CAMPOSOLAGNA “MONTE GRAPPA” (VI) lunedì 23 luglio 2012. – NONO GIORNO DEL III PROGETTO RAINBOW
Fondazione Nuova Specie ONLUS
Presidente: Dr. Mariano Loiacono
“Dal 14 al 29 luglio,
sulle pendici del Monte Grappa in località
Camposolagna, presso la struttura “Casara di Cuccett” convivranno notte e giorno
operatori formati al Metodo alla Salute,
persone con diagnosi di psicosi
cronica che hanno
cronica che hanno
dismesso l’uso di psicofarmaci in un precedente
trattamento al Centro di
Medicina Sociale di Foggia,
Medicina Sociale di Foggia,
genitori e
familiari.
familiari.
Il
progetto, superando l’ottica
progetto, superando l’ottica
della psichiatrizzazione farmacologica,
è
finalizzato alla crescita dell’individuo
è
finalizzato alla crescita dell’individuo
nel rapporto con se stesso,
con la sua famiglia di origine e
con il contesto sociale in cui è inserito.”
con la sua famiglia di origine e
con il contesto sociale in cui è inserito.”
NONO GIORNO…
….“sono qui solo per te…..”
La giornata inizia con una dinamica corporea tra Alberta, Carla, Marilisa, Nadia e Cindy, successivamente c’è la comunicazione di Raffaele sulla composizione delle scialuppe che nel corso della mattinata prenderanno il largo spinti dal vento frizzante nel chiaro-scuro dei boschi e nel verde ondeggiare dei prati.
Le scialuppe della giornata sono cinque:
Prima scialuppa: Roberta, Ermanna, Carla, Marilisa e Raffaele
Seconda scialuppa: Titta, Ernestina, Rita, Gianpaolo ed Elena
Terza scialuppa: Cindy, Benedetta, Maria, Giovanna, Renato, Giacomo, Mauro e Tobia
Quarta scialuppa: Isaia, Eva, Gloria, Gioele, Giasmina e Ludovico
Quinta scialuppa: Silvano, Lucia e Nadia.
Il pomeriggio inizia alle 15:30 con il bilancio di Mariano.
La teoria inizia dalla rilevazione di un sentimento percepito in maniera forte in alcuni membri del gruppo e che ha a che fare con la nostalgia. La nostalgia è un sentimento che avvertiamo quando ci distanziamo dall’ordinario. Nel distanziarci diamo valore a ciò che già c’era ma che non vedevamo più perciò il piacere di aver scoperto queste cose ci fa stare anche male. Ce ne allontaniamo perché ci sono molte cose che premono e nell’allontanarci le riconosciamo e questo è il primo vantaggio. Il secondo vantaggio è che veniamo attratti da ciò che abbiamo lasciato, sentiamo una forza che ci spinge con il dolore a tornare indietro perché percepiamo il valore e la mancanza di ciò che abbiamo lasciato.
Roberta legge a tutti un pensiero di Osho che parla “dell’amore del maestro”e che così dice: “Ci sono tanti tipi di amore, il più puro è quello tra maestro e allievo. Esso non è contaminato da aspettative, pretese, condizioni e il maestro ti accetta totalmente come sei, senza alcun desiderio di fare di te qualcosa di diverso e tu ami il maestro perché ti dà per la prima volta nella vita la possibilità di vivere le relazioni senza avere paura e senza sensi di colpa”.
Mariano completa dicendo che bisogna fare in modo di diventare maestri prima di se stessi e poi anche degli altri perché diversamente diventa un ruolo.
Si passa poi all’apertura del bilancio e Mariano chiede a G. , in qualità di membro del coordinamento, di fare il punto della situazione. Questi parte direttamente dall’esperienza vissuta la mattina mentre era nella scialuppa, di cui il padre R. era l’embrione, accompagnato da Giovanna, Maria, Benedetta, Tobia, Cindy e Mauro. Dal racconto emerge che R. , aiutato da tutto il gruppo, è riuscito a vivere ed esprimere un pianto antico e verità sconosciute al figlio. Il suo racconto ha fatto vibrare anche corde di Giovanna che si è riconosciuta nel suo dolore. Quando è riuscita a fare un passo indietro R., che si era bloccato, è riuscito a contattare le sue profondità e a ricordare la solitudine vissuta sia nell’infanzia che nell’età adolescenziale.
Mariano si aggancia a questa esperienza per teorizzare dicendo che R. si era bloccato perché avrebbe avuto bisogno di persone attorno a lui in assoluto silenzio ed in suo ascolto e prende in esempio l’adorazione dei re magi e dei pastori a Gesù. Adorare vuol dire: “tutto quello che sono io e tutto ciò che potrebbe distrarmi da te non conta, sono qui solo per te”. Ognuno di noi cerca questo per sé soprattutto chi non l’ha avuto; più la nostra vita è stata povera di questi momenti, più siamo svantaggiati e troviamo soluzioni per sopperirne la mancanza e poterne fare a meno.
Tutti abbiamo bisogno di uno spazio esclusivo che ci faccia rivivere l’esperienza di quando eravamo nell’utero; quest’ultimo è organizzato in maniera completa e continuativa per il viaggio che facciamo in nove mesi durante i quali attraversiamo 4 miliardi e mezzo di storia della vita. L’utero rispetta le diversità di ognuno e dà a tutti quello che serve. Quando nasciamo, invece, non conosciamo il progetto nel quale ci inseriamo e possiamo anche non trovare grande ospitalità. Noi, che proveniamo da questa esperienza uterina, vorremmo replicarla, ci aspettiamo cioè un’esperienza fusionale che però non c’è più e tutto ciò che prima era scontato ed immediato ora deve essere conquistato.
La prima sicurezza nell’utero è che siamo entrati nel viaggio della vita cioè siamo autorizzati a vivere; questa è una certezza di base e tutte le religioni cercano di garantire questo bisogno sostenendo che c’è sempre e comunque chi ci vede perché noi vogliamo vivere l’esperienza che noi siamo. E noi “siamo” solo quando siamo visti. Questa esperienza è fondamentale: se non la viviamo, “ci inguaia”. Per essere visti abbiamo bisogno di uno specchio che rifranga la nostra immagine e che ci dica: “Io sono” e ti vedo e anche tu ci sei. E’ l’ esperienza dell’“ESSERE” cioè dell’esistere in vita. Questo è anche il limite dell’esistenza perché solo lo specchio ti dà la consapevolezza di quello che sei. Chi ci fa da specchio? I primi che ci dicono “tu sei e mi muovo verso di te perché tu sei e non perchè sei brava o perché assomigli a me … sono i “genitori”. E se io sono, non sono solo, perché sono intero e posso vivere bene anche in solitudine.
Quando non facciamo l’esperienza dell’”io sono”, ci organizziamo comunque per essere visti e per resistere invece di esistere: adeguandoci o opponendoci alle aspettative e comunque in una dimensione di “non sono” (dentro la vita) e non vivo a partire da me.
La teoria appena enunciata dà spiegazione alle dinamiche familiari in genere e, nello specifico alla relazione tra G. e il padre che dice: “io non sono, quindi mi lascio andare, non esisto, non posso vivere”. Il figlio è il fedele specchio del fatto che suo padre non ha avuto uno specchio; ecco perché molte volte i padri non riescono a stare con i propri figli perché dovrebbero confrontarsi con questa terribile e antica verità.
Diversa è l’esperienza di J., che Mariano interpella ed invita affinché condivida con il gruppo alcuni momenti dolorosi della sua vita e che lei ha superato quando si è detta “io non sono perché mio padre non è” generando in se stessa molta rabbia utilizzata come energia per immettersi nella storia.
La condivisione prosegue con il racconto di M. relativo alla dinamica avvenuta con la madre. E’ una dinamica che include varie generazioni: E. è inclusa e “dilata” M. che a sua volta è inclusa e “dilata” la madre. E’ importante partire da quest’ultima generazione e consentirle di mettersi dalla parte di chi sperimenta e in questo modo di uscire dai “ruoli” assunti che rappresentano le soluzioni trovate nel tempo per far fronte ai debiti contratti dalle generazioni precedenti, le rispettive famiglie di origine, soluzioni che sono anche buone, ma che fanno sì che la trasmissione dei debiti continui da una generazione all’altra senza soluzione di continuità. I debiti sono tutto ciò che appesantisce la vita e ti toglie l’opportunità di viverla integralmente. A partire da domani, N. e I. faranno gli embrioni.
L’ascolto dell’esperienze vissute in questi ultimi tre giorni dal resto dei partecipanti al gruppo sfuma nella fine dell’incontro che vede danzare attorno al fuoco al suono della canzone che ci ha accompagnato in questo Rainbow:
Ti penso e cambia il mondo…vedo oltre quel che c’è…vivo e affondo …ma so che cambia il mondo se solo sto con te”.
Ernestina e Titta