Rimini, sabato 9 marzo 2013. UN CERCHIO MAGICO SPECIALE, MARCAGNOLO, NELLA SCUOLA DI SANDRA.
UN CERCHIO MAGICO
MARCAGNOLO!
Oggi, sabato 9 marzo 2013, io e Davide siamo invitati a condividere con Sandra e Raffaele l’esperienza del Cerchio magico in una grande e luminosa scuola marchigiana: sarà l’occasione per sperimentare sul campo l’efficacia operativa della Marcagna, fusione delle Associazioni alla Salute delle Marche e della Romagna!
Ci accoglie un’aula magna, ampia e ben attrezzata, fornita di maxischermo, dove, poco dopo le 11:00 giungono gli alunni di una classe prima, accompagnati dalle insegnanti di lettere e di sostegno: sono circa una ventina e subito occupano le sedie, già predisposte a formare un cerchio.
Sandra li invita a riferire le loro impressioni sulla prima esperienza di Cerchio magico, anche per chi in quell’occasione era assente e a riflettere sul logo del Cerchio magico stesso, proiettato sul maxi-schermo: i ragazzi, così, sottolineano che esso è aperto a tutti, i suoi colori rappresentano le varie età della vita, è costituito da bambini, adolescenti, adulti, che si tengono per mano, simboleggia l’amicizia, l’aiuto reciproco nelle difficoltà della vita.
Sono sopraffatta dall’emozione e mi accorgo di non riuscire quasi a parlare: son circa quattro anni che non mi trovo in mezzo agli alunni in veste di educatrice!
Inoltre, sono colpita e stupita, come sempre del resto, dalla serietà con cui i ragazzi intervengono, dalla profondità di ciò che esprimono e dalla incisività e originalità del linguaggio, che utilizzano. Dunque, quando sono invitati a parlare di sé, delle loro emozioni più vere, sanno trovare le parole giuste, che colpiscono nel segno, non certo generiche, né banali.
Dai loro interventi emerge che ciò che più li ha colpiti dell’esperienza precedente è stato il pianto di adulti e ragazzi. Gli operatori marcagnoli (o marchignoli) che dir si voglia chiariscono, utilizzando le unità didattiche dell’iceberg e del graal, che il pianto così come il riso, il negativo e il positivo sono da sempre parte integrante della vita: è la nostra cultura che ci obbliga il più delle volte a non mostrare il negativo, a congelare le nostre emozioni e il nostro corpo.
Sandra, poi, mi chiede di presentarmi: sono qui anche perché Davide la settimana scorsa ha parlato di me, insegnante sufficientemente brava , madre non sufficientemente buona. Riesco a parlare loro a cuore aperto: anch’io, come molti miei coetanei, non sono veramente cresciuta, adulta, nonostante l’età, perché porto dentro di me il mio dolore antico di bambina non vista nella sua specificità, costretta a rinunciare al corpo e alle emozioni: come tale, non sono riuscita a vedere i miei figli nella loro profondità né la loro sofferenza, schiacciata com’ero dalla mia.
I ragazzi ascoltano, una docente piange, in quanto, pur molto più giovane di me, vede rispecchiata nella mia storia la sua…
Ora, dopo la fase, in cui tutti, attraverso il movimento e la danza, esprimiamo la nostra voglia di leggerezza e spensieratezza, passiamo a quella dei pensieri, legata ad oggetti, che ragazzi e conduttori hanno portato con sé: un libro, una foto, un pesce-marionetta, un album fotografico, un peluche…
Così, grazie ad essi, ci immergiamo nei ricordi, nelle storie di vita, nel dolore di ciascuno: il cerchio di sedie si stringe sempre più, molti lasciano il posto per sedersi per terra vicino a chi parla e fargli sentire che è li con lui/lei. E nell’aula magna, satura di emozioni e di lacrime, si materializzano figure di madri e padri, prima assenti perché troppo presi da altro, poi lontani anche fisicamente e, con esse, le sofferenze dei figli, piccoli o grandi, che sentono di aver rinunciato al proprio corpo e alle proprie emozioni, di aver congelato, fatto morire dentro di sé i bisogni più profondi per sopravvivere.
La campanella, che annuncia la fine delle lezioni, interrompe la magia di questo cerchio, ma con la speranza e la promessa di riaprirlo e rinnovarne l’incanto e l’efficacia educativo-didattica.
Paola Selleri
1 Commento/i
Graziana
Grazie, Paola, per questo tuo racconto dolce, delicato e profondo…è bello sentire, di tanto in tanto, voci "più grandi". Sono convinta che un giorno potrai riscoprirti, oltre a insegnante sufficientemente brava, anche madre molto buona giacché "chi lavora aspetta premio".
Graziana.