, la più grande e prestigiosa sala del Comune di Rimini, simbolo dell’epoca comunale e prezioso cimelio storico della città. Questo anche grazie alla rete di persone che si è creata attorno a noi nel corso dell’anno e che ci ha supportato. Inoltre, abbiamo dato il nostro contributo anche in termini di contenuto visto che tre di noi hanno portato la propria esperienza come esempio di prassi del Metodo alla Salute applicata alla relazione con ragazzi cosiddetti “autistici” o, come li ha chiamati Mariano durante tutto il seminario, “autisti”!

Sì perché da subito Mariano Loiacono ha colto come il mondo dell’autismo, similmente a quello della psichiatria, sia gravato dal peso delle parole e delle diagnosi inconfutabili. Questa “provocazione” iniziale che scuramente ha scosso diversi animi in sala, si è rivelata secondo me molto efficace non solo per alleggerire ma anche per delineare un contenuto autentico. Gli “autisti” infatti, come è emerso più volte, sono davvero capaci di “guidare e condurre mezzi pesanti nel senso che si sono abituati a girare da soli. Nel senso che, grazie ad un nuovo punto di vista, riusciamo a vederli come i più sensibili, coloro che possono “guidare” anche chi sta loro intorno a riscoprire espressioni di vita più intere.

Ogni viaggio verso l’inedito parte da ciò che esiste già. Per questo Mariano ha voluto prendere in esame il DSM ufficiale in cui sono elencati i sintomi che la medicina individua per poter riconoscere una sindrome autistica. L’approccio dell’epistemologia scientifica rimane sintomatico: la presenza simultanea di alcuni elementi come le stereotipie o la compromissione qualitativa del linguaggio comporta la diagnosi di autismo. Tale visione, per quanto rispettabile, appare sempre più parziale perché tautologica e descrittiva. Si limita a definire dei sintomi e ad agire su di essi senza sondare le profondità della persona, senza collocarli in un globale più ampio. Affermare che l’autismo ha base genetica o organica non aggiunge granché. Non viene tutto dai geni, forse? Non è la vita stessa ad avere una base organica?? 
 


Per questo è stato bello vedere come quello che abbiamo potuto sperimentare rispetto ai limiti della psichiatria, vale anche nel caso dell’autismo. Al di là delle parole e delle diagnosi-definizioni, oggi abbiamo un punto di vista inclusivo, che parte dalla punta dell’Iceberg (come ad esempio “la stereotipia” degli autisti) per scendere in profondità e trovare il fondo comune della vita nonché i nodi e le dinamiche di crescita che possono essere riattivate in ciascuno di noi a prescindere dal tipo di patente che possediamo.

La teoria elaborata nel Metodo alla Salute è stata in questo un valido strumento e le Unità didattiche ci hanno offerto un’ottima chiave di lettura che Mariano ha usato sapientemente. 
 

Chi sono infatti gli “autisti” secondo un approccio più globale e vicino alla vita? Individui dotati di una sensibilità estremamente precoce e acuta, cresciuti in contesti in cui mancavano le condizioni per il crossingover, il vero motore della crescita. Individui, che nei primi anni di vita o già durante la gravidanza hanno sentito l’assenza di codici profondi attorno a loro, i tagli del corpo e delle emozioni della famiglia d’origine, il peso eccessivo del razionale. Il crossingover consiste nel sapersi distinguere e nel poter scambiare su tutti i codici. 
Là dove i codici sono tagliati, dove un genitore ha un Graal delle Profondità poco strutturato, c’è spesso confusione e manca la distinzione come premessa per l’intreccio e lo scambio di parti. Il bambino sensibile sente quindi di non poter essere nutrito profondamente da questa relazione e inizia a cibarsi dei propri codici. Si chiude verso l’esterno, si “cannibalizza”, si nutre del proprio codice analogico e bio-organico scavando un pozzo dentro di sé che lo porta a sprofondare, a raggiungere una sostanziale autarchia in cui i bisogni scompaiono. In quest’ottica, l’insorgere di stereotipie o la compromissione del linguaggio verbale rappresentano una conseguenza perfettamente coerente in quanto espressioni di un simbolico povero, anzi di un simbolico sospeso per aria. A cosa serve infatti avere un buon simbolico quando non può essere messo al servizio dei codici profondi sottostanti perché cannibalizzati? Gli “autisti” sono molto onesti e ci sbattono in faccia questa realtà a differenza di molti di noi che hanno gli stessi meccanismi ma che si nascondono ancoro dietro un simbolico efficiente o alle funzioni-ruolo.

La globalità di questo approccio pare più completa e ci consente di vedere delle prospettive di crescita là dove si scambiava il sintomo per il problema. Questo è dimostrato dall’esperienza di Marcello e del padre Diego. Marcello, che ha avuto una diagnosi di autismo a tre anni, è cresciuto in una famiglia di medici che hanno seguito tutto l’iter tradizionale senza ottenere risultati. Solo oggi, una volta approdati al Metodo alla Salute, si sono aperti a un nuovo punto di vista. E’ stato bello sentire Diego riconoscere come il disagio di Marcello lo stia riportando alla povertà dei propri codici. Diego sta lentamente ritrovando l’analogico e il bioorganico, interagisce col figlio usando il corpo e Marcello lo riconosce sempre di più, rinunciando progressivamente all’aggressività e cominciando ad aprirsi lentamente affidandosi maggiormente. Ecco che il crossingover è partito!  

Per farci capire a che profondità dobbiamo scendere per ripescare gli “autisti” e quanta devozione e delicatezza sono necessarie, Mariano ha fatto riferimento ad un drammatico episodio che ha segnato la società italiana nei primi anni ottanta: il 10 giugno 1981 Alfredo Rampi detto “Alfredino” cade in pozzo artesiano situato lungo la via di Vermicino. I fatti successivi, dalla scoperta casuale dell’accaduto ai tentativi di salvarlo, si rivelarono un fallimento totale consumato sotto i riflettori di un’intera nazione che pensava di assistere ad un’eroica impresa di salvataggio. I tentavi grossolani di salvarlo crearono nuovi ostacoli e peggiorarono la situazione. Furono privilegiate metodologie più invasive e d’impatto mentre furono trascurate le soluzioni che invitavano a tenere maggiormente conto della natura del terreno circostante. Anche l’imbragatura che pur si riuscì a portare in profondità si rivelò inidonea a sollevare il piccolo Alfredino. La sua morte fu un vero shock e costrinse il paese a interrogarsi.

Ora, nel corso del seminario, Mariano ha saputo tessere un toccante ed efficace parallelismo tra il dramma di Vermicino e l’esperienza degli “autisti”. Ha paragonato il pozzo in cui è caduto Alfredino a quello in cui sprofondano gli autisti nutrendosi dei propri codici e scavando il terreno sotto i piedi.

Gli interventi grossolani e invasivi dei soccorsi non ricordano forse quelli della medicina che non tiene conto del contesto e del globale in cui è collocata l’esperienza degli autisti? Sondare il terreno circostante non può significare conoscere la storia dei codici delle famiglie d’origine? Giungere in profondità senza avere gli strumenti giusti non può rivelarsi poi una fatica inutile? Ecco, la tragedia di Vermicino ci ha aiutato a inquadrare meglio la condizione degli “autisti”, a vedere quanti aspetti dovremmo considerare a diversi livelli di profondità. 
 
Facendo riferimento al cum-munitometro, il pozzo in cui sprofondano non è altro che l’anello diabolico che inizia con la contrapposizione: tanti “autisti” passano infatti da una fase molto aggressiva che testimonia che non si sono ancora rassegnati alla morte percepita attorno a sé. Una  voglia di lottare che spesso viene spenta agendo sugli aspetti comportamentali attraverso un addestramento su quello che è giusto o sbagliato socialmente. La caduta finisce così rapidamente nelle frantumazione e nella non-vita in cui si fermano. Un’autarchia senza codici e senza metastoria in cui il senso del viaggio della vita e del cambiamento è scomparso.

Così come la morte di Alfredino ha portato alla nascita della Protezione Civile, allo stesso modo la sofferenza degli autisti ci spinge ad andare più in profondità, ad affinare i nostri strumenti, a includere la loro vita in globali sempre più ampi, ad allargare in nostri orizzonti sulla vita stessa. 


Questo è stato in qualche modo dimostrato anche dalle testimonianze che abbiamo portato noi giovani dell’Alsa Romgna. Maria Grazia ha riportato la propria esperienza come insegnante di sostegno di un bambino diagnosticato autistico. Gli enormi progressi riscontrati sono stati possibili grazie al percorso che Maria Grazia stessa ha fatto su di sé, alla capacità di attivare un crossingover partendo dai propri codici. Io e Marinella, invece, abbiamo riportato la nostra esperienza come educatori domiciliari che hanno la fortuna di poter seguire i ragazzi in ambito familiare e avere in questo modo un quadro più globale. Credo che come fondo comune delle nostre esperienze, sia emersa proprio la capacità di partire da noi stessi, di riconoscere meccanismi e parti nostre attraverso la relazione con gli autisti. Si è rivelato per noi importante saper coinvolgere le famiglie, supportati da una teoria e una prassi che prima di illuminare il nostro lavoro, hanno illuminato e illuminano le nostre vite. Personalmente, sono anche molto grato alla mamma di Alessandro (il ragazzino che seguo) per la sua testimonianza in cui ha riconosciuto quanto questo anno di educativa domiciliare sia stato di crescita non solo per il figlio ma anche per lei.

Non sono mancati ovviamente punti di vista diversi e interventi ispirati agli approcci più in voga. Credo tuttavia che questo seminario abbia lasciato innanzitutto una prospettiva. Una prospettiva per chi sente che l’approccio tradizionale è buono ma parziale, per chi crede che anche alla base dell’autismo ci siano meccanismi di vita in cui tutti possiamo riconoscersi. Se non ci facciamo schiacciare dal peso delle parole, delle diagnosi (Mariano ha ribattezzato la sindrome di asperger “sindrome del pozzo di vermicino”!) e quindi della cronicità, possiamo vedere gli “autisti” come gli eroi meiotici più sensibili che ci spingono a fare un ulteriore salto di crescita, ad andare oltre le Colonne d’Ercole.

In chiusura, mi sento quindi di ringraziare Mariano che, mettendo a disposizione il suo sapere e il suo amore per la vita, ci ha permesso di lasciare una traccia importante, di avere un punto di partenza scientifico e profondo, di posare un  primo mattone su un terreno delicato ma fertile. Sono fiducioso. Mi viene in mente la frase di Archimede: “Datemi un punto d’appoggio e solleverò il mondo”! 
Martino Colicchio

2 Commenti

  1. Anonimo

    Buongiorno Martino
    avevo sentito che il seminario a Rimini era stato interessante e partecipato, ora ho capito anche il perchè.
    Complimenti per la sensibilità e attenzione nel comunicare anche a noi quanto avvenuto.
    Colgo l'occasione per farti gli auguri di BUON ONOMASTICO
    "Con un solo punto , Martin(o) sta costruendo una cappa!"
    Lucia T.

  2. Unknown

    Come neuropsichiatra infantile mi sento di confermare la pochezza degli interventi terapeutici tradizionali, pur buoni; e che se non si interviebne adeguatamente sulle famiglie, i risultati sono scarsi.
    Buona giornata a tutti

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