S. Giovanni Rotondo (FG), domenica 7 luglio 2013. CORSO APPROCCIO GLOBALE ALLA COPPIA. Quinto e ultimo giorno.
Prefettura di Foggia
ASSOCIAZIONE ONLUS ALLA SALUTE – FOGGIA
nel reg. gen. assoc. Volontariato col N. 305 – d.r. 56 del 25 maggio 1998
Via Candelaro 98/A – 71100 – Foggia
CORSO “APPROCCIO GLOBALE
L’ultimo giorno di corso (“Approccio globale alla coppia”), si apre con Stefano, eroe meiotico di Martinsicuro, che abbiamo conosciuto nell’accoglienza del primo giorno. All’inizio era molto timido e la prima ad accoglierlo fu Francesca di Taranto, così che per questo ultimo giorno di corso, Stefano troverà il coraggio di chiedere proprio il suo accompagnamento per un ultimo ballo: “Un mondo d’amore” di Gianni Morandi.
Non avevo mai prestato tanto ascolto a questo brano, come anche altri, quanto qui nel corso. Non solo, tutti mi sono sembrati più belli, di nessuna canzone avrei cambiato una sola frase. Il motivo è dato dall’utilizzo di altri codici, più profondi di quello esclusivamente razionale, così da trovarmi più aderente ad ogni cosa, senza l’embolo del pensiero che mi ha più volte portato a dubitare di tutto fino ad immobilizzarmi. Ma questa sensazione di pace con me stesso, di abbandono derivante da una crescente fiducia nei confronti dell’utero devoto dove Mariano ci ha invitato ad accomodarci, non è solo una mia sensazione.
Mariano la riconosce da subito in Ulriche, il suo volto è più rilassato, lei è più bella, come ringiovanita, tornata bambina tanto da poter finalmente sperare di passare “per la cruna di un ago”, e anche lei guadagnarsi il paradiso, dopo tanta sofferenza. Glielo diranno in tedesco Valentina e Victoria, nella lingua della infanzia di tutte e tre. Mariano non conosce il tedesco eppure ammette di capire quasi tutto di ciò che si dicono prestando attenzione ai codici più profondi di quello esclusivamente simbolico delle parole. Sono quelli i linguaggi più aderenti al reale, al vero di ciascuno, e di tutti, in una prospettiva metastorica. Così Mariano continua ad invitarci a diffidare delle parole.
Dirà proprio questo a Lucia Tamburri, grande protagonista insieme a Grazia e Sabrina, della splendida organizzazione del corso. In particolare l’esortazione è quella di suonare il tamburo, come ricorda il suo cognome, piuttosto di razionalizzare. E quella del tamburo va ad incastonarsi in una serie infinita di coincidenze che sempre si susseguono nei corsi di Mariano, poiché la coincidenza è figlia della Metastoria, e il tamburo è il suono primordiale del cuore, che precede le parole, a cui bisogna tornare, perché è grazie a lui se possiamo tornare ad affidarci, cioè a spezzare la catena del dubbio, della testa, e così ricominciare il nostro Viaggio trasmutativo, crescere… vivere.
E i tamburi sono protagonisti delle società primordiali, dove la magia era tangibile nei rituali, e le icone avevano potere, così Lucia e Grazia faranno la loro entrata in sala portando le icone del corso, due statuette in ferro battuto rappresentanti le due tipologie di coppie, quella simbiotica, a cui facciamo parte, e quella danzante, a cui aspiriamo, simbolo di quella “salute” verso cui sempre siamo in cammino. Tutti si accingono a toccare queste icone, quasi fossero santi (…e siamo anche in terra di santi…), per manifestare alla metastoria, che pure ha occhi e orecchie, il proprio desiderio di “salute”.
E tornando alle danze, all’interno del corso, queste non mancano proprio; ora è il momento di “Mamma son tanto felice” dedicata a Giangi che nel giorno del suo compleanno si riunisce alla sua “vera” mamma che è stata sua sorella. Da qui un’altra canzone esilarante, “Io mammeta e tu”, di Modugno.
A questo punto entra la madre naturale di Giangi, Dina, vestita da Renato Zero, sul brano “Cercami” del famoso cantautore, regalando a tutti un po’ di quel psicofarmaco naturale che è il ridere. Il ritmo dei brani è serrato, non c’è spazio per il simbolico, bisogna arrendersi e buttarsi nella mischia, chi non lo fa non può che prendere atto dei limiti, e la tristezza, che gli appioppa il suo razionale, e perché no, anche da qui cominciare la sua lenta risalita, che tra l’altro coincide sempre con una discesa, dalla testa al cuore. E Giangi anche rischiava di rimanere intrappolato nella mente, se non fosse stato per le incursioni di Mariano, le cosiddette “vaccinazioni“.
Mariano ricorda quando da piccolo, Giangi si nascondeva sotto il letto per non interagire con gli adulti che tanto lo avevano deluso; a dire di Mariano è stato strappato con forza ad un probabile autismo a cui era condannato. Ma Giangi è cresciuto, e non poco. Ora non ha paura di confrontarsi, ad aiutarlo è stato anche il rapporto con Marta. Io che avevo conosciuto Giangi a novembre sono rimasto impressionato del suo maturamento. Eppure Mariano, quando Giangi dirà il suo amore per Marta d’innanzi a tutti, sembra dargli contro, quasi a ricordarci che l’amore non si dice, e che le parole di Giangi sono ancora volte a replicare la coppia simbiotica, con tanto di promesse e lacci, come la cultura maschile occidentale ha sempre richiesto. Per questo, tra lo sconforto del giovane amico cresciuto troppo in fretta e la richiesta di Mariano a Marta riguardo all’Associazione alla Salute Lombardia, parte la canzone, sempre centratissima, “Non ho l’età”. E subito dopo, dedicata a Marta, e non solo, “Vola colomba bianca”. Ma la sofferenza di Giangi non deve più spaventare, in questa visione di nuova specie CHI STA MALE E’ UN EROE MEIOTICO, non certo un malato da emarginare. Chi sta male ha molto da dare perché si permette coraggiosamente di riflettere le ombre di un contesto dismaturo, e quindi incentivarne la crescita.
A proposito di ciò Mariano ringrazierà in primis sua moglie Giovanna per tutte le sofferenze che ha passato e vive ancora, e che perciò gli ha fatto passare a lui. Anche grazie a questo dolore Mariano è stato spinto a lavorare duro su di sé, riportando dal suo viaggio trasmutativo doni per tutti. Un ringraziamento tutto speciale va alla figlia Barbara, non solo per aver coordinato il rito della sera precedente, ma per essere stata colei che più di ogni altro ha fatto coppia progettuale con lui. Barbara è stata la più presente, la più preparata, l’aiuto più totale, andando incontro a rinunce più di chiunque altro per seguire lui. A proposito di ciò Mariano la esorta anche ad aprirsi ai suoi coetanei dai quali, a detta di suo padre, si era allontanata quando questi avevano ricevuto importanza da lui.
Raffaele a questo punto prende la parola per marcare la grandezza dell’impegno di Barbara chiamandola “La Regina” del Metodo alla Salute. Il pensiero di Raffaele non è equivocabile, arriva diritto, a tutti, e tutti lo accolgono, perché la perizia negli interventi, la sua delicatezza, l’umiltà di Barbara non sono doti scontate, tantomeno facilmente replicabili. A questo punto Barbara, vittima della sua modestia, cerca di dissipare i complimenti di Raffaele, dando a Mariano la possibilità di riprenderla, di spingerla, sottolineando questo suo meccanismo dello sminuirsi, il meccanismo del “pezzente”. Barbara coglie l’ammonimento e accetta di farsi portare in spalla da tutti i giovani del Metodo proprio come una regina in un’entrata trionfale, con tanto di squillar di trombe.
Finito il clamore per Barbara, Mariano torna alle coppie che ha fatto con la sua famiglia; dopo Giovanna e Barbara è il turno di Francesca, la secondogenita. Mariano le chiede esplicitamente di essere assolto da lei per aver contribuito, lui, a meiotizzare la famiglia ed in particolare lei. Francesca gli dice che nell’ultimo anno lo aveva visto umiliarsi di fronte a lei per questo, ma lui insiste: vuole essere assolto di fronte a tutti, questa è la ricchezza del Metodo alla Salute, ciò che non può una psicoterapia, o lo sfogo del confessionale. Perché nel gruppo si creano delle energie, nel gruppo è difficile nascondersi, come uno specchio ciascuno ha il potere di riflettere una parte di noi stessi, il gruppo ti spinge a venire allo scoperto dai meccanismi dove ci si rifugia. Questo è il potere salvifico del gruppo che ogni società umana ha intuito producendo riti [di passaggio] aggreganti, al fine di rimetterci insieme con tutte le nostre parti tagliate, e al contempo con tutti i presenti, che queste parti riflettono. A questo punto però accade che Mariano scendendo nelle sue profondità si commuove. È un evento che capita assai di rado, non certo perché Mariano non si lascia coinvolgere, piuttosto perché, essendo l’antenato del Metodo, si è immerso così tanto da aver sanato molte delle sue parti dolorose. Ma il suo umiliarsi di fronte a Francesca, sua amata figlia, che ha sofferto tutto il dolore del padre nel suo lungo, infinito Viaggio trasmutativo, che ha cercato di allontanarsi prematuramente dalla famiglia, rifugiandosi in un matrimonio problematico, proprio per la sua difficoltà a rapportarsi con la figura maschile, questo è troppo: ci sono ancora parti pellucide di Mariano che lo imprigionano in un rapporto simbiotico con Francesca, parti che cerca di sanare chiedendo alla figlia di assolverlo.
Nella sala si fa un silenzio assordante. Va via la luce, poi un tuono rimbomba su San Giovanni Rotondo. Duecento persone si aggregano su quella coppia padre figlia come una immensa morula, a nutrire la speranza in una rinascita. Prende la parola Raffaele, Silvio, Mariagrazia. Tutti spingono perché il parto possa riuscire, è un momento magico, dove il magnetismo presente nell’aula si riflette con quello meteorologico, fatto di lampi e fulmini, pur senza pioggia. Al che Francesca comincia a parlare: si è sempre sentita seconda alle sorelle, di essere inadeguata al modello di figlia che il padre avrebbe desiderato, questo scriveva nel suo diario di adolescente. Una corsa continua per essere vista dall’amato padre; anche il pensiero del suicidio ha albergato nella sua mente, come estremo tentativo di mettersi in mostra. Gli uomini stessi di cui si innamorava dovevano avere ai suoi occhi sembianze patrilineari, per ottenere protezione e riconoscimento. Francesca termina la sua immersione ammettendo che nell’ultimo periodo le cose vanno meglio, che riesce a scorgere in lui l’impegno a sanare quei tagli, ma allo stesso tempo si sente in colpa per costringerlo a questo lavoro. A questo punto Mariano gli dice che lei ha ancora paura del suo corpo, e la invita ad una vacanza insieme, perché per sanare ciò che, come il senso di colpa, abita il piano razionale, a nulla servono le parole e i pensieri. Francesca accetta. Vengono spente le luci e i due si distendono a terra, abbracciati, togliendosi simbolicamente la maglietta. Distendendosi a terra, nell’humus, i due hanno espresso, attraverso i codici più profondi la loro umiltà.
Perché il vero maestro si umilia, e non solo a parole. Il vero maestro insegna con l’esempio: il percorso discendente del Graal delle profondità, che dal simbolico raggiunge i codici più profondi, Mariano l’ha mostrato con la sua vita, con le sue lacrime, anche se questo può disturbare alcuni esorcisti del nudo che ancora si idealizzano un maestro asettico, immune da ogni incursione della vita, quando invece si narra che San Francesco avesse perso la vista per il lungo piangere nelle continue immersioni. E dopo le lacrime ancore la festa, così da ballare tutti insieme sulle note de “La bella vita” di Jovanotti; che strano, proprio la sera precedente me ne parlava Moris…
Un pensiero di Mariano va anche alla grande assente del corso, la sua terzogenita, Daniela, che è psicologa e segue un percorso spirituale a Cesena con un maestro romagnolo. Chiaramente Mariano, approfittando del ponte tracciato da sua figlia, ha cercato di entrare in merito a queste teorie, tentando un crossingover con le sue, ma senza ottenere ancora risultati, anzi suscitando poca curiosità nell’altro. Daniela continua a preferire quel percorso, perdendosi così la possibilità di assaporare le primizie che Mariano ha partorito anche per lei in lunghi anni di ricerca e di sofferenza. È il dono che Mariano vuole porgerle, ma che per confezionarlo le ha causato anche quelle sofferenze che ora la tengono lontana da lui e dal suo dono. Mariano è dispiaciuto, ma non potrà attenderla per sempre stazionando nella pellucida, perciò abbraccia il suo maschile ed approfittando della presenza di Sonia, una cara amica di Daniela, le lancia un appello forte, perché un padre deve anche dire al figlio: “Smettila di fare l’adolescente”.
Dopo una piccola pausa riprende il corso con Pina Pitta che legge un
messaggio di Carla, la mamma di Francesco, che informa della presa di coscienza
del figlio della sua morte. La vicenda di Francesco, malato terminale,
ci ha accompagnato dall’inizio del corso. La madre non riesce ad accettare la morte del figlio, ma questa coppia è fondamentale, nessuno
può evitarla. Non solo, si stupisce di come Francesco riesca con dignità
a vivere questo momento. L’abbraccio con questa scomoda nuora è l’accompagnamento che può fare. Evitarlo sarebbe evitare anche Francesco,
quasi che solo abbracciando la morte si possa abbracciare anche la vita.
Alla luce di ciò Mariano propone un rito a casa di Francesco per
accompagnarlo all’unione con la morte, ma pone la condizione che dopo la
morte ci debba essere la festa, poiché in una prospettiva globale la
morte non è che una nota della vita.
A questo punto Mariano ci ricorda
che il lutto anche rappresenta una modalità di fare morula, ma se la
morula è un aspetto fondamentale del viaggio verso la nascita, dove
ripetendosi il soggetto si riconosce in un apici di piacere crescente
fino a giungere alla festa, all’orgasmo, nella coppia con la morte
questo apice di piacere può non raggiungersi mai, psicotizzandosi il
soggetto con il negativo della morte, condannandosi ad una ripetizione
infinita degli stessi meccanismi morula, tanto da compromettere il suo
viaggio transizionale. La famiglia è sempre alla base di questo
bloccarsi, perché i lutti sono delle persone famigliari, di chi abita la
stessa Faama, cioè casa; sono i nostri famigliari a iniettarci il senso
di morte, e quando della morte si vede solo la parte negativa, ecco che
siamo già in cammino verso l’immobilità, verso una morula infinita che
solo riabbracciando questa inevitabile compagna possiamo riassorbire, e
tornare a crescere. Così anche è per l’economia che per costringere alla
compulsione dell’acquisto, necessita di questo senso di morte che,
attraverso i mass media, ci porta dentro le “Faame” (famiglie/case), a
volte semplicemente esorcizzando la morte: da un lato la cronaca nera ci
immerge nella morte, cioè nel suo esclusivo lato negativo, dall’altra
viene proposta una vita dove la morte viene taciuta, come se non
esistesse o addirittura si potesse sconfiggere, aderendo ad un modello
edonistico fatto di ricchezza e sensualità. E’ l’intero della vita che
abbraccia il suo contrario, la salute, nessuno ne deve parlare, se non a
livello virtuale; l’economia per fare la morula infinita necessita che
noi continuiamo ad avere “Faame”, e svaligiare i frighi delle nostre
case, senza crescere, psicotizzati sui nostri bisogni da single… Per
uscire dalle “Faame” si deve fare un salto precipiziale fuori dalle
proprie case/famiglie, solo così possiamo sperare di abbandonare la zona
pellucida, che garantisce il bisogno infinito di ripetersi. Mariano,
anche per questo ha cominciato a chiedere. Per non rimanere single
dentro la propria “Faama” bisogna buttarsi e chiedere, con il rischio
(poiché il salto precipiziale e sempre un salto di testa, cioè
pericoloso) di ottenere un rifiuto.
Adesso chiederà a Paride, che vive
di carpenteria, se vorrà dargli una mano per cominciare a costruire il
primo edificio del Villaggio quadrimensionale. Poi è il momento di
Cristian che per sostenere questa richiesta di fondi produrrà
gratuitamente tantissime piccole croci laiche in vetro. Mila anche è
presente, ormai da quasi dieci anni, occupandosi di trovare i fondi,
come tanti altri, purtroppo ancora pochi… Poiché la morula meiotica,
cioè la morula al negativo, senza la festa, può durare all’infinito ed
inibire il salto in avanti anche dell’Associazione Nuova Specie, in
quanto la morula meiotica non serve per andare avanti, per crescere, ma
per compensare le parti espropriate. Per questo Mariano continuerà a
lottare per sconfiggere le resistenze, fedele al suo punto mitotico che è
una Fondazione per tutti, per tornare a sperare, e in questo
ricongiungersi con il suo maschile, col quale nella sua “Faama” non ha
mai avuto un buon rapporto. Il “cerchio maschile femminile” di Mariano,
complice la metastoria, sembra chiudersi, quando in verità, come la
chiocciola, simbolo dell’Associazione, si avvita verso un
“Infinito Dinamico Complesso”.
E così è anche per Eka. Il giorno
dell’accoglienza Mariano ci mostrò la foto di una signora, promettendoci
che ci avrebbe detto di chi si trattava. Durante il corso scoprimmo che
quella era la madre naturale di Eka, che lei aveva incontrato per la
prima volta nel viaggio che poco tempo fa aveva fatto in Russia. Un
viaggio doloroso, quanto indispensabile per affrontare finalmente la
morula che riporta continuamente Eka al pensiero della madre naturale,
la grande assente della sua vita, e così anche andare oltre.
Quest’oggi,
prima della fine del corso, Eka vuole ringraziare Mariano per il suo
lungo e devoto accompagnamento donandogli una matriosca carillon che
contiene nella sua pancia una coppia di matrioske danzanti, che sembrano
rappresentare proprio l’icona del corso, che è la coppia danzante.
Danzando la coppia si unisce e si separa, e si riunisce in un movimento
circolare simboleggiante la vita, il punto mitotico di ogni singolo
danzatore è la musica che gli accoglie e li guida. La musica come la
metastoria che non si può dire, che è fatta di movimenti da seguire, a
cui affidarsi se non ci si vuol bloccare. La metastoria è una musica che
suona sempre per chi è disposto a fare il salto precipiziale nella
pista della vita, per chi è disposto a scendere dalla testa dove si è
bloccati dalla gabbia trasparente della zona pellucida.
Mi colpisce di
Eka il fatto che continua a ripetere a Mariano di annusare la matrioska,
che “sa” di buono, di un buon profumo di legno. In verità l’olfatto è
uno dei sensi antenati più sviluppati nei mammiferi. Attraversi
l’olfatto si assapora un cibo e si decide della sua edibilità.
Attraverso l’olfatto si riconosce la propria “Faama”. Non a caso Mariano
ci ricorda che sempre che il termine sapere non deriva da una attività
mentale, quanto da sapeo, che significa assaporare. Eka comincia a
sapere delle sue origini assaporando l’odore buono di una matrioska
russa. Questo codice analogico dell’olfatto la porta alle sue origini,
come un abbraccio.
E lei finalmente sorride… Mariano approfitta per
farne una festa, e decide che sarà lei a guidare il rito di chiusura,
che come le nozze alchemiche sposa Paolo e Chiara alla Fondazione. Loro
sono medici e possono legalmente esercitare una discendenza all’interno
della Fondazione. Il punto centrale del rito voluto da Eka consiste nel
far muovere Paolo e Chiara all’interno di un utero costruito con tutti i
partecipanti del corso, e mentre i due giovano medici si muovono devo
soffermarsi sullo sguardo di ogni singolo partecipante. Il gesto, in
apparenza semplice, è invece fortissimo: vedere l’altro ed essere visti
significa vedersi, finalmente, significa sapere-assaporare di esistere.
Gli occhi di Paolo e di Chiara sono bagnati dalle lacrime. Come ogni
rito si chiude con la festa in una danza sfrenata sulle note di
Caparezza: “Vieni a ballare (saltare) in Puglia”; questo è l’augurio che
anch’io faccio a me stesso e a tutti. Mariano chiude il corso con
questo slogan: “Chi vuole prenda il suo disagio e mi segua con tutte le
sue coppie”.
Francolini
5 Commenti
Anonimo
grazie fra per questo bellissimo post, quel giorno ero assente ma leggendo il tuo scritto in qualche modo ho potuto sentirmi partecipe. claudia
Anonimo
Caro Francesco, è un post bellissimo per le foto e le parole impregnate della tua profonda specificità! è stato molto bello leggerti…complimenti!!!
Margherita
Unknown
Un post meraviglioso e ricco …mi hai fatto rivivere la giornata con grande intensità!
francesca loiacono
grazie per quello che hai scritto e per le parole che hai usato…
Daqniela
Grazie Francesco
mi hai permesso di rivivere i momenti del corso che per il troppo vissuto avevo quasi perso…eccellente Daniela