Foggia, lunedì 31 dicembre 2012. MARIANO LOIACONO VA IN PENSIONE. AD MAIORA. Articolo di Geppe Inserra.
Mariano Loiacono ha scritto la presentazione ai miei due libri. Io ho
scritto la presentazione a diversi suoi libri e basta questo incrociarsi
ed intrecciarsi di reciproche parole a dar conto di un’amicizia ormai
pluridecennale, scandita da un comune viaggio alla ricerca della Verità.
Io ero un giovane collaboratore della redazione foggiana de La Gazzetta del Mezzogiorno, lui un giovane psichiatra che si occupava di droga al Centro di Medicina Sociale
degli Ospedali Riuniti. Curare la tossicodipendenza, allora,
significava stare in trincea. Ma mi colpì immediatamente la tesi del
giovane baffuto psichiatra, che di lì a poco avrebbe dato alle stampe il
suo primo libro, Droga, drogati, drogologi, gettando un sasso nell’acqua stagnante della medicina e della psichiatria ufficiale.
Loiacono non considerava la tossicodipendenza come il male in sé, ma
piuttosto come il sintomo, la spia di un disagio assai più profondo,
ramificato e diffuso. La sua tesi era che l’eroina mieteva le sue
vittime tra i giovani più deboli, indifesi e sensibili, e tanto bastava a
sovvertire il luogo comune che stigmatizzava i tossici, ritenendoli il
male da estirpare, argomento di cronaca nera e non di inchiesta.
I lettori benpensanti del quotidiano regionale mugugnarono un bel po’
nel leggere la serie di articoli che dedicai al Centro e alle terapie
che vi venivano praticate, e ci fu perfino qualche protesta. Ma il buon
capo della redazione, Anacleto Lupo, comprese il potenziale innovativo
di quell’approccio e consentì la pubblicazione.
il disagio che portava alla dipendenza scaturisse dall’inceppamento del
processo di maturazione che inizialmente colpiva i giovani ma che di lì a
poco avrebbe contagiato i gruppi, le istituzioni, la società, la specie
umana. È stato buon profeta, Loiacono, che scriveva queste cose ben
prima del Crollo del Muro di Berlino, di Tangentopoli, delle fine della
Prima Repubblica e della crisi economica.
Al Centro, attraverso la pratica della comunità reale, Loiacono
cercava – senza il ricorso a farmaci – di ricreare le condizioni
dell’utero, in modo da consentire che la maturazione-gravidanza
interrotta potesse arrivare al compimento.
Idee affascinanti, che ho tuttavia capito fino in fondo, soltanto quando
ho smesso di ascoltarle e basta; quando me le sono sentite attorno,
addosso e infine dentro.
Accadde sempre al Centro, che frequentavo saltuariamente, grazie anche
all’amicizia con Giovanni Aquilino, comune amico troiano, fondatore de La Refola.
Era però una frequentazione – come dire – razionale. Avvertivo dei
fastidi alla cervicale e Loiacono mi fece fare alcuni accertamenti, da
cui emerse che avevo una sostanziosa carenza di ferro.
Con la sua aria sorniona, mi propose di fare la terapia, che consisteva
in iniezioni endovenose da cavallo – lì al Centro, così “avrai modo di
immergerti un po’ di più nelle cose che facciamo qui”.
Da tempo il Centro non si occupava più di tossicodipendenza, perché nel
frattempo erano sorte altre strutture, come il Cmas. Loiacono aveva
preso ad occuparsi di alcoldipendenza, un problema assai più atavico e
radicato della droga, in quanto non colpisce soltanto i giovani ma
tutti: casalinghe, lavoratori, anziani.
qualcosa cambiava in me, e non soltanto per quanto riguardava il tasso
di ferro nel sangue. Mi sentivo meglio nelle mie relazioni con gli
altri, stando fianco a fianco con gli alcolisti, ascoltandoli,
scherzandovi insieme. Mi sentivo parte di quella comunità.
Ebbi l’onore di dirigere il loro periodico, Formicamica,
che ricordo con soddisfazione e con nostalgia, anzi con orgoglio,
perché non era un bollettino e basta, non informava e basta, ma gli
articoli, le storie che venivano raccontate erano scritte con il cuore,
più che con la testa, essendo il frutto dei laboriosi processi di
comunicazione che si intrecciavano nella “comunità reale”.
in pensione. Lascia un eredità difficile, da un lato perché uno come
Loiacono è insostituibile, dall’altro perché oggi il Centro di Medicina Sociale è conosciuto in tutta Italia e non solo, grazie alle comunità che si sono sviluppate con il Metodo alla Salute,
ma paradossalmente rappresenta la più evidente declinazione del detto
che nessuno è profeta in patria. Non è stato metabolizzato come sarebbe
stato il caso dall’azienda ospedaliera, dal territorio. Come si sa, c’è
il rischio che con il pensionamento di Loiacono il Centro possa essere
chiuso.
Sono comunque certo che – qualunque cosa Mariano faccia a partire da
domani – il sogno che ha portato avanti in tutti questi anni continuerà e
chissà che, libero dalle pastoie burocratiche, non metta ali ancora più
salde per volare ancora più in alto.