Romano d’Ezzelino (VI), mercoledì 13 febbraio 2013. QUINTO E ULTIMO GIORNO DEL CORSO “RAPPORTO GENITORI-FIGLI: DENTRO L’UTERO… A CIELO APERTO”.
CORSO “RAPPORTI GENITORI FIGLI”.
QUINTA GIORNATA.
mercoledì delle Ceneri
“Ricordati che metastorico sei…. e metastorico ritornerai”
difficile, con l’oceano che si muove impetuoso dentro di me, provare a
raccontare questa giornata che è fine e inizio, che è fronte di
passaggio di morte e rinascita per tanti di noi. Le tenebre ancora ci
sono, e magari ci inoltriamo proprio nella parte più fitta, dove i sensi
si perdono e tutto si fa puro affidamento… eppure la sensazione è di
risucchio e di forte attrazione verso quell’oscurità che solo ci può far
ri-sorgere dalle ceneri delle nostre esistenze frantumate e desertiche.
Oggi
è anche mercoledì delle Ceneri, giorno che, secondo la tradizione
cristiana, segna il passaggio nel tempo di Quaresima, un tempo in cui
ognuno con la sua croce si avvia ad una morte di rinascita e
resurrezione. È molto significativa per me questa coincidenza. Tanti di
noi stanno vivendo un dolore antico, profondo, straziante. Sento però,
nel raccoglimento silenzioso che avverto, che oggi di questo dolore ne
iniziamo a recuperare un senso che non è più croce, peso, fardello, ma
è, appunto, continuo ri-attraversare canali da parto per continue
nascite e nuove fioriture. E allora, come ci accompagna a comprendere il
caro Eliseo, ben vengano i quaranta giorni di quaresima, se, anche
attraversandoli come passaggio doloroso, mettono fine ad una Quaresima
che potrebbe durare in eterno senza neanche portarci ad una rinnovata
esistenza. Questo “tempo forte” allora si fa tempo di crisi-opportunità
per tornare alla nostra essenza originaria; dentro le ceneri della
nostra vita possiamo riconoscere il roveto ardente della nostra
identità, della nostra specificità, in cui le contraddizioni, gli
opposti non tolgono vita ma ricollegandosi e danzando insieme nel
progetto antenato della nostra gravidanza ci portano a ritrovarci più
interi e armonici.
battesimo delle nostre esistenze che inizia a dar valore più alla nostra
grandiosità e infinita potenzialità di rigenerazione che alla nostra
caducità, potremmo dire “Ricordati che metastorico sei e
metastorico ritornerai”.
Festeggiamo anche il compleanno della
piccola Elisa, figlia di Gianni e Rosanna. A lei Mariano dona un
pensiero profondo, una bellissima espressione danzante di Jasmina,
augurandole di riuscire a sciogliere le catene che hanno avvolto il
corpo di sua madre e di riuscire ad esprimersi con la libertà e
l’armonia con cui Jasmina delizia e meraviglia tutti, grandi e piccoli.
Mentre si svolge questo momento mi sorprende come Elisa si goda questa
danza a bocca aperta, meravigliata e sognante come davanti ad una
principessa che attraverso il corpo scioglie un incantesimo che aveva
intrappolato e tenuto prigioniere le emozioni. Tutti cogliamo il valore e
la dignità che alcune culture ancora danno al me.me. della danza come
espressione di un nucleo profondo e intimo. Ringrazio Jasmina per aver
incantato anche me.
È l’occasione per ringraziare anche Renato per la
sua passione nel fare ricerca e custodire i me.me. di altre culture e
tradizioni attraverso la musica. Attraverso lo spettacolo dei Barbapedana, importante come dono generoso e concreto per la Fondazione Nuova Specie, tanti di noi hanno potuto godersi una serata all’insegna
della leggerezza e dei corpi sudati e caldi che hanno spontaneo piacere
di stare vicini, unirsi nel fare festa e celebrare il godimento, i
sensi, il piacere che è nel ritmo e nel suono, nella voce delle cose
semplici. È un bel momento in cui due maschi adulti celebrano
reciprocamente il loro valore e si riconoscono come viandanti segnati e
sensibili…e con questa emozione si arriva anche al dono: Renato dona a
Mariano il suo leggio; è un oggetto ma è anche un pezzo che suda la
storia di Renato, che ha viaggiato con lui e che ha “letto” tanto di
quest’uomo…così com’è, denso di significati e di esperienza, viene da
lui donato a Mariano che, in questa nuova fase della sua vita, merita un
nuovo e più ampio riconoscimento che passa anche attraverso qualche
agio, qualche comodità in più…
È la volta di Maurizio che ci fa dono
della propria commozione e delle proprie paure. Maurizio è un uomo di
valore che però ha paura della propria meiosi. E allora, tra mille
incertezze, meglio continuare a riporre la fiducia in una soluzione
mitotica che ci illude o spingerci ad accettare una meiosi che ci fa
star male per andare, però, incontro ad una nuova gravidanza? A noi la
scelta…
L’Associazione alla Salute Lombardia ci invita ad una
settimana, a metà marzo, di eventi molteplici in terra lombarda…
prossimamente dettagli e programma…ma già sembra interessante
Tocca
poi a Giulia e Gioele…è un bel momento, in cui, anche grazie alla
distinzione in cui sono stati accompagnati in questi giorni, possono
ritrovarsi di nuovo faccia a faccia…sono molto emozionati, lo sento, ma
essendosi distinti un po’ di più ora possono anche esprimere il negativo
con più forza, sentendosene più in diritto. Distinguendosi si fa un
salto precipiziale e spesso nella coppia è proprio da qui, da questo
piombare nel buio, che iniziano i cambiamenti interni ed esterni e si
può iniziare a riconoscerseli e goderseli reciprocamente. Arriva anche
uno schiaffo, un dono di Giulia a Gioele. Eh sì, perché non tutti hanno
la fortuna di sentire, anche nel corpo, che l’altro è arrabbiato con
noi… Mariano invita Gioele a “godersi” questo gesto e a sentirne il
sapore facendosi attraversare dalle sensazioni… non è il caso di
risalire con le parole… è un momento sacro per me, forte ma pieno di
cor-aggio. Anche un evento apparentemente negativo, come ad esempio uno
scontro fisico, può essere il nostro modo di abbandonare, di strapparci
di dosso la “zona pellucida”, i resti della famiglia di origine o di una
situazione che finora è andata bene ma che ora si è esaurita in cui
siamo incatenati e ancora schiavi, per costruire legàmi totalmente
nostri e specifici che non ci lègano ma ci intrecciano. Se non perdiamo
questo contatto ancora troppo forte con la storia delle nostre famiglie
d’origine non possiamo cogliere i punti di contatto con il laboratorio metastorico, quei punti che invece possono orientarci “all’altra faccia di Giano”, proprio quella che guarda avanti. Tutto, in questa
prospettiva nuova, può nascere da un tradimento, da un abbandono, da una
separazione. Pur essendo stati entrambi punto mitotico per l’altro in
una situazione difficile che, sia Giulia che Gioele vivevano, ora è
tempo di lasciarsi andare…non è detto che nel girovagare e nel
proseguire il viaggio, ognuno verso se stessi, non ci si ri-incontri,
magari su basi nuove…
In questa visione nuova la nascita diventa
passaggio di morte: ad ogni tornante muore un ciclo vitale per dare
inizio ad uno nuovo; si spegne l’interruttore di qualcosa che non serve
più e si accende la luce per qualcosa di nuovo, inaspettato, inedito.
Nel salto precipiziale, che ognuno di noi deve fare se vuole continuare
il viaggio della gravidanza e non abortirsi-abortire, non abbiamo più
nessuna garanzia. Ma è proprio questo salto che ci precipita
nell’esistenza. Il salto precipiziale è una perdita ed è solo avendo
perso che andiamo alla ricerca di nuove soluzioni per continuare il Viaggio.
Alla nascita non c’è più l’utero, la placenta,
accompagnatori antenati intimamente devoti al viaggio della vita…questa
volta ad accoglierci o non accoglierci c’è la membrana etno-culturale
che è già formata prima della nostra nascita e che raccoglie il sapere
di chi è venuto prima di noi. Si nasce quindi dopo aver attraversato il
canale da parto, nella crisi, nell’angustus, nell’extra. Durante la
gravidanza le tappe e i vari passaggi scorrono fluidi perché c’è un
programma antenato organizzato. Nella vita a cielo aperto spesso
dimentichiamo o ci facciamo spaventare dalla successione di tappe
necessarie alla crescita.
A volte perdere delle figure storiche che ci
hanno accompagnato, distinguerci, separarci ci fa sentire un senso
profondo di sradicamento e di sofferenza proprio perché non abbiamo più
la memoria dei passaggi, anche duri, che abbiamo già compiuto nella
prima gravidanza che ci ha consegnati all’esistenza. In questa
successione di tappe sono importanti i tempi, ogni tappa ha un inizio e
una fine che ci consegna, seppur a volte con dolore, alla successiva.
Se, infatti, il feto rimane otto-dieci giorni in più nell’utero, pur
avendo già compiuto tutto il viaggio, muore: la vita ha i suoi tempi e
per favorirla è necessario che torniamo a riappropriarci proprio di
questo senso continuo di accolgo-spingo, espello, di vivo-lascio,
abbandono, di mi fermo-riparto, di mi avvicino-mi separo. Solo così
possiamo continuare il viaggio e non fermarci in comodi porti sicuri che
prima o poi diventano privi di vita.
Ma alla nascita ci si arriva affrontando diverse prove…
La
prima prova è la delusione che ci infligge mamma-utero: l’utero ai nove
mesi ci delude, ci spinge fuori da un gioco illusorio. Come?
Scacciandoci fuori attivamente! La nostra prima sofferenza è quindi da
tradimento: l’utero, attraverso le contrazioni, ci tradisce. L’utero è
il primo e più civile accompagnatore che incontriamo; quando è giunto il
tempo di separarci per farci nascere, attraverso le contrazioni ci
accompagna a separarci con determinazione; ama così tanto il feto che
rinuncia a cose proprie per lui e per la sua vita. Nella vita poi, a
molti di noi, da figli, tocca fare il percorso inverso e dover essere
noi attivi per allontanare, “scacciare” i nostri genitori dalle nostre
vite; spesso le nostre famiglie d’origine sono falsi uteri giacché,
anche a volte in tarda età, non vogliono rinunciare al loro ruolo anche
se si è abbondantemente esaurito o se a noi non serve più; un utero che
non vuole smettere di fare l’utero non fa nascere ma, ahimè, spesso un
utero ha bisogno di eterni-embrioni-feti proprio per sentirsi-replicarsi
la propria identità…che incivilta!
La seconda prova è una sofferenza da angustus. Per nascere dobbiamo obbligatoriamente transitare da una
situazione stretta, chiusa, opprimente. Il feto, al momento del parto,
viene immesso in un ambiente stretto, che lo stringe e che gli è
sconosciuto. Mentre finora ha vissuto dolcemente secondo il kairos ora
incontra il kronos. Nel canale da parto iniziamo a pensare che c’è un
kronos senza fine che ci può portare alla morte…è proprio in questo
tratto che facciamo la prima esperienza di fede e speranza: “non vedo la
fine, sono disperato perché immagino di andare verso la morte…e poi
nasco”. È la prima forte esperienza di affidamento, in cui prendiamo
consapevolezza del “ora non vedo ma…”.
L’ultima sofferenza è quella da
“estraneo”: mi ritrovo a contatto obbligato con un ambiente che non ha
niente a che vedere con quello da cui provengo. E con questo
esterno-estraneo alla nascita siamo subito costretti ad instaurare un
rapporto di totale dipendenza: se non dilatiamo i polmoni moriamo, siamo
subito obbligati a prendere dall’esterno ciò che ricevevamo attraverso
il cordone ombelicale; il primo vagito è il segno che questo passaggio è
un passaggio traumatico, forte. Proprio però questa prima mancanza ci
spinge ad aprirci e ad acquisire una competenza così vitale come la
respirazione. Con l’entrata dell’aria e dell’ossigeno per la prima volta
acquisisco inoltre lo strumento della voce che fa sentire anche a
distanza che “io ci sono, esisto”. Questo è il secondo regalo della
nascita che però passa attraverso una dipendenza totale dall’esterno.
Altre mancanze però sente il neo-nato. Anche per nutrirsi perde lo
strumento devoto del cordone ombelicale. Si instaura qui un’altra
dipendenza: il seno materno diventa vitale per lui. Anche il calore
svolge un ruolo importantissimo nei primi giorni di vita: nasciamo nudi e
quindi siamo sensibilissimi alle variazioni di temperatura; il primo
calore che possiamo offrire è il nostro corpo. Il corpo della madre, dei
genitori dovrebbe subito entrare in relazione e “riscaldare” la nuova
vita; un corpo che ci accoglie fa festa per noi, perché siamo nati, ci
dice “che bello, sei nato-a, io sono il tuo utero, ti celebro, faccio
festa per te”… Alla nascita dobbiamo abbandonare anche la placenta, la
placenta continuamente ci vedeva, sentiva quello di cui avevamo bisogno
ma quando nasciamo questo viene a mancare; inizia quindi la necessità di
avere uno specchio esterno. Quello che sono non me lo posso dire da
solo, ma io divento, mi rappresento tutto quello che tu mi fai sentire
che sono, non quello che “serve a te” come spesso, ahimè, avviene nelle
famiglie. Ma alla nascita il primo specchio che incontriamo non sempre è
puro e fedele, spesso è incrostato di altro e riflette il modo di
pensare, il sistema di valori che esiste al momento della mia nascita.
Qui inizia il grande circuito del vedere:
SONO VISTO/A –-> MI VEDO –> VEDO –> TI VEDO –> SEI VISTA/O
È qui e così precocemente che si pongono le basi del nostro riconoscerci-sentirci…
A
questo punto Mariano ci lascia tutti a bocca aperta con una rilettura
globale e profonda di tre saggezze antenate:
la stalla di Betlemme, il
mito di Edipo Re e la favola di Pinocchio. È meraviglioso perdersi nel
racconto-interpretazione degli intrecci familiari e nei rimandi continui
alla storia della gravidanza che mettono in luce aspetti significativi e
critici di quelle che dovrebbero essere una “famiglia-utero ideale” e
due esempi di “famiglie-utero parziali”… ancora una volta godiamo di uno
spettacolo grazie alla capacità di Mariano di riscoprire-cogliere il
giusto valore di saperi ampiamente banalizzati.
Alla fine di questa
giornata e di questo viaggio tra saperi antenati emerge sempre più
chiaro il valore della gravidanza come griglia interpretativa e di lettura della realtà; è un sapere universale e sempre applicabile. Se
ognuno di noi riuscisse a fare proprio il programma della gravidanza noi
per primi potremmo intervenire nelle vite nostre e in quelle degli
altri senza ricorrere agli specialisti ogni volta che la vita ci parla
bloccandosi nel suo procedere. La teoria più universale è la gravidanza.
Ma è una teoria “haggadah”, poiché, partendo dalla vita, ognuno di noi
può aggiungere, arricchire, ampliare. È un sapere che pur avendo già
visto, compreso e contemplato molto può sempre crescere.
La
gravidanza è per eccellenza il tempio della Metastoria che
originariamente si incarna nella Storia attraverso il grembo del
Femminile. Ognuno di noi, riscoprendo il proprio femminile, può
accompagnare la metastoria nel suo travaglio che oggi si esprime in una
storia frantumata e a disagio che chiede a gran voce un salto in cui
tutti possiamo transitare sempre più da ruoli storici a creativi e
coraggiosi atti metastorici.
Ringrazio davvero profondamente Mariano
per averci condotto in questa immersione meravigliosa nel ventre intimo
della Vita. Auguro ad ognuno di noi che questo corso ci in-segni, “segni
dentro”, l’incanto della gravidanza e che, da corso, si faccia
occasione e inizio di un per-corso più adulto e uterino.
Mi piace concludere così:
“Non
indicate per loro una via
conosciuta ma se proprio volete insegnate soltanto la magia della Gravidanza”.
Traboccante di sensazioni e stupore,
Graziana
4 Commenti
Amelia
è vero il post è traboccante e trasudante una raffinata rugida di teoria che riesce a perforare lo schermo e ci accompgana anche a distanza, noi che non abbiamo potuto esserci!grazie in ogni caso, e speriamo che al più presto ce ne sia… uno anche per noi. un bacio Amelia
Giuseppe
Condivido l'entusiasmo di Giusy e mi sorprende che questo post aggiunge emozioni anche per chi c'è stato. Figurarsi per me che non ci sono stato per motivi familiari. Mi piacerebbe che se ne organizzasse un altro, dai post ho intravisto la bellezza e profondità del corso che mi sembra unico.
Spero che Mariano trovi il tempo ora che sta per andare in pensione.
Complimenti agli organizzatori del Grappa.
Giuseppe
Graziana
Grazie mille compagna sempre più vicina… L'immersione di questi giorni mi ha davvero segnata e ancora mi attraversa con forza… Sento che da questo corso molti di noi potranno rimettersi al lavoro per liquidare i residui "pellucidi" che ancora ci appesantiscono e fare un passo più definitivo al "guardare avanti"…
Ti voglio tanto bene anche io e sono contenta che questa volta ci siamo state di più 😉
Grazie ancora,
Graziana.
Giuseppina Mastrangelo
Cara Graziana, sono proprio contenta di aver affidato a te il Post di chiusura del Corso in Veneto… è meraviglioso! Leggerti è stata un'emozione continua, ad ogni parola…. Ti ringrazio per tutto ciò che hai saputo… sapientemente raccogliere e regalarci ancora.. grazie al tuo sforzo, considerando la stanchezza e gli eventi a cui hai partecipato subito dopo nelle Marche e in Romagna, ho potuto reimeggermi nella bellezza in cui Mariano ci ha fatto entrare e sicuramente molti che non erano presenti potranno coglierne tante sfumature. Ti voglio bene tanto